C’è un paradosso, tra i tanti, tutto italiano: l’Unione Europea tutela le nostre ricchezze ambientali, l’Italia le cancella.
Il fiume Calore, ricadente in “zona A” (tutela integrale) del Parco Nazionale del Cilento, ha vari riconoscimenti di tutela ambientale: rientra in area SIC (sito di interesse comunitario), in ZPS ( Zona a Protezione Speciale), in Area Natura 2000, è patrimonio Unesco, Geosito d’Europa, Riserva di biosfera.
Non bastano questi riconoscimenti per garantire una protezione effettiva di un corso d’acqua che per la sua biodiversità impreziosisce, sul piano naturalistico, i luoghi della Valle del Calore ed è da tempo fonte di attrattiva turistica per l’intero comprensorio.
La captazione delle acque sorgive del fiume va oltre quanto consentito dalla legge, il deflusso minimo vitale non è rispettato e per cinque mesi all’anno il fiume è totalmente in secca.
“Il Calore, nel tratto ricadente nel comune di Piaggine,” afferma l’avvocato Pierluigi Morena del Codacons Campania, “è passato ad essere un fiume temporaneo. Il corso è in agonia, vi sono danni gravissimi alla fauna, alla flora, alla biodiversità, inoltre la secca nel tratto di Piaggine sta cancellando l’identità stessa del comune cilentano”.
Il Codacons ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Vallo della Lucania per segnalare la violazione delle disposizioni di legge che fissano il criterio del deflusso minimo e delle norme di attuazione del Piano del Parco.
“Nei prossimi giorni”, continua il Presidente professore Enrico Marchetti, “avvieremo una campagna per sensibilizzare anche l’ente Parco e le altre istituzioni interessate, non possiamo lasciare che un fiume che segna la storia delle comuni della Valle si spenga per l’insipienza degli uomini”.