“Truffaut ha detto che questo è il Festival più necessario e io aggiungerei che è anche il più divertente. Oggi è stata una delle giornate più belle della mia vita, non riesco a esprimere a parole quanto mi avete emozionato”. Parola di WOODY HARRELSON, al termine della sua giornata al Giffoni 2019 in cui ha ricevuto il PREMIO FRANÇOIS TRUFFAUTe ha anticipato i suoi progetti futuri, a partire da Zombieland: Double Tap (nelle sale italiane il 14 novembre) a Midway di Roland Emmerich, il film sull’omonima battaglia della Seconda Guerra Mondiale nei cinema della Penisola il 28 novembre. Proprio i ruoli in Zombieland, insieme a quello in Hunger Games sono tra i suoi preferiti. “Mi sorprende sempre che mi paghino per girare questi film, mi diverto così tanto che li farei gratis”, ha detto Harrelson ai giffoners.
Proprio ai giurati l’attore ha poi presentato “Lost in London”, suo debutto da regista. Si tratta di un unico piano sequenza di cento minuti girati nella capitale britannica e proiettati live in 550 cinema americani, che prende come ispirazione il film tedesco Victoria di Sebastian Schipper del 2015. “All’inizio – racconta Harrelson ai jurors che avevano appena finito di vedere la sua opera prima – non pensavo minimamente che, per le difficoltà logistiche, sarebbe diventato odissea e incubo al tempo stesso, con un attore che ad un certo punto non si è presentato lasciandoci un minuto nel panico o con il presunto allarme bomba a Waterloo Bridge. Comunque l’intento era di virarla sul comico anche se poi quest’effetto divertente, nella finzione come nella vita, si ottiene dai contrasti”.
Su Now You See Me 3, in cui potrebbe riprendere il ruolo già interpretato nei primi due capitoli, invece scherza: “Questa notizia mi giunge nuova”, afferma, con la stessa maestria del suo mentalista e quella “poker face” in grado d’ingannare l’interlocutore e farla franca. “Un progetto su cui lavoro da tempo, invece – aggiunge – The Misadventures of Mr. Fitz, una slapstick comedy che probabilmente vedrà la luce quando diventerò meno pigro. Sono in fase sceneggiatura e ho deciso di ambientarlo in Irlanda, terra che amo, subito dopo l’Italia, il mio posto preferito al mondo”. Intervistato dai giffoners ha poi aggiunto: “Sarà anche questa una commedia perché amo far ridere la gente”.
Accompagnato in sala dalla moglie, dalle tre figlie e dagli amici di Ravello, dove trascorre spesso le vacanze, ha espresso il desiderio di lavorare con “Paolo Sorrentino, uno dei più grandi registi viventi. The Young Pope è una delle mie serie preferite. Credo che la tv stia facendo davvero un ottimo lavoro e mi piace quasi più del cinema”. Già protagonista nella prima stagione della serie cult True Detective, tornerà presto al piccolo schermo con The Most Dangerous Man in America. A Giffoni, prima di salutare i ragazzi, li ha invitati a non abbandonare i loro sogni: “Se ricevete un rifiuto, lasciatevelo alle spalle: dentro di voi dovete continuare a trovare la forza di essere voi stessi“.
Quello che il direttore Claudio Gubitosi ha raccontato è l’inizio di una storia. Nella Sala Blu – Grimaldi Lines, di fronte ai ragazzi della Masterclass “Connect”, una nuova storia che segna l’avvio di una collaborazione, una nuova storia che definisce un link, inedito e stimolante, tra Giffoni e Tokyo, tra Italia e Giappone, una contaminazione culturale di grande suggestione e che trova nel cinema per ragazzi il suo comune denominatore.
Ospiti di Giffoni 2019 sono stati Mitsuo Tahira, direttore del Kineko International Children’s Film Festival, evento arrivato alla ventiseiesima edizione, e Hirofumi Nomoto, presidente della Tokyo Corporation, che del festival giapponese è tra i principali sostenitori.
La nuova storia ha come cornice il cinquantennale di Giffoni con la definizione di una collaborazione che metta in collegamento diretto Giffoni, città dell’entroterra campano e capitale mondiale del cinema per ragazzi, e Tokyo, metropoli del Sol Levante depositaria e testimone di una cultura millenaria e ricchissima.
