“Mamma mia quanti siete!”: Ludovica Nasti ed Elisa Del Genio sbarrano gli occhi davanti alla sala Truffaut piena di jurors Generator +13, +16 e +18 del Giffoni 2019. Una platea che guarda con tenerezza alle due straordinarie protagoniste della prima stagione de L’Amica Geniale, serie Hbo-Rai Fiction e TimVision, prodotta da Lorenzo Mieli e Mario Gianani per Wildside e da Domenico Procacci per Fandango, in collaborazione con Rai Fiction, TimVision e Hbo Entertainment, in co-produzione con Umedia – tratta dal caso editoriale firmato da Elena Ferrante. Un successo internazionale, il cui progetto traspositivo è nato ancor prima che venissero pubblicati l’intera quadrilogia. “Abbiamo iniziato a immaginare il progetto già nel 2013 e il successo letterario ci ha aiutato a trovare un partner come HBO. Una prima volta per la Rai, ma una prima volta anche per la HBO, che mai prima de L’Amica Geniale aveva realizzato un prodotto non in lingua inglese e per di più in dialetto“, ha precisato Eleonora Andreatta, Direttore Rai Fiction sul palco con le attrici per un saluto e protagonista di una bellissima Masterclass. Un ulteriore motivo d’orgoglio per le due giovanissime protagoniste, che non sembrano particolarmente intimidite dalle domande – e dai complimenti – dei ragazzi in sala, tra cui c’è la Gigliola Spagnuolo bambina, ovvero la piccola Alice D’Antonio, a Giffoni in giuria al Festival tra gli Elements +10. “Non è stato difficile interpretare Elena e Lila – concordano le due protagoniste – Saverio (Costanzo, il regista, ndr) ci ha sempre detto di essere noi stesse e l’abbiamo fatto“. “Per prepararmi al ruolo ho chiesto a mia nonna, che quegli anni li ha vissuti“aggiunge Ludovica, che un’idea sull’infanzia nel dopoguerra se l’è fatta e anche chiara: “Era più facile capire la vera amicizia: senza tv e senza telefoni si era più a contatto con le persone“. Chi tra Elena e Lila è la vera amica geniale? “Lo sono tutte e due. Lila sembra più decisa, ma poi è Elena quella davvero determinata. Insomma si danno il cambio. Poi ognuno leggendo il libro e vedendo la serie si è fatto un’opinione diversa, no?” dice la sveglissima Nasti. Ma meglio leggere il libro o vedere il film? “Bisogna fare tutti e due: il libro ti emoziona perché ti immagini i personaggi, mentre il film ti fa vivere le cose in maniera diversa” suggerisce Elisa. Chiare le idee anche sui modelli: “Io mi ispiro a Sophia Loren! “È di Pozzuoli come me e mio nonno la conosceva – svela Ludovica – e poi Millie Bobby Brown. È bravissima” dice Ludovica, mentre Elisa guarda a Josephine Petterson, protagonista della versione norvegese di Skam. L’ultima domanda è per i jurors e arriva proprio da Ludovica ed Elisa: “Possiamo fare uno di quei video che fate con tutti gli ospiti?“. I jurors non si fanno pregare e le aspettano ancora al Giffoni Film Festival.
Nel 1999 aveva lasciato a Giffoni quel sorriso tenebroso di un giovanissimo attore pieno di sogni e aspettative, oggi Stefano Accorsi è cresciuto e insieme a lui la sua carriera, ma la magia del Festival che lo sorprese vent’anni fa non è cambiata. Torna diverso, con un bagaglio ricco di esperienze, per un incontro che è un viaggio di emozioni e momenti. Una chiacchierata tra amici, insieme ai giovani dove STEFANO ACCORSI – premiato con l’EXPERIENCE AWARD – trova spesso nuove ispirazioni. Senza alcun indugio, perché è quell’aspetto così essenziale a convincerlo ogni volta un po’ di più. “Di questo Festival conservo sempre un ricordo bellissimo, qui trovai la semplicità del contatto e l’immediatezza“, ha raccontato. “È meravigliosa la contaminazione, trovarsi la sera a cena tutti insieme e raccontarsi senza limiti. Questo Festival ci dice a chiare lettere che la passione è fondamentale e diventa importante ogni giorno di più”.
