Cosa deve fare il giornalista oggi? Lo ha spiegato il dottor Andrea Manzi, giornalista, scrittore e direttore del quotidiano salernitano “La Città”, da lui fondato nel 1996, durante la conviviale rotariana, a lui dedicata, organizzata al Grand Hotel Salerno dal Presidente del Club Rotary Salerno Est, l’ingegner Achille Parisi, che, con la collaborazione del giornalista Pino Blasi, ha scelto di affrontare una tematica di grande attualità: ”Il giornale di comunità nell’era di internet”. “Un giornalista dovrebbe riattualizzare il campo giornalistico nel quale opera, dove c’è la cultura dell’attualità che è la cultura degli eventi che si verificano e che noi giornalisti registriamo in presa diretta. I giornalisti sono poco coinvolti nella storia e nella vita delle città, dovrebbero tornare a vivere il territorio, ascoltare il mondo in silenzio, raccontarlo dopo averlo visto con i propri occhi, trascriverlo in maniera sintetica, con una forte coscienza territoriale”. Il dottor Manzi ha ricordato la crisi epocale che stanno vivendo i giornali: “Purtroppo si vendono sempre meno anche perché facciamo giornali troppo vecchi. Il corpo del giornale è profondamente datato. Ci siamo separati dall’utenza in maniera improvvida e poco rispettosa, proponendo lo stesso modello di giornale degli anni ’50, con delle varianti più grafiche che contenutistiche. In America, dove la crisi si è avvertita prima che da noi, sono corsi ai ripari e hanno differenziato la produzione giornalistica su carta rispetto a quella televisiva e online, separando le due proposte in maniera radicale: il giornale è scritto più dai lettori che dai giornalisti. I cittadini sono protagonisti del giornale. Alcuni racconti di fatti di cronaca sono affidati ai protagonisti di quelle storie che raccontano, in maniera diretta, l’accadimento. Tutto questo noi non lo abbiamo fatto. Abbiamo operato quasi esclusivamente sul lato economico – finanziario: prima con i gadget, poi con gli accorpamenti, poi con i prepensionamenti, poi abbassando i livelli dei compensi dei giornalisti. Tutto questo ha avuto un riflesso naturale sul prodotto. Il giornale si considera un corpo separato che vive a distanza di sicurezza dalla società. Non la rappresenta più, non la vive dall’interno, non la racconta più dal vivo. E’ un racconto postumo, glaciale. Bisogna avere un giornale che sia pensato, nel quale possano avere un ruolo le idee, che possa colpire anche per novità di proposte il lettore, alternativo rispetto alle proposte di altri mezzi di comunicazione che non deve replicare. Dobbiamo essere autenticamente vicini alla società e per esserlo bisogna essere liberi. Secondo me il tasso di libertà è profondamente ridotto negli attuali giornali. C’è anche il calo della professionalità dei giornalisti che sono troppi, troppo poco formati e troppo poco colti. Se mettiamo insieme tutto questo il risultato dà i giornali che facciamo oggi che sono inadeguati”. Per il dottor Manzi oggi si può fare più un giornale di comunità che un giornale di servizio:” Un giornale nel quale chi lo fa sente di operare in un contenitore che non è inerte. Sente di vivere una dimensione professionale che è innanzitutto una dimensione civica: bisogna descrivere la realtà, cercando di coglierne gli aspetti meno evidenti, di andare in profondità. Un giornale di comunità deve stare al centro della città”. Manzi ha ricordato la pubblicazione dei grandi giornali come “ Il Roma”, fondato nel 1862 , e l’arrivo del computer nelle redazioni dei giornali, alla fine degli anni ’70 , che cambia il modo di fare il giornale:” Questa sinergia nata tra internet e le aziende editoriali dei giornali ha comportato degli esiti particolari: i giornali si sono strutturati come delle vere e proprie aziende che hanno eliminato figure superflue come i rotativisti, i linotipisti e i costruttori di notizie. Mentre prima cinque redattori elaboravano una pagina, oggi un redattore fa cinque pagine. Il profitto ha portato alla manipolazione del prodotto e i giornali sono profondamente cambiati nel contenuto e nella qualità. L’innovazione è diventata il verbo degli editori. E’ rimasto però il rapporto tra individuo e società che è un tema fondante della nostra professione: noi siamo un tramite, un ponte, siamo la possibilità di rendere e divulgare dei contenuti, delle informazioni che altrimenti non arriverebbero all’opinione pubblica. I media stanno tra coscienza ed esistenza. I mezzi di comunicazione possono fornire un aiuto a chi vive in maniera tranquilla la propria vita rendendolo consapevole di ciò che accade”. Manzi vive con le parole, con la carta stampata, nell’era di internet:” Viviamo la comunicazione globale. Da circa venti anni siamo fluidificati nella globalità delle informazioni che ci pervengono. Si è assottigliata moltissimo la distanza tra la rappresentazione e la realtà. Non ci rendiamo conto, ma viviamo rappresentazioni di realtà. Non è cambiata però la funzione civile del nostro lavoro nonostante queste trasformazioni epocali, i giornali sono strumenti insopprimibili per la vita civile”.
Aniello Palumbo