Gli ecomostri nel Cilento, il dossier del Codacons.

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dossiercilento1pubblichiamo il Dossier del Codacons sugli ecomostri nel Cilento

A cura dell’ Ufficio Legale Codacons Campania

Salerno,Via Michele De Angelis, n.11 tel.089.252433 mail: codacons.campania@gmail.com

Introduzione

Il Parco Nazionale del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni, istituito nel 1991, è un’area protetta di circa 36.000 ettari, che ricade interamente nella Provincia di Salerno; si estende dalla costa tirrenica fino ai piedi dell’Appennino campano-lucano e rappresenta, per estensione, il secondo parco d’Italia, dopo il Parco Nazionale degli Abruzzi. Al suo interno vi sono numerose aree protette, zone a protezione speciale e siti di interesse comunitario.

L’Unesco nel 1997 lo ha dichiarato Riserva Biosfera e, nel 1998, Patrimonio dell’Umanità. Le aree del Cilento e del Vallo di Diano, verso la fine degli anni 70’, sono state teatro di numerose speculazioni edilizie, in special modo nella zona costiera, e l’idea del parco nacque proprio per porre fine a simili scempi, con l’intenzione di tutelare e preservare una zona ricca di storia, bellezze naturali, cultura e biodiversità. Purtroppo, però, la realtà ha tradito le aspettative, l’istituzione dell’ente Parco, non solo non è riuscita nell’originario intento di tutela, pur essendo fornita, per legge, di idonei poteri di controllo e repressione ma, addirittura, nel corso del tempo, si è resa, essa stessa, protagonista di veri e propri disastri ambientali attraverso la realizzazione di opere di grave impatto sul territorio, inutili ed inutilizzate, con grave spreco di risorse economiche e fondi pubblici in danno della collettività e del paesaggio.

Il Codacons già nel 2009 portò all’attenzione nazionale le incongruenze e le contraddizioni nella politica di gestione dell’ente Parco con il Dossier: “Gli Ecomostri, storie di illegalità e di scempi ambientali.”

L’attenzione dell’associazione fu allora concentrata sugli ecomostri di Montecorice, Sapri e Sassano. Tutte opere pubbliche concepite nel Parco e dal Parco, ente nato, lo ricordiamo, per tutelare il territorio del Cilento e Vallo di Diano. Nel 2016 altri ecomostri meritano l’attenzione del Codacons: il Centro Lontra di Aquara, l’Osservatorio e Museo del fiume di Aquara, l’Osservatorio della fauna migratoria a Centola- Palinuro e l’ecomostro dell’Aresta a Petina. Opere legate da un unico comune denominatore: essere l’esempio della mala gestio del Parco nazionale del Cilento e del Vallo Di Diano.

1. Centro Lontra di Aquaradossiercilento4Aquara è un piccolo centro collinare di soli 1500 abitanti che vanta il triste primato di ospitare nel proprio territorio ben due ecomostri: il Centro Lontra ed il Museo del fiume e della lontra.

Il Parco concepì la costruzione di tali opere, in partenariato con il comune, per la tutela della lontra, specie faunistica in via di estinzione che, da sempre, ha trovato un habitat ideale nel fiume Calore.

Il centro, in particolare, aveva lo scopo di favorire l’osservazione ed il ripopolamento delle specie.

L’opera, dopo 15 anni – il progetto risale al 1999 ed ebbe inizio nel 2001 – è ancora in fase di completamento, e la struttura esistente è in uno stato di totale abbandono, esposta ad atti di vandalismo. Nel 2013 è stata revocata al comune la disponibilità dell’ultima tranche di finanziamento per la realizzazione del centro, costato ben 568.102,59 Euro, anche se secondo alcune fonti per la struttura sarebbe stato speso oltre un milione di euro.

Tra l’altro sembra che la lontra che avrebbe dovuto “abitare” il Centro non fosse quella locale ma un diverso esemplare, proveniente dal Centro “La Torbiera” in Provincia di Novara. Il fallimento del progetto quindi, da questo punto di vista, ha scongiurato un grave danno alla fauna, atteso che l’immissione nel territorio di esemplari diversi, geneticamente distanti da quelli abitanti i fiumi del Parco, avrebbe potuto inquinare la popolazione autoctona. Tuttavia lo scheletro di cemento, di quello che doveva essere il Centro, mai inaugurato ed in stato di totale abbandono, comporta un grave danno per il territorio e la sua sinistra presenza sembra testimoniare il totale disprezzo delle Istituzioni per la tutela del paesaggio (bene tutelato dall’art. 9 della Costituzione) ed è il simbolo di come le risorse pubbliche, con l’avallo degli enti (Regione, Comuni, Parco), sono troppo spesso utilizzate per progetti inutili e addirittura dannosi!