Un nuovo abbraccio, questa volta più maturo e intenso. Interprete di storie incredibili e appassionanti, è uno dei prestigiosi talenti del grande cinema italiano: nel 1991 la sua prima volta al cinema, con Pupi Avati in Fratelli e sorelle. Poi un susseguirsi di film che hanno segnato con intensità e riconoscimenti il suo percorso artistico, da Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enza Negroni a L’ultimo bacio di Gabriele Muccino, passando per i successi senza tempo di Ferzan Özpetek Le fate ignoranti e Saturno Contro. “Ferzan è un fuoriclasse, artista e artigiano insieme: ha un approccio artistico alla materia mantenendo ben saldo quel contatto con il pubblico – ha confidato ai masterclassers –. Ti propone un film solo se è veramente convinto che fa per te, è un mio caro amico anche se nel corso di tutti questi anni ci siamo spesso persi di vista ma quel filo che ci tiene legati rimane sempre saldo”. Accorsi con Ozpetek ha regalato alcune delle sue interpretazioni più intense ed è con La dea fortuna, che vedremo nelle sale il prossimo 28 novembre, che torna a vestire i panni di uno scrittore gay: “Dopo aver letto il copione mi ha detto che non ci sarebbe stato il tempo di darsi delle risposte perché quello era il tempo delle domande – ha anticipato -. Aveva ragione, non bisogna stare attenti a cercare le soluzioni perché a volte può essere utile avere un problema, rappresenta il cuore della creatività. La cosa più bella di questo film è che non ha tesi, non parte da teorie e preconcetti. È un sogno fatto da Ferzan Özpetek, messo in scena poi con una storia inedita e sorprendente”.
Nessuno stereotipo assicura, solo emozioni e spunti di riflessione. “La famiglia è il posto dove c’è l’amore – ha risposto convinto –. La storia che un bambino deve stare dove ci sono una mamma e un papà non mi piace affatto, anche perché intorno a noi vedo ancora bambini che non sono felici e maltrattati. Conosco tanti figli di coppie omosessuali e sono bambini come tutti gli altri: dove c’è amore c’è la felicità e la famiglia è il luogo dell’amore. Il resto sono convenzioni”. Messaggi profondi, consegnati ai masterclassers perché “i giovani non hanno sovrastrutture, sono limpidi. Le vostre domande sono linfa – ha aggiunto -. Alimentate sempre le vostre passioni, supportatele e incentivatele”. Ed è la tenacia quell’elemento imprescindibile che deve farla da padrone, non ha dubbi. “Con la serie 1992 ho dovuto avere tanta costanza, cinque anni di pazienza e lavoro costante – ha spiegato Accorsi -. È stata una lavorazione lunga e complessa, ero partito con l’idea di fare una biografia televisiva su Berlusconi. Poi ho capito e mi hanno fatto capire che Mediaset e Rai non mi avrebbero mai permesso di farlo. Qualche produttore mi ha detto di no – ha continuato – fino all’incontro con Sky. La prima serie ha appassionato molto, è stato un successo quasi inaspettato e adesso vi aspetta la terza serie che sarà quella più matura e convinta”.