Il prequel di questa storia tutta da scrivere è stata la visita del direttore Claudio Gubitosi, del presidente di Giffoni Experience, Piero Rinaldi, di Jacopo Gubitosi, responsabile delle relazioni istituzionali di Giffoni e di Tony Guarino, responsabile delle relazioni internazionali di Giffoni Experience, a Tokyo lo scorso novembre, in occasione dell’edizione 2018 del Kineko International Children’s Film Festival. Il Giappone ha tributato un vero e proprio omaggio al direttore Gubitosi e alla storia, blasonata ed intensissima, di Giffoni.
In sala è stato proiettato un video, ideato e realizzato proprio dal direttore Gubitosi, che ha di fatto offerto una panoramica dell’esperienza nipponica: dal riconoscimento assegnato a Claudio Gubitosi per aver fornito in questi anni un contributo così prezioso alla cinematografia per ragazzi e per lo straordinario esempio fornito al festival di Tokyo, all’incontro con Paolo Calvetti, direttore dell’Istituto di Cultura italiana a Tokyo che ha manifestato entusiasmo per la possibilità di avviare nuove forme di collaborazione dal punto di vista culturale tra l’Italia ed il Giappone. Ed in questo senso Giffoni è certificazione di qualità, è esempio di investimento virtuoso, una case history, una storia di successo tutta locale e tutta globale.
Emozionato il direttore Gubitosi nell’introdurre Hirofumi Nomoto, presidente della Tokyo Corporation, un mecenate, un filantropo, un manager di successo che non ha smarrito la voglia di sognare, che avverte ancora l’urgenza di vedere nelle nuove generazioni il seme buono del mondo che sarà: “Adesso – così l’ha introdotto il direttore Gubitosi – avrà modo di conoscere Giffoni, questa nostra bella realtà. Non abbiamo costruito tutti i palazzi che ha costruito lei con il suo gruppo imprenditoriale, però non ci lamentiamo. Questa è la Giffoni Multimedia Valley, struttura finanziata con fondi pubblici, dove potranno lavorare nel prossimo futuro tutti quei giovani che vogliono trovare casa nel mondo della creatività, della cultura e dell’innovazione“.
Emozione condivisa da Hirofumi Nomoto che ha raccontato il suo rapporto con il cinema, un rapporto che è iniziato sin dai primi anni di vita: “Amo il cinema – ha dichiarato – sin da quando ero piccolo e questo ricordo lo porto dentro di me e quando sono cresciuto ho conservato questa memoria. Il primo film è stato un film indiano che mostrava persone indigenti, costretti a vivere in case molto umili. In quel momento è nata probabilmente dentro di me l’idea di sviluppare l’urbanistica“.
Poi il monito ai ragazzi presenti in sala: “Cercate di avere – ha continuato il presidente della Tokyo Corporation – quante più esperienze possibili. Perché l’esperienza vi aiuterà a creare, ad immaginare e questo vi servirà per costruire il vostro futuro. L’esperienza vi aiuterà a cambiare modo di pensare quando avrete difficoltà, quando si porranno davanti a voi ostacoli che dovrete superare. Non abbandonate mai i vostri sogni. Oggi, qui a Giffoni, avete la possibilità di fare una bella esperienza e di compiere qualche passo in avanti perché avrete modo di conoscere tante persone nuove, che arrivano da tanti Paesi diversi dal vostro. Fatene tesoro e continuate a coltivare i vostri sogni». D’accordo il direttore Guitosi che ha aggiunto: «Una città fatta di case non serve a niente. Una città fatta di case e sogni è una bella città“. Tutto questo a Giffoni che è città fatta di case, ma soprattutto di sogni. Sogni realizzati e sogni ancora da realizzare.
Entusiasti i masterclassers della Connect. L’incontro si è chiuso con la consegna della Riggiola d’Arte Giffoni 2019 dalle mani del direttore Gubitosi. Con lui il presidente Rinaldi ed il sindaco di Giffoni Valle Piana, Antonio Giuliano. Sul finale un selfie di gruppo e l’esclamazione di gioia “Fantastico!” di Hirofumi Nomoto in un perfetto italiano. A conferma che le distanze non esistono. A Giffoni meno che mai.
