Il Giocatore di Dostoevskij, dal 1 marzo al Teatro Verdi.

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TEATRO MUNICIPALE “GIUSEPPE VERDI” di Salerno
STAGIONE DI PROSA 2017-2018

                 da giovedì 1 marzo a sabato 3 marzo (ore 21)
                                 e domenica 4 marzo ore 18.30)
 
                                                DANIELE RUSSO   
                                                 
                                              IL GIOCATORE

da Fëdor Dostoevskij

adattamento Vitaliano Trevisan

con

Daniele Russo                      Aleksej/Fëdor Dostoevskij

Marcello Romolo                  Il generale

Camilla Semino Favro         Polina/Anna Grigor’evna

Paola Sambo                                 Baboulinka

Alfredo Angelici                   Mr. Astley

Martina Galletta                  M.lle Blanche

Alessio Piazza                      Il croupier

Sebastiano Gavasso             De Grieux

scene Roberto Crea

costumi Chiara Aversano

disegno luci Salvatore Palladino

movimenti scenici Eugenio Dura

 

regia Gabriele Russo

 

aiuto regia Eugenio Dura/assistente di produzione Noemi Ranaulo/direttore di allestimento Antonio Verde/capo macchinista Generoso Ciociola/datore luci Salvatore Palladino/sarta Anna Marino/trucco Vincenzo Cucchiara per BioNike/additional music Massimiliano Pace/realizzazione scene Retroscena S.r.l–Napoli/realizzazione costumi Sartoria Bi.Mi – Roma, Barbara Pistolesi, Laura Milite/service luci e fonica Megaride S.A.S-Napoli/trasporti Porcacchia-Roma/elaborazione grafica Raffaele De Martino su bozzetto originale di Chiara Aversano/foto di scena Francesco Squeglia/ufficio stampa Katia Prota/coordinamento organizzativo Alessandra Attena/distribuzione Patrizia Natale

 

organizzazione generale Roberta Russo

 

coproduzione  Fondazione  Teatro  di Napoli – Teatro Bellini,

          Teatro Stabile di Catania

Il giocatore è la terza tappa della “Trilogia della libertà”, le tre produzioni della Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini incentrate sul concetto di libertà e di perdita della stessa.

Dopo la società distopica dominata dalla violenza del visionario Arancia Meccanica diretto dallo stesso Gabriele Russo e l’opprimente ospedale psichiatrico di Qualcuno volò sul nido del cuculo diretto da Alessandro Gassmann, è la volta della Roulettenburg dominata dal gioco di Dostoevskij.

Anche in questo caso, la grande letteratura si fa teatro; così, Il giocatore, scritto nel 1866, viene riletto e adattato per il teatro da Vitaliano Trevisan.

L’allestimento è in costante bilico tra dramma e commedia; un cast affiatato ci trascina in una spirale fatta di azzardo, di passioni e di compulsioni, che porta dritti in quel (non)luogo dove il desiderio si trasforma in ossessione e non si limita più a governare i protagonisti, ma finisce per soggiogarli.

Una rilettura metaforica e contemporanea; «il gioco non è solo l’oggetto centrale dell’opera, ma è presente – come spiega Gabriele Russo – in forma di metafora o di allusione, ovunque. È nelle relazioni ossessive tra i personaggi, nei continui “rilanci” a cui le circostanze li costringono, nelle vane speranze a cui sono aggrappati e che li fanno stare sospesi; come si è sospesi quando si è in attesa che la pallina cada sul rosso o sul nero. Così si arriva alle analogie con l’oggi e con ciò che è il gioco d’azzardo nella nostra società: quando vedremo la baboulinka o il giocatore perdere tutti i loro soldi al casinò, forse per un attimo ci dimenticheremo che si tratta dei personaggi di Dostoevskij e vedremo, più genericamente una vecchina, sola, in preda al vizio del gioco o un giovane compulsivo perso in un video poker. Per amplificare e sostenere il dialogo con l’oggi senza perdere il rapporto con il testo e con la narrazione, ho scelto un’ambientazione che fosse “atemporale”, creata da contaminazioni fra passato e presente, antico e moderno; questo vale per la scena, per i costumi, per le musiche e, naturalmente, per il linguaggio».

DOSTOEVSKIJ: UN GIOCATORE

Nel 1866 Fëdor Dostoevskij aveva 45 anni, era vedovo e reduce da una relazione passionale e altalenante conclusasi malamente con Apollinarija Suslova, giovane donna dal temperamento tutt’altro che mite.