Non sarà nel sequel di The Young Pope, ma lavorare accanto a Paolo Sorrentino è stata sicuramente una di quelle esperienze più belle della sua carriera. “È stato un privilegio, scrive in maniera sublime – ha risposto ai masterclassers -. Tutto è perfetto, ha il controllo totale del set cinematografico. Crea delle regole ferree, ma tutto questo favorisce la serenità. Si inventa cose che sono più vere della verità è riesce a raccontare l’essenza dei suoi personaggi: è tra quei registi di cui ti basta vedere quattro inquadrature per capire che si tratta di un suo film”. E a chi gli ha chiesto se avesse voglia di reinventarsi alla regia, non ha avuto perplessità a rispondere: “Mi chiedo spesso se c’è davvero questo bisogno di un altro regista che non si sa quanto bravo possa essere quando invece siamo circondati da professionisti di altissimo livello. Fare il regista è un mestiere specifico, sono pochi quegli attori che sono diventati davvero grandi in quelle vesti, mi viene da pensare a De Sica, Moretti, Allen, Eastwood. Certo, se si tratta di esigenze è giusto provare a farlo”.
Umiltà e talento, per un grande attore che conserva ancora tanti sogni nel cassetto. “Sto lavorando a due serie che mostreranno un nuovo lato di me – ha concluso -. Fate delle vostre passioni il vostro lavoro, soprattutto oggi che viviamo e vivete un momento profondamente difficile contraddistinto da una crisi globale che ha generato scontento e infelicità dove non è semplice immaginare quello che sarà. Respirate questa aria che fa bene al cuore, qui a Giffoni in mezzo a voi la speranza non smette di battere forte”.
Si chiama “Ora basta” ed è una canzone contro l’indifferenza, un inno alla vita e alla speranza a sostegno della fondazione ‘A Voce d’e creature di don Luigi Merola. A comporla è stato un gruppo di rapper napoletani, su progetto e idea del regista Ambrogio Crespi. Nella Sala Blu Grimaldi Lines va in scena, a cospetto dei giffoners della Masterclass Connect, il videoclip del brano. Perché “per dire basta alla violenza – afferma il presidente della Commissione anticamorra della Regione Campania, Carmine Mocerino – abbiamo bisogno di tutti, soprattutto di voi giovani”.
Il progetto nasce da un’idea del regista Ambrogio Crespi, è una produzione musicale di Michele Sbam che vede alla regia Niccolò Crespi e Gianni di Maria e al montaggio Francesco Barozzi. I fondi raccolti dai diritti della canzone, prodotta da Index Production, saranno destinati a progetti per la tutela e l’inclusione dei più piccoli messi su proprio da don Luigi, assente a Giffoni per un contrattempo. La canzone nasce per una bambina: è dedicata alla piccola Noemi, la bimba di quattro anni ferita da un proiettile vagante durante un agguato di camorra a Napoli. “Stavamo facendo un film che parla di testimoni di giustizia, l’opposto di Gomorra”, racconta Ambrogio Crespi. Ed è da lì che tutto si mette in moto. “Ora basta – racconta Sbam – inizia in un viaggio in treno Roma-Napoli. È da lì che inizio a contattare i miei colleghi. Il progetto nasce subito: in 48 ore ognuno corre per metterci la faccia”.
A sostenere il progetto è anche la commissione Anticamorra e beni confiscati: “Rappresentiamo il pezzo delle istituzioni che sposa questo progetto – spiega Mocerino – un progetto di giovani che dicono basta alla violenza e basta alla narrazione di una Napoli violenta”. E aggiunge: “Da sempre Giffoni attraverso la cultura forma giovani, ed è importante lanciare proprio da Giffoni questo progetto. Siamo particolarmente contenti di essere qui e sostenere questa iniziativa – aggiunge – che può essere collocata in un progetto più ampio che noi definiamo la Rivincita dello Stato”. Non manca un riferimento alla serie Gomorra: “L’abbiamo vista tutti, ha avuto grande successo. Ma è una narrazione monotematica di una Napoli che c’è e che nessuno vuole negare che ci sia. Noi, invece, vogliamo narrare in positivo la Napoli che c’è. Bisogna ribaltare le cose – conclude Mocerino – Abbiamo bisogno di tutti, soprattutto di voi giovani”.