2. Museo del Fiume e della Lontra di Aquara

dossiercilento3Il museo del Fiume sorge invece nel centro abitato di Aquara; esso aveva lo scopo di preservare la fauna e costituire un volano per il turismo ambientale e didattico del territorio. L’opera, costata 409.657 euro, sebbene terminata non è mai stata utilizzata.

Il comune di Aquara, che ha contribuito alla sua realizzazione, non è stato capace di considerare una diversa destinazione per la struttura, esposta, anch’essa – come il centro lontra – ad atti di vandalismo.

Il Parco compie scelte folli, l’inerzia degli enti pubblici contribuisce a renderle immortali!

 

 

 

3. l’Osservatorio della Fauna Migratoria a Centola-Palinuro

dossiercilento4Nel viaggio tra le incompiute capita anche di vedere come in un’area protetta (ricadente in prossimità del Sito d’Interesse Comunitario cod.IT 8050013) sia stato costruito un improbabile e maestoso edificio in cemento, il “Centro Internazionale per lo Studio delle Migrazioni – Calcante (Progetto definito “I MITI”)“ nel Comune di Centola, opera che arreca un gravissimo pregiudizio al paesaggio data l’ampiezza della struttura, il suo impatto visivo e l’uso di materiali cementizi non aventi valore eco-compatibile, né eco-sostenibilità alcuna.

Non sono mancate le autorizzazioni dell’ente Parco e della Soprintendenza di Salerno.

Il progetto prevedeva, tra gli altri, un centro sperimentale per l’ambientamento della selvaggina autoctona, un osservatorio per la ricerca e lo studio della migrazione dell’avifauna, sentieri natura, un centro anti-incendio, un invaso per lo studio dell’ittiofauna, un centro visite, tutto con finanziamenti europei. Nessuna osservazione di fauna migratoria, nessuna visita, nessuno studio, nessuna ricerca.

Solo il cemento, e un dato certo: la spesa di 1.200.000 Euro, principalmente di fondi comunitari. Anche per questa opera (oggetto di atti di vandalismo) il comune di Centola non ha previsto alcuna riqualificazione.

5. l’ecomostro di Aresta a Petina

dossiercilento5Nasce nel 2001 l’Ecomostro di Petina. Siamo nel cuore dei Monti Alburni, le cosiddette “Dolomiti del Sud”, un massiccio carsico, ricco di doline, grotte ed inghiottitoi, meta di esplorazioni speleologiche.

È la concessione edilizia n. 15 del 19 novembre 2001 rilasciata dal comune di Petina a creare l’Ecomostro dell’Aresta (località in cui sorge, tra l’altro l’Osservatorio Astronomico).

La concessione edilizia viene rilasciata al Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano nella persona dell’allora Direttore Generale, architetto Domenico Nicoletti, (dal 2015 Direttore del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga).

L’idea dell’ente Parco era quella di costruire – secondo quanto emerge dalla concessione – una struttura prefabbricata, in legno lamellare da adibire a ricovero attrezzi L.S.U. Acquisiti tutti i pareri, il comune di Petina rilascia la concessione per costruire nel proprio territorio questo scempio!

La struttura, che non sarà mai completata, grazie anche ad un procedimento penale (che vede tutti assolti e che nulla stabilisce circa le sorti dell’eco-mostro), è ancora lì a deturpare un paesaggio incantato che ora è, per decisione del Parco medesimo, riserva integrale. Se l’idea di costruire un deposito di attrezzi agricoli nel bel mezzo di un’ampia vallata era folle, ancora più sconsiderata è l’inerzia del comune di Petina che ospita nel suo territorio uno scheletro abbandonato, fatiscente al punto di deturpare anche l’aria.

Conclusioni

Le situazioni di forte degrado evidenziate, rappresentano soltanto un frammento delle numerosissime sofferenze ambientali e paesaggistiche cui è sottoposto un patrimonio che ha un valore così pregevole da ricevere ambiti riconoscimenti internazionali dall’Unesco.