Pur avendo già pubblicato alcuni dei suoi capolavori tra cui Umiliati e offesi, Memorie dal sottosuolo e le prime cinque parti di Delitto e castigo (a puntate, sulla rivista Il messaggero russo) era incalzato dai creditori per i suoi debiti di gioco.  Per pagarli, una anno prima, a fronte di un anticipo aveva stipulato un assurdo contratto con l’editore Stellovskij, nel quale si impegnava a cedergli per nove anni i diritti sulle sue opere, anche quelle future, se non avesse prodotto un nuovo libro da dare alle stampe entro il novembre 1866. Assorbito dalla scrittura di Delitto e castigo, aveva trascurato la scadenza fino all’ottobre ’66, quando confessò all’amico Milijukov che del nuovo romanzo, sebbene lo avesse chiarissimo nella sua testa, non aveva messo su carta neanche una parola. Aggiunse di aver deciso di non provare neanche a tenere fede all’impegno con Stellovskij, poiché si era ormai rassegnato alla rovina. L’amico lo convinse a provarci lo stesso, suggerendogli di avvalersi di una stenografa per procedere più velocemente nella stesura del libro. Lo scrittore, non senza qualche perplessità, dopo pochi giorni assunse una giovane stenografa: Anna Grigor’evna. Con lei, in soli 28 giorni, terminò la redazione de Il giocatore, consegnandolo puntualmente a Stellovskije “vincendo” la fatale scommessa. Non solo, si innamorò di Anna, liberandosi grazie a lei del fantasma di Apollinaria. Dopo pochi mesi la sposò e nel giro di qualche anno, grazie al supporto della moglie, uscì dalla schiavitù della roulette.

Curiosamente, fu l’urgenza di trasferire su carta il vortice che risucchia il suo alter ego Aleksej (la schiavitù dal gioco, e l’insana passione per Polina, nella quale riconosciamo alcuni tratti di Apollinaria) a far incontrare allo scrittore proprio colei che lo salverà dalla stessa spirale che condanna Aleksej senza appello. Un incontro avvenuto per puro caso, lo stesso Caso che governa la pallina della roulette.

 

NOTE DI REGIA

Erano diversi anni che avevo voglia di affrontare in teatro il tema del gioco d’azzardo e, dopo aver letto molti testi contemporanei sull’argomento, più andavo avanti nelle ricerche più mi convincevo che nulla era più adatto de Il giocatore di Dostoevskij. Per un motivo molto semplice: qui il gioco non è solo l’oggetto centrale dell’opera, ma è presente, in forma di metafora o di allusione, ovunque. È nelle relazioni ossessive tra i personaggi, nei continui “rilanci” a cui le  circostanze li costringono, nelle vane speranze a cui sono aggrappati che li fanno stare sospesi; come si è sospesi quando si è in attesa che la pallina cada sul rosso o sul nero. Così, inevitabilmente, si arriva alle analogie con l’oggi, con il ruolo che al gioco d’azzardo è stato assicurato dalla nostra società. Ecco perché quando vedremo la baboulinka o il giocatore perdere tutti i loro soldi al casinò, forse per un attimo ci dimenticheremo che si tratta dei personaggi di Dostoevskij e vedremo, più genericamente una vecchina, sola, in preda al vizio del gioco o un giovane compulsivo perso in un video poker. Per amplificare e sostenere il dialogo con la nostra contemporaneità senza  perdere il rapporto con il testo e con la narrazione, ho scelto un’ambientazione che fosse “atemporale”, creata da contaminazioni fra passato e presente, antico e moderno; questo vale per la scena, per i costumi, per le musiche e, naturalmente, per il linguaggio.