Loro si sono conosciuti sui banchi di scuola, quindi è normale che la prima cosa che facciano incontrando i Masterclass Music & Radio di Giffoni 2019 sia l’appello. Raccontano delle prime imitazioni a scuola, dei rimproveri dei genitori, ma descrivono anche il tanto lavoro meticoloso che sta dietro al fare satira: “l’ideazione, la scrittura, la recitazione, il montaggio e …Negroni, tanto Negroni!”. Mai seri sino infondo, raccontano di come il loro percorso nella definizione di un linguaggio idoneo al mezzo sia stato inverso rispetto a quello di tanti altri: hanno iniziato in una piccola radio cittadina, Radio Ticino Pavia, dove conducevano una trasmissione comica, con imitazioni e parodie sul mondo del calcio, e poi hanno usato l’audio di alcune puntate andate in onda in radio per fare dei post sui social montandoci su delle immagini. Così hanno dovuto adeguare il linguaggio della radio a quello dei social (solitamente il successo che arriva dai social è di artisti e personaggi nati sui social stessi). Poi il fratello dell’editore di 105 ha notato un loro post su Facebook e li ha contattati, così sono tornati a fare radio. Senza mai smettere d’essere scemi (neanche chi di loro all’università ha fatto anche la magistrale).
Una madre coraggio 3.0: Elodie racconta ai Masterclassers Music di Giffoni 2019 che a un certo punto della sua vita ha deciso di smettere d’aver paura, paura del fallimento, di non essere all’altezza; lei ha deciso di vivere la sua passione – la musica – e si è lanciata oltre tutti i no ricevuti, oltre tutte le reticenze. Perché è una donna alfa, aggredisce le cose per paura che le sfuggano, si sveglia tutti i giorni col sorriso e la voglia di fare e di fare meglio. Il titolo dell’incontro è “Donne in musica” e Roberto Pavanello e Davide Poliani sottolineano come ci sia una grande tradizione a riguardo (da Billie Holiday a Billie Eilish) ma evidenziano anche il fatto che per colmare il gender gap si ricorra spesso alle quote rosa, che non sono ben viste da tutte le donne (l’obiezione è sempre: vorrei essere scelta come artista e non in quanto quota rosa). Elodie però taglia corto: sì, ci sono molto meno donne nella musica ed è discriminatorio, quindi le quote rosa sono un’opportunità da sfruttare senza arricciare il naso; se sai sfruttare l’opportunità, la gente imparerà ad apprezzarti per quello che sei, che vali. Lei va dritta al punto ed è sempre professionale, puntuale, severa con se stessa sul lavoro. Ma questa storia che una donna che fa musica per essere credibile debba essere triste, magari un po’ bruttina, proprio non la digerisce: anche questo è discriminatorio, mentre lei se ne infischia ed è felice, orgogliosa di sé, ama il suo aspetto e i suoi vestiti. “Il mio lavoro non mi deve impedire di essere umana: compro il pane, prendo la metro e ho mal di pancia; devo vivere oltre il lavoro” e quando in passato lo staff intorno a lei le ha chiesto di essere più attenta alle persone e agli uomini con cui esce, se ne è infischiata: anche questo è gender gap e decisamente metterle il guinzaglio non è cosa facile! I ragazzi chiedono: c’è un futuro migliore, più paritario dietro l’angolo? La risposta è sì, ma “dovremmo essere educati ad essere liberi di poter scegliere, sempre”.
“Non avete piena consapevolezza della vostra fortuna, della bellezza di essere a Giffoni: la condivisione delle vostre diversità vi rende degli esseri speciali”. Così Ciro D’Emilio, protagonista della prima Masterclass Cult del pomeriggio, ha salutato i tantissimi ragazzi accorsi alla visione di Un giorno all’improvviso, la sua toccante opera prima. Il lungometraggio ritrae l’esordio alla vita adulta di un diciassette attraverso la perdita della figura materna come bussola essenziale, come vero centro di gravità.
“Antonio, il giovane protagonista, è il classico bravo ragazzo: lavora, non ha vizi, dedica tutte le sue energie all’allenamento e si arrabbia per la poca stabilità emotiva di una madre mai cresciuta”, ha chiarito l’esordiente cineasta campano. “Attraverso la sua saggezza e la tenace lungimiranza delle sue quotidiane azioni – ha aggiunto riferendosi ancora al protagonista del suo film – tenta di sottrarre se stesso e la figura genitoriale dai dolori del presente. Un oggi su cui, ironicamente, svetta costantemente il solo occhio di un’assistente sociale pronta a decidere del futuro del ragazzo”.
