Valeria fece una pausa, mentre Emily, impressionata dal racconto, ma ancora più dall’espressione dell’amica, era in ascolto muta come un pesce. Valeria continuò con voce sempre più triste: «Ad un certo punto quando la mia disperazione è giunta al massimo, mi sono coperta il viso con le mani. Ed allora è successa una cosa inaudita: ho visto Rosario che piangeva, tutto impolverato, coi capelli divenuti bianchi e scomposti. Il suo pianto mi atterriva; lo chiamavo a gran voce, ma egli, sbattuto di qua e di là dal vento, urlava e non sentiva la mia voce. Mi sono svegliata madida di sudore».
«Brutto sogno» — fece Emily — «Il vento so che porta disgrazia. Ma perché ti preoccupi di tuo padre? Non è Rosario che hai visto sballottato dal vento e pieno di polvere?
Vuoi vedere che il film che faremo con lui sarà un fiasco? Ed Alfred, oh, Dio mio! chi lo calmerà?» — e scoppiò in una sonora risata che ebbe il potere di contagiare per un attimo anche Valeria. Emily ne approfittò per dire:
«Scaccia la malinconia! Su, su ridici sopra… Se Rosario sapesse di questo sogno ti frusterebbe. Il grande uomo! E’ un ambizioso; sotto certi aspetti è più duro di Alfred».
Valeria ritornò nel suo aspetto consueto; ma la sua mente era anicora strettamente legata alle scene orribili viste nel sogno ed una malinconia grande le colmava il cuore: perché non era riuscita a vedere il padre? Perché? Perché?
Rientrata nella sua camera Valeria si pose a letto, raccogliendosi in preghiera, sperando di dormire, senza sognare. Una musica dolce proveniva dalla camera di Emily; cullata da essa Valeria cadde in un sonno profondo.
L’indomani si svegliarono entrambe serene. Emily, dirigendosi al bagno intonò una lieta canzone. Valeria invidiò la sua allegria spensierata. Più tardi Emily le chiese:
«Altri sogni?». «No, no, per fortuna».
In quel momento un cameriere bussò alla porta per consegnare una lettera arrivata da Napoli. Febbrilmente Emily aprì la busta e cominciò a leggere:
«Carissima figlia, ho cercato di contentarti ma è stato molto difficile avere notizie della famiglia che hai indicato. E’ gente riservata. Tuttavia sono riuscita a sapere che il commendatore Andrea, cioè il padre della tua amica, è rientrato solo da qualche giorno, dall’ospedale, dove era stato ricoverato d’urgenza per un fatto di cuore. Sotto sotto si dice che una figlia è andata via di casa e che il padre ne morirà». Seguivano altre notizie che riguardavano la propria famiglia in generale.
«Questo, allora, è il brutto sogno che hai fatto» — gridò quasi Emily.
«D’altra parte meglio questo che qualcosa di peggio» — aggiunse con il suo fare pratico e sbrigativo.
Valeria, invece, dava libero sfogo alle lacrime; ormai non riusciva a contenere la piena di scontento e di amarezza che era dentro di lei. Pensava con ostinazione al padre, in una ridda di sentimenti contrastanti: correre da lui, gettarsi ai suoi piedi, implorarne il perdono; ma no Valeria che pensi? Non capisci che si vergogna di te, che si è ammalato per la vergogna di te? Stattene al tuo posto e aspetta gli eventi. Solo Marco, tornando, ti potrebbe salvare. Ma tornerà egli mai?
«Oh, Marco, amore mio!» gemé finalmente Valeria — «Oh, Marco, perché ci è successo questo? Quando un palpito mi avverte dell’esistenza di nostro figlio, io penso con gioia tormentosa che è nostro. Sarà nostro? Quale destino egli avrà senza di te, essendo il mio già così miserabile?».
Natale ormai era alle porte e si preannunciava particolarmente euforico, per i numerosi alberi, collocati nei punti centrali della città, addobbati di festoni scintillanti e di luci multicolori. Emily letteralmente trascinata da questo fermento, volle di persona appendere dei doni sull’immenso albero che il direttore dell’albergo aveva fatto collocare nel salone centrale. Alfred sorrideva felice, contagiato dalla felicità un po’ puerile di lei e le profondeva, a piene mani, amore e danaro.
«Dev’essere il Natale più bello della tua vita! Però non lo festeggeremo a Messina; andremo a Palermo, dove troverai una grossa sorpresa! Eppoi ti farò vedere il Duomo di Monreale…». «Che tiene di strano?» — chiese Emily fanciullescamente.