Con Trevisan eravamo d’accordo nel cercare una direzione che esaltasse gli elementi d'”azione” presenti nell’opera. In particolare nella seconda parte del romanzo, quando l’arrivo inaspettato della baboulinka (un vero e proprio coup de théâtre) ci ha consentito di sterzare verso il registro della commedia prima di tornare dritti verso il dramma finale a cui sono destinati tutti i personaggi. Se da un lato l’azione scenica ed il conflitto sono  più semplici da intercettare e mettere a fuoco in alcune zone del testo, parte significativa del lavoro con gli attori si è concentrato nella ricerca dell’”azione emotiva” dei personaggi nei passaggi più “letterari” e/o “narrativi”, fondamentali, perché nascondono tutto il senso del racconto di Dostoevskij. Inoltre, abbiamo deciso di raccontare anche la genesi del romanzo, intrecciando la storia di Aleksej con la vicenda di Dostoevskij che scrisse Il giocatore praticamente sotto ricatto. Una sorta di sfida nella sfida, o per meglio dire: di scommessa nella scommessa. Dunque, al principio abbiamo un uomo (Aleksej) che è soprattutto il ricordo di un uomo: ciò che resta di lui  quando è posseduto da un vizio. Il vizio e l’uomo sono raccontati da un altro uomo (Dostoevskij), vittima della stessa schiavitù dalla quale riesce a liberarsi solo dopo averla prima vissuta e poi raccontata. Una sorta di catarsi non  lineare, che traccia il racconto di due percorsi paralleli ma opposti. Aleksej diventa Dostoevskij e viceversa: si fondono, lungo la strada l’uno nell’altro. E mentre l’uno affonda, l’altro risorge. Ma anche Polina diventa Anna Grigor’evna e poi nuovamente Polina. Sono entrambi multiformi e, dunque, alla ricerca di una forma. Aleksej cerca di conquistare la propria forma attraverso il gioco: «Io non ho forma, né forma né meriti», dice. È sospeso, è in bilico e, insieme a lui, è sospeso lo spettacolo: forma o non forma, dramma o commedia? Ed è sospeso il sentimento amoroso, privo di corrispondenza temporale: Aleksej insegue Polina quando lei fugge, ma quando lei finalmente pare essere pronta, lui preferisce correre altrove. Precisamente, al casinò. E noi andiamo con lui, ne sentiamo i rumori: i tintinnii delle slot, la pallina che gira nella roulette, il fruscio delle carte e il rumore più assordante, quello delle pulsioni dei personaggi. Tutti ossessionati dal gioco, guidati dallo spasmodico desiderio di denaro. Ma se il denaro perdesse improvvisamente valore lasciando il posto al desiderio irrefrenabile di giocare semplicemente per il piacere di farlo? Allora, avremmo nuovamente i giocatori, il giocatore, un giocatore. E il sipario non si chiuderebbe. E la pallina continuerebbe a girare.

                                                                                             

                                                                                              Gabriele Russo

 

 

IL GIOCATORE: UNA SCOMMESSA

Il giorno 4 di giugno dell’anno 2007, nel corso di una passeggiata in città, mi ritrovai, del tutto inconsapevolmente, giusto perché mi ero fermato per accendermi una sigaretta, davanti a un negozio di libri usati. Tra i titoli in vetrina, uno strano Dostoevskij mio marito, di tale Anna  Grigor’evna Dostoevskaja, attira la nostra attenzione; e siccome siamo convinti che niente accada per caso, entriamo subito in libreria e lo facciamo nostro. Il giocatore l’avevo letto anni prima, nel luglio del 1993 per essere esatti (scrivo sempre, sul retro di copertina, la data d’inizio lettura), e non ne ricordavo quasi nulla. Qui, lo ritrovavo nel suo farsi, in forma di destino: la Grigor’evna, sedicenne studentessa di stenografia, che come tutti i giovani non sa cosa l’aspetta, entra al servizio dell’allora quarantacinquenne Dostoevskij il giorno 4 di ottobre del 1866, proprio per permettergli di scrivere più velocemente il nostro giocatore […]. E il Dosto – d’ora in poi, per brevità, così chiamato, che, com’è noto, era un “appassionato” giocatore di roulette, punta tutto su sé stesso. Non solo vincerà la partita con l’editore, ma troverà, in Anna, la donna che lo accompagnerà per il resto della vita. Vita peraltro non facile, con lui che, regolarmente, si mangia tutto alla roulette, e lei che fa i salti mortali per far quadrare i conti. Ma questa è un’altra storia. Torniamo a noi, o meglio a me che, a questo  punto, dopo aver letto la storia del giocatore, rileggo Il giocatore. Da qui, nella mia testa, le due cose sempre insieme: se penso al Il giocatore, penso anche alle circostanze in cui è stato  scritto (anzi dettato; dettaglio importante, perché, da subito, entra la voce) e viceversa. Ed è una grande fortuna perché sette anni dopo, al primo incontro con il regista Gabriele Russo,  ho qualcosa da dire. Concordiamo sul fatto che l’intreccio tra il romanzo e le circostanze in cui fu composto, sia drammaturgicamente intrigante. Dunque entrare ne Il giocatore con  occhio drammaturgico.

Splendidi caratteri, precisi, stagliati, come non se ne fanno più. Nella situazione in cui l’autore li ha collocati, la dinamica fluisce, per così dire, naturalmente. L’intreccio è da commedia, addirittura da farsa, ma senza lieto fine. Il retrogusto è amaro, e non può che essere così: in fondo, ciò a cui assistiamo è il progressivo inaridimento morale di un giovane, nel cui cuore la roulette prende il posto della fanciulla di cui è innamorato. Prende il posto di tutto, a dire il vero, finché alla fine, Aleksej, cioè il nostro giocatore, si sarà “fatto di legno”.  Ma nella realtà (e nella nostra commedia), per una volta, il finale è lieto. Almeno, per quanto può esserlo un matrimonio.

                                                                                                                                                                                                                   Vitaliano Trevisan