Un film potente, la cui intensità emotiva emerge sin dalla prima scena: “Lo spettatore è indotto a vestire i panni scomodi di entrambi i protagonisti. Le vicende di Antonio e Miriam hanno la stessa dignitosa sofferenza della vita ordinaria a cui siamo tutti piegati e a tratti rassegnati Ciò nonostante, oltre i dispiaceri, rimane la consapevolezza che ci possa essere spazio sempre per il sogno anche all’interno della pena”, ha proseguito D’Emilio.
A rendere ancora più corale l’opera prima del regista è l’assenza di banalizzazioni e semplicismi: “Sin dalla prima battuta ho rifiutato l’idea di un’opera cinematografica che rendeva centrali dinamiche psicologiche spicciole. Al centro, viceversa, ho voluto consciamente porre due esseri umani che desiderano essere solo fedeli al proprio io. Potrebbe apparire scontato, ma solo questo principio mi ha convinto che il film in conclusione potesse apparire verosimile e perciò piacevole”, ha concluso il regista.
Energia e curiosità, fantasia e vivacità: è la proiezione riservata agli Elements +6 della 49esima edizione del Festival. JACOB, MIMMI AND THE TALKING DOGS, tra realtà e fantasia, ha entusiasmato i jurors che insieme al regista Edmunds Jansons hanno riempito di gioia la Sala Lumière. “Vi guardo e capisco la bellezza– ha salutato così i giffoners Jansons -. Sento che il messaggio del film è arrivato forte e chiaro ed è meraviglioso vedere la curiosità nei vostri occhi, rappresenta uno stimolo necessario”. La storia di Rocca e la sua simpatia hanno convinto i piccoli giurati, tante le domande e le promesse che hanno contraddistinto l’incontro. Tra superpoteri e desideri, sempre con il sogno di un mondo migliore e sorridente.
YOU DESERVE A LOVER di Hafsia Herzi ha invece coinvolto i Generator +18 con una storia di amori e tradimenti. La regista, emozionata e entusiasta, in Sala Lumière con i giurati ha raccontato come è nata l’idea di una vicenda così tormentata e movimentata: “L’amore è tutto quello di cui abbiamo più bisogno ragazzi – ha commentato la regista -. Difendetelo sempre, e difendete sempre voi stessi. Non lasciatevi mai spaventare da quei grandi che vogliono annullare i vostri sogni, stasera torno a casa con un po’ di amore in più e con un’accoglienza che mi ha fatta sentire davvero importante”.
Una giornata all’insegna delle emozioni per i giurati della 49esima edizione del Festival, che tra forti applausi hanno accolto anche il film di Keith Behrman: un racconto intimo e sincero ha parlato al cuore dei Generator +16 per un messaggio di libertà forte e pulsante. “Sono cresciuto in una società sopraffatta dall’omofobia e ho visto tante persone togliersi la vita per il peso di un commento e di un’offesa – ha raccontato il regista di GIANT LITTLE ONES -. Questo film è nato proprio dall’esigenza di testimoniare che l’amore è libero di presentarsi in qualsiasi forma, e che la superficialità e la cattiveria non possono toglierci la speranza e la libertà. Dobbiamo accettare quello che siamo e quello che gli altri sono – ha continuato -. Le cose che non conosciamo devono affascinarci e stimolarci, non vanno perseguitate”.
“Questo festival ha il compito di trasmettere ai giovani la nostra passione. È un’impresa ardua avvicinare i giovani al cinema: voi ci state riuscendo e io mi sento parte di questa narrazione”. Sara Serraiocco torna a Giffoni per la seconda volta e si dice “contentissima di esserci”. Perché, confessa, “ci sono stata già tre anni fa e sono rimasta sbalordita”. L’attrice di Pescara, premio Biraghi come esordiente nonché Globo d’Oro alla miglior attrice per il ruolo di Rita nel film Salvo di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, ribadisce di essere “contenta delle scelte fatte”, portate avanti con la “determinazione di mettersi alla prova”, e ammette di sentirsi “fortunata” per aver iniziato il suo lavoro da giovane. Non nasconde l’impegno costante, la volontà di “prendere tutto da tutti per arricchire l’esperienza”, anche all’estero. E rivela: “Ho lavorato tantissimo sul mio inglese, uno dei problemi per cui noi italiani abbiamo difficoltà a entrare nel mondo del cinema internazionale”. Sara, protagonista del film di Giovanni Veronesi Non è un paese per giovani, riflette sul proliferare di progetti spesso privi di contenuto: “Lo spettatore ha sempre meno attenzione nei confronti dell’immagine che percepisce. Pensiamo a Instagram: dobbiamo colpire chi guarda in due o tre secondi altrimenti passa avanti. Anche i registi sono in difficoltà con le produzioni, alla costante ricerca del colpo di scena per evitare che lo spettatore si annoi”. E sulle serie tv non ha dubbi: “Siamo diventati bulimici, non ci bastano mai”.