Sul palco, accanto a Sbam, anche altri autori del brano scritto e interpretato per rompere il silenzio dell’omertà: El Koyote, Palù, Marziano, Red Family, Gesualdo, El Barrio, Kiaman, Blaak Jack.
Gino Castaldo, guru del giornalismo musicale italiano, lo dichiara subito: “Io di Daniele sono fan e amico, una cosa sempre un po’ complicata da gestire nel mio mestiere…”. E Daniele Silvestri rincara la dose nell’incontro con i Masterclassers Music&Radio di Giffoni 2019: “Abbiamo anche una cosa molto personale in comune: quando abbiamo iniziato, entrambi i nostri papà facevano gli autori per la tv. In comune abbiamo anche la fortuna, perché fare il lavoro per cui si ha passione è una delle fortune più grandi che ti possono capitare”. E la passione di Daniele per la musica è vecchissima se – come racconta lui stesso – è stata il primo gioco conosciuto da bambino. Nell’infanzia era un gioco individuale e continuo, poi nell’adolescenza è diventato socializzante. Ma ora ancora è tornato a divertirsi come da bambino, perché nella musica c’è qualcosa di istintivo, che va oltre il ragionamento, i contratti e le scadenze discografiche…
Daniele è sempre innamorato delle persone e del mondo, e il suo ultimo album, La terra sotto i piedi, ne è la testimonianza: se in Acrobati denunciava la sua età mettendosi a distanza e guardando, nei 3 anni da quell’uscita discografica il mondo – non solo quello musicale – è andato avanti e lui è risceso per terra per raccontare quello che vede. Anche attraverso i suoi due figli di 16 e 17 anni, con gli occhi del padre. “Perché il mondo, nel suo cambiare tantissimo, ci ha regalato tante cose affascinanti: le piattaforme su internet, il mondo chiuso nel palmo di una mano, quella roba lì ci dà delle possibilità che nessun altro ha avuto prima. Questi cambiamenti hanno modificato i nostri giorni e forse anche il nostro fisico (le mani si adeguano al pollicione spolliciante); cambia il modo di essere adulti, di essere insegnanti. Cambiamenti affascinanti ma arrivati tutti senza istruzioni per l’uso. E siamo noi che dobbiamo metterci dentro rispetto, dignità, gli ideali più vecchi e più forti di sempre per riuscire a scrivere quel libretto delle istruzioni”. Tutto questo era talmente importante, difficile da dire, che ha sentito l’urgenza di raccontarlo.
Non solo tematicamente, anche musicalmente Daniele non si riconosce né è riconducibile a uno stile preciso, a una scuola precisa. E questo che è il suo grande pregio ma anche il suo difetto, gli ha consentito negli anni di continuare a sperimentare, mettersi in discussione, anche fare errori… “Da ragazzino avevo questa grandissima passione – racconta lui stesso – e avevo l’ambizione di andare avanti nonostante non fossi bravissimo, quindi nell’ostinazione ho trovato un mio modo e forse anche delle innovazioni per tutti: non sono un grande interprete, così ho dovuto scrivere in una maniera diversa, per poterci cantare sopra. Il modo di far salire uno sul palco a ballare a Sanremo… Se siamo veri in ciò che facciamo, se ci mettiamo dentro le cose che davvero amiamo, che ci fanno alzare dal letto la mattina, troviamo un nostro percorso sincero e magari anche innovativo”.
E rispondendo a una domanda dei masterclassers sul come e dove nascano le sue canzoni, Silvestri regala anche un piccolo, importante ricordo personale (“Questa non l’ho mai detta neanche a te”, dice ridendo rivolto a Castaldo): “Quando ho iniziato c’era un luogo che mi piaceva tanto, un albero sul lungotevere delle Vittorie, dove andavo a scrivere. Uscivo di casa con la chitarra, prendevo l’auto e andavo lì. Dieci anni dopo ho scoperto che mio padre andava sotto lo stesso albero a scrivere”.