L’incuria ha raggiunto punte di tale gravità che, insieme alle inerzie delle Istituzioni e degli organi deputati all’attività di controllo, fa sorgere il quesito: quello del Cilento e Vallo di Diano , è degno di essere chiamato Parco naturale?

La domanda è impegnativa e di non facile soluzione. È tuttavia intenzione del Codacons sottoporre il quesito, e quindi il presente documento, all’attenzione delle competenti Autorità. Prime fra tutte la Commissione dell’Unione Europea, le Autorità inquirenti, il Prefetto, il Ministero dell’Ambiente, l’Ente Parco, la Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio, Organi, questi, già destinatari degli esposti, delle denunce, delle querele, delle diffide e delle azioni giudiziarie che il Codacons ha svolto nel corso degli anni.

La domanda non potrà non investire anche l’UNESCO, sezione Italia, affinché i responsabili facciano –responsabilmente- le opportune riflessioni sulla sussistenza delle condizioni che hanno portato al riconoscimento degli status già assegnati al Cilento.

Titoli di coda (di Luca Martinelli – Salviamo il Paesaggio)

A dicembre 2015 l’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha evidenziato nel rapporto BES, dedicato agli indicatori di un benessere equo e sostenibile, l’impatto negativo e attuale del fenomeno dell’abusivismo. Le parole scelte dai curatori del report sono emblematiche: in alcune Regioni del Paese -si spiega- l’abusivismo porta a una condizione di “sostanziale irrilevanza nella pianificazione urbanistica”, e rappresenta una “forma pure e semplice di evasione fiscale”.

L’indice di abusivismo edilizio, che misura la percentuale di “abusi” ogni 100 costruzioni autorizzate, è passato da 10,47 nel 2009 a 17,56 nel 2015.

Quasi un casa su cinque. Lorenzo Bellicini, direttore del CRESME, uno dei più autorevoli centri di ricerca sul mercato della costruzioni, ha spiegato così il fenomeno, in un’intervista per Altreconomia: “L’intero comparto vive una profonda contrazione, che colpisce sia le costruzioni legali che l’abusivismo, ma il calo dell’attività legale è maggiore, ed è questo che spiega l’Istat”. Le case abusive realizzate nel 1990 erano 44mila e prima della crisi (nel 2008) ancora 28mila. “La nostra analisi -specifica- riguarda solo le nuove abitazioni, mentre l’attività abusiva comprende anche il non residenziale e le trasformazioni del patrimonio esistente”.

Ecco: fenomeni come quelli descritti nel dossier Codacons dedicato agli eco-mostri nel Parco nazionale del Cilento non sono nemmeno conteggiati. Eppure esistono, ed è sempre l’Istat ad offrirci dei numeri in grado di spiegare come ciò che succede nell’area cilentana si ripeta anche altrove nel Paese: viene misurato, infatti, il numero di edifici costruiti lungo le coste in una fascia di 300 metri dalla battigia costieri compresi, o all’interno di parchi e riserve nazionali o regionali e nelle zone di interesse archeologico (come la valle dei Templi di Agrigento), cioè in quelle aree sottoposte a tutela.

Risultato? Nonostante i vincoli, il patrimonio edilizio abusivo è cresciuto dal 1981 del 30 per cento. In media, gli edifici realizzati in aree vincolate sono quasi 30 ogni 100 chilometri quadrati. Le associazioni ambientaliste ritengono che dopo la legge sugli eco-reati, il governo dovrebbe approvarne rapidamente una relativa all’abusivismo. Potrebbe prendere spunto da quella del 1985 (la n. 47), largamente disattesa. Tra i principi che introducesse nell’ordinamento, quello che è il miglior deterrente all’abusivismo, la confisca, ovvero la perdita della proprietà.

L’idea è semplice: se chi realizza un abuso rischia la titolarità del bene, e anche quella del beneficio economico conseguente, finisce l’abusivismo.

Paolo Berdini, urbanista e autore di una “Breve storia dell’abuso edilizio in Italia” (Donzelli) ricorda che “la legge 47 parla anche di demolizione coatta, o dell’acquisizione del bene abusivo al patrimonio pubblico”.

L’esempio degli edifici costruiti all’interno del Parco nazionale del Cilento, però, c’insegnano che non sarebbe sufficiente. Se è un ente di diritti pubblico a lasciare scheletri sul territorio, in un’area riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio mondiale dell’umanità.