Con un film si racconta una storia. Si trasmette un’emozione, un pensiero. Si fa vivere chi non c’è più. Succede per la vicenda di Antonio Esposito Ferraioli, sindacalista della Cgil ucciso dalla camorra il 30 agosto del 1978 a Pagani, narrata dal cortometraggio “Tonino”, con la regia di Gaetano Del Mauro, presentato alla Masterclass Eco del #Giffoni2019. “Quei proiettili colpiscono tutti noi” sottolinea Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, associazione contro le mafie, e le sue parole sono un monito. “Quando ti uccidono un figlio, un parente, colpiscono anche te. Penso alla famiglia di Esposito, alla sua mamma, ai suoi fratelli. Dobbiamo sentire che quei colpi hanno preso anche noi. Altrimenti è retorica della memoria. La memoria dev’essere viva. E’ bello che in questo film Tonino parli di sé. Perché rivive. E’ importante la carne marcia, al centro di questa storia, perché i reati a tavola, il cibo, la cucina, l’agroalimentare sono sempre più al centro degli interessi delle mafie. E’ importante la lotta per i diritti dei lavoratori, portata avanti da Tonino, col suo coraggio”. “Chi decide, sceglie di tutelare i suoi compagni di lavoro per primi – racconta commossa Gianna Fracassi, vicesegretaria nazionale Cgil – vuol dire garantire la loro salute, la loro sicurezza. Questa è la cosa semplice che un sindacalista, o ciascuno di noi, può fare. Bisogna scegliere, prendere posizione. E’ difficile, ma vale la pena. Ci sono i nuovi schiavi, italiani e migranti, i caporali. Ma c’è chi combatte, chi decide di essere un uomo o una donna libera”. Toccante e doloroso è il ricordo di Mario Esposito Ferraioli, fratello di Tonino: «Qui porto l’affetto e il bene che voglio a mio fratello. Tonino era, è un ragazzo come tanti, con i suoi sogni, faceva lo scout, il cuoco. Non ha chinato la testa non si è fatto corrompere. Non si può trasmettere la legalità se non la si vive. Di questi tempi in cui è più facile tacere e far finta di non vedere, la legalità non è qualcosa che si insegna, ma si consegna giorno per giorno, con i gesti, gli esempi, quotidiani”. L’attrice salernitana Annarita Vitolo, che nel corto interpreta la sorella di Tonino, ha raccontato “la delicatezza e l’emozione di rivivere una storia difficile da raccontare, con garbo, con la cura che si deve a chi non c’è più”. Gli autori, Aldo Padovano, Federico Esposito e Alfonso Tramontano Guerritore, tutti di Pagani, hanno parlato di “necessità di raccontare la storia di Tonino, per farla vivere e conoscere, togliendola dall’oblio”. Claudio Gubitosi, direttore di Giffoni Experience, ha sottolineato “la assoluta necessità di portare avanti progetti del genere, di raccontare le storie della realtà che ci circondano, anche quando sono dolorose”. La Masterclass si è chiusa con la firma congiunta del protocollo Giffoni per la legalità e responsabilità sottoscritto dall’ente autonomo Giffoni Experience, Libera, Flai Cgil e Fondazione Polis, già partner nella produzione del film insieme all’Associazione ‘Ambress am..press’, con il direttore Gubitosi a consegnare un’opera artistica celebrativa dell’edizione 2019 dell’Experience, realizzata da artisti locali, a Don Luigi Ciotti e Gianna Fracassi.
