“Mio padre, Giorgio Perlasca”. Un incontro commovente, emozionante con studenti e cittadini di Salerno presso il Teatro Ghirelli e nelle scuole di Salerno ( Liceo T. Tasso) e della provincia ( Olevano sul Tusciano, Battipaglia e Cava de’ Tirreni) dal 7 al 9 febbraio, con Franco Perlasca, in ricordo del padre Giorgio Perlasca, che nell’inverno del 1944, in occasione della seconda guerra mondiale, fingendosi console generale spagnolo, salvò la vita a oltre cinquemila ebrei ungheresi, strappandoli alla deportazione nazista e alla morte.
Con le letture e il racconto della moglie Luciana Amadio, Franco Perlasca è arrivato al cuore di tanti ragazzi in un silenzio assordante, in un ascolto collettivo attento e commosso. La loro voce sottile, quasi sussurrata e i loro occhi blu, l’orgoglio e la tenerezza, hanno reso circolare e vivo il racconto oltre la storia di un uomo “ giusto tra i giusti”.
Ma come mai per decenni questo padre, suocero, nonno affettuoso, sereno, discreto non ha mai raccontato alla sua famiglia e agli amici quanto i suoi occhi avessero visto, fotografato nell’anima tanto dolore e impegno civile, umano, rischiando la vita per gli altri?
Forse perchè riteneva di aver semplicemente fatto il proprio dovere di uomo, nulla di eroico, nulla di più che stare dalla parte di chi ingiustamente subisce senza potersi difendere.
Giorgio Perlasca però aveva visto anche tanto orrore e come tanti sopravvissuti alle guerre, ai genocidi, agli olocausti di ieri e di oggi, ha preferito non rinnovare quell’immenso dolore, rimuovendo le immagini del Danubio ghiacciato ma colorato dal sangue delle vittime, silenziando gli spari e i suoni delle bombe, e sicuramente non avrebbe mai voluto far soffrire di riflesso i propri figli per quel dolore vissuto e mai dimenticato.
Poi però per caso accade che qualcuno , salvato da Giorgio Perlasca bussa alla porta della famiglia di quell’uomo che li salvò per ringraziarlo della vita salvata, non solo a loro ma a migliaia di ebrei, solo in quanto “ ebrei”. Lui un cattolico, un militare, un uomo gentile. Nel racconto di Franco Perlasca e Luciana Amadio, tutti non hanno solo immaginato ma come se avessero realmente visto quel cucchiaino, quella tazzina, che la coppia ungherese donò loro in ricordo del padre Giorgio, le uniche cose salvate dal massacro di una guerra insieme alle loro vite. Ecco i gesti, gli oggetti, i ricordi che diventano storia. Poi alcune pagine di diario trovate in un cassetto e nasce un libro “L’impostore”, con il quale rinasce la storia di Giorgio Perlasca. Il figlio Franco in questi giorni di maratona tra scuole e teatri, tra cene e pranzi frugali con la storica Sara Carbone, amici e organizzatori di questi eventi, ha raccontato di aver incontrato decine di sopravvissuti dopo la morte del padre che, spacciatosi per Console di Spagna a Budapest, consegnò a tanti ebrei documenti nei quali era scritto che erano cittadini spagnoli. Quei documenti consentirono loro di uscire dal ghetto e di superare anche i posti di blocco dei militari. Riuscì a portare tutti in una casa sicura, protetta dalla bandiera spagnola, dove passarono le ultime settimane fino alla fine della guerra.
“Ho impiegato almeno sette otto anni per metabolizzarla questa storia di mio padre, all’inizio ero anche molto arrabbiato con lui perché non mi aveva detto nulla, poi ho capito” ha affermato Franco Perlasca, durante questi intensi incontri- dibattito nel salernitano.
La storia di un uomo dichiarato “ Giusto” cominciò a essere conosciuta prima all’estero: in Spagna, negli Stati Uniti, in Israele dove, sulle colline di Gerusalemme, lui stesso andò a piantare l’albero dei Giusti e poi fu conosciuta poi anche in Italia. Nel 1989 gli fu attribuito il riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni”. Giusti per gli ebrei sono i non ebrei che salvarono vite durante la Shoah, a rischio della propria incolumità. A lui fu concessa anche la cittadinanza onoraria dello stato d’Israele. Nell’aprile del 1992 l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga gli concesse la medaglia d’oro al Valore Civile che però, per lungaggini burocratiche, non ricevette perché morì a Padova il 15 agosto del 1992, all’età di ottantadue anni. Solo alla fine di settembre dello stesso anno la Prefettura di Padova consegnò la medaglia ai familiari. Quando morì la famiglia rispettò la sua volontà di essere sepolto nel cimitero di Maserà di Padova, per terra e con un unica scritta, quella di “Giusto tra le Nazioni” anche in ebraico ”.
Un esempio di vita, un esempio di valori, che oggi più che mai sono faro e luce nelle ombre di una storia vichianamente fatta di “ corsi e ricorsi”. Testimoniare e narrare resta una speranza reale.
Gilda Ricci