Stefano Fresi si è letteralmente lanciato sulla folla che urlava il suo nome a bordo del blu carpet. L’accoglienza è decisamente regale, come si conviene a due personaggi storici della Walt Disney, Pumbaa e Timon. Dopo 25 anni dal cartoon originale, torna al cinema in una nuova versione il 21 agosto, ma prima l’attore, in coppia con l’amico e collega Edoardo Leo, porta in scena al Giffoni 2019 i retroscena e gli aneddoti legato al doppiaggio del duo di migliori amici di Simba (a cui invece presta la voce Marco Mengoni).
Fresi e Leo hanno conquistato il pubblico sotto una pioggia di palloncini e coriandoli con il sottofondo della splendida colonna sonora del film firmata da Hans Zimmer. E sono stati loro a chiedere foto e selfie prima ai fotografi e poi ai bambini che li attendono con trepidazione in sala. Abbracciati alla versione peluche dei rispettivi alter ego animati, hanno incontrata poco prima la stampa, curiosissima di guardare la premiere del film con i piccoli giurati. “Quando io ero piccolo – scherza Edoardo Leo – Giffoni era ancora in bianco e nero”. L’attore e regista racconta di aver sentito parlare da anni del festival ma di aver davvero vissuto la magia dell’evento quando vi ha partecipato per la prima volta. Leo, ricollegandosi al tema ambientale del Festival, ne ha anche approfittato per fare un paragone e un appello: “Quello che ci tengo a dire è che la realtà del film esiste veramente, in Africa. E non sappiamo ancora per quanto il mondo immortalato in questi film, ‘congelato’ al 2019, continuerà a esistere. È compito nostro, vostro far rimanere quella natura immacolata, e sta a noi
difenderla, altrimenti non la vedremo mai più“.
Il ritorno, stavolta, è stato decisamente in pompa magna: “Quando ti dicono che Giffoni è pazzesco pensi che sia figo e basta, insomma un festival come gli altri. E invece no, appena ci metti piede ti rendi conto che è qualcosa di totalmente diverso dal resto e assolutamente cruciale al giorno d’oggi in cui cinema e cultura sembrano argomenti noiosi. Qui i ragazzi sono davvero appassionati ed entusiasti di incontrare gli artisti, il che mette decisamente in una condizione di responsabilità. Ricordo quando da bambino incontravo un artista e mi sembrava un faro. Ecco, non dico di esserlo, ma da persona molto attiva sui social cerco di stare attento al messaggio che propongo”.
Chi chiede a Stefano Fresi cosa pensi del tema 2019, Aria, si sente rispondere con una battuta: “Parlare di aria con Pumbaa è pericoloso e per far rispondere lui non saprei bene dove posizionargli il microfono. Battute a parte, Giffoni mi è mancato molto in questi anni di assenza perché non ho mai ricevuto domande così intelligenti, i giurati sanno cose di me e del mio lavoro che neppure mia madre conosce, sono preparatissimi”.
ALESSANDRO BORGHI, tra gli interpreti più intensi, delicati e talentuosi del cinema italiano, incontrerà jurors, giffoners e masterclasser Cult nella giornata di oggi. L’attore romano dallo sguardo di ghiaccio, sarà ospite della 49esima edizione del Giffoni Film Festival, per incontrare giurati e masterclasser della sezione Cult, e ricevere lo SPECIAL TALENT AWARD.
Sensibilità spiccata, travolgente e malinconico, doti mostrate tutte d’un fiato con la straordinaria interpretazione di Stefano Cucchi in Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, che gli è valso il David di Donatello come miglior attore protagonista alla 75esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Un trasformismo continuo quello di Borghi, attore in grado di mimetizzarsi e reinventarsi in ogni ruolo, spiazzando e convincendo critica e pubblico: da Suburra a Non essere cattivo, passando per Fortunata di Sergio Castellitto, Napoli Velata di Ferzan Özpetek e Il Primo Re di Matteo Rovere.
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