Sofia Dalle Rive e Carlotta Ferlito raggiungono ‘a fatica’ il palco della Sala Truffaut, piena di jurors entusiasti di incontrare due loro beniamine e determinati a strappare un selfie, una foto, un ricordo da condividere con i propri amici, non solo virtuali. Un entusiasmo coinvolgente che travolge Sofia e Carlotta, al loro primo carpet in un festival cinematografico, ma già affiatatissime. Arrivano a #Giffoni2019 per La rivincita delle sfigate, il film di Olivia Wilde in anteprima alla 49esima edizione grazie a Leone Film Group e Eagle Pictures e in uscita nelle sale italiane il 21 agosto, che racconta la storia di due amiche, Molly ed Eva, che alla vigilia del diploma si accorgono di non essersi godute davvero gli anni del liceo per concentrarsi solo sullo studio. Decidono quindi di recuperare il tempo perduto tutto in un’unica indimenticabile e folle notte.
Una storia con cui Carlotta, ora studentessa universitaria e fresca di medaglia d’oro nel corpo libero alle Universiadi di Napoli, non ha difficoltà a immedesimarsi: “Ho affrontato la Maturità con tanta ansia, anche perché da perfezionista quale sono cerco sempre di dare il massimo, in palestra e anche in aula. Ma tornando indietro la prenderei con più relax“. Con i suoi 17 anni, invece, Sofia si prepara al suo ultimo anno, come le protagoniste del film ed è pronta a condividere la sua esperienza con il milione e 300mila follower del suo account, TikTok, e gli 800mila che la seguono quotidianamente su Instagram. Insieme alle medaglie della Ferlito, siamo lontani dal prototipo della sfigata, ma tutte e due confessano di essersi sentite come Molly ed Eva. “Da piccola venivo presa in giro per gli occhiali troppo doppi, ma non bisogna mai perdere la fiducia in se stessi” dice Sofia, che ora si gode la sua rivincita social. “Tutti abbiamo avuto un periodo da sfigate: l’importante è fare della propria ‘sfiga’ il proprio punto di forza” ribatte Carlotta. Un punto di forza su cui si può contare è di certo l’amicizia, quella che lega le protagoniste del film e che unisce tanti jurors, che a Giffoni incontrano quelli che saranno gli amici di una vita. “Giffoni è un’esperienza incredibile” dicono le ragazze che esortano i giffoners: “Non perdete mai di vista il vostro obiettivo e divertitevi!“. Come fanno proprio al Giffoni.
“Amare un fratello o una sorella insegna un principio semplice, ma ugualmente fondamentale: bisogna solo scegliere di amare, mai la persona da amare”. Parola di Giacomo Mazziarol, il giovanissimo autore esordiente entrato di diritto nell’olimpo degli scrittori di talento grazie al suo toccante “Mio fratello insegue i dinosauri”.
L’opera prima del ventiduenne veneto, che a settembre arriverà anche sul grande schermo per la regia di Stefano Cipani e l’interpretazione di Alessandro Gassman e Isabella Ragonese, pone al centro del racconto il rapporto altalenante tra Jack e Giovanni. Figli di una coppia innamorata ed emancipata, i due fratelli sono legati da un filo doppio: il legame di sangue e quello della sindrome di down con cui è nato l’ultimogenito. “Jack, il mio alter narrativo, attraversa l’intera fase adolescenziale nella posizione di un uomo in divenire pronto a rafforzare la propria idea iniziale: la sindrome da cui è affetto Giovanni non è un valore aggiunto, ma un blocco monolitico da abbattere, rifiutare, distruggere insieme al senso di vergogna crescente”, ha spiegato lo scrittore. “Il passaggio tra il prima e il dopo, come è semplice intuire, avviene in maniera graduale. E avrà seguito solo nel momento in cui Jack sceglierà di lasciarsi travolgere dalla vitalità del fratellino, dalla sua straordinaria magia umana”.
Il libro, capace di commuove grazie alla sua immediatezza, appare un vero inno all’imperfezione come sintomo di unicità: “L’amore di Jack nei confronti di Arianna, ormai giunto nello sconosciuto universo delle dinamiche liceali, è il vero spartiacque nell’esistenza dell’intera famiglia”, ha proseguito Mazziarol. “Giovanni, da iniziale fardello, si trasforma nel mezzo con cui Jack dovrà approcciare alla maturità: non si può pretendere l’amore incondizionato dell’altro senza avere imparato, in prima persona, ad amare accettando i difetti. E questo insegnamento pregnante arriverà propria dall’esistenza di Giovanni e all’originale punto di vista sul mondo offerto dal piccolo”, ha concluso Mazziarol.