«Bambina mia, quando saremo sposati, anche contro la tua volontà, io dovrò insegnarti a capire l’arte».
«Non ho le scuole adatte, come posso capire le pitture, le sculture, di fronte alle quali tu vai in visibilio?».
«Vedrai, vedrai. Non è necessaria una grandissima cultura per gustare la bellezza. Tu vedi un tramonto e dici: “Com’è bello!”. Che hai visto in esso? Le cose belle si sentono soprattutto. Eppoi io ti insegnerò praticamente, ti darò le nozioni necessarie di storia dell’arte, in modo che tu possa guardare un’opera con un certo interesse, senza annoiarti». Palermo apparve ai loro occhi bellissima quel giorno: stupenda regina della Conca d’Oro. Era il ventidue dicembre, ma ancora il freddo non era intenso, anzi un sole tiepido e luminoso rendeva più azzurro il cielo, più verde faceva apparire la vegetazione in prevalenza di agrumi. Sembrava veramente una festa costruita dalla forza inimitabile della natura.
«Sembrano tanti alberi di Natale!» — esclamò Emily, sopraffatta da quello spettacolo di colori, dove il rosso-arancione delle arance, risaltando nel verde, creava una scena fiabesca. Finalmente entrarono in Palermo ed anche qui l’ammirazione fu grande. Emily, senza riflettere, disse: «Mi sembra una piccola Napoli».
Alfred sorrise compiaciuto e le disse: «Mica hai detto una corbelleria, sai Emily?»
Poi rapidamente dettero uno sguardo ai principali monumenti della città ed Alfred cominciava a far capire ad Emily che quella è una città eclettica, in quanto gli artisti di tutto il mondo «hanno lasciato in essa le loro impronte» e grande centro di cultura, anzi punto di incontro di molte civiltà, da quella latina a quella araba, a quella normanna, a quella islamica e a quella bizantina.
Si trattennero parecchio a Monreale, perché Alfred e Rosario non si stancavano di annotare dettagli e di ordinare filmati agli operatori, venuti con loro, apposta.
Rosario estasiato parlava con Alfred del Duomo di Monreale, con grande competenza: «E’ veramente, come si dice, un capolavoro di architettura tardoromanica. Hai osservato le tre navate latine come sono perfettamente congiunte dai transetti bizantini e dalle absidi; vedi come armonizzano le arcate ogivali, coi soffitti e con gli elementi decorativi. Tutto concorre con grande magnificenza a creare un organismo unitario e di grandiosa armonia. Senza contare l’immenso strabiliante arazzo di mosaici che riveste le pareti esterne… ».
Le donne della comitiva sembravano ormai stanche ed un po’ annoiate.
Alfred raccolse tutti intorno a sé e disse: «Ora andremo dove voi tutti già sapete, tranne Emily, alla quale voglio fare una sorpresa. Prima di uscire di qui, però, voglio raccontarvi una leggenda. Dunque, sappiate che questo bellissimo Duomo è stato fondato da Guglielmo II, l’ultimo dei grandi re normanni di Sicilia, che fu, forse per questo, chiamato “Il buono”. Si racconta che il re ebbe la visione della Madonna mentre era a caccia nel suo parco, addormentato per la stanchezza su una zolla erbosa. La Madonna, sotto forma di «Gentildonna» gli indicò il luogo ove erano nascosti i suoi tesori. Al risveglio, il re trovò veramente tesori d’inestimabile valore, sicché, nella sua devozione alla Vergine, volle la edificazione di questo tempio».
Usciti dal Duomo si diressero al luogo dell’appuntamento, divisi in gruppi e ciascun gruppo col proprio mezzo.
Emily si mostrava un po’ imbronciata, perché Alfred le aveva taciuto la verità.
«Ecco» — diceva — «Bella cosa! mentre tutti sanno dove sono diretti, io sola, come una scema non so niente! E che sorpresa è questa?».
«Vedrai, vedrai, piccola, quando saremo arrivati. Ti porto a casa tua, capisci adesso?».
«Cioè una casa che vuoi dare a me?» — chiedeva Emily sbalordita. «E come mai tieni una casa in Sicilia?».
«Aspetta e vedrai; sto in trattative coi proprietari, che sono quattro fratelli che non vanno d’accordo tra di loro. Ma ormai è questione di qualche settimana; mi hanno consegnato le chiavi per fartela vedere. Al ritorno da New York sistemeremo il contratto e la villa sarà tua».
«Una villa? Per me? Sei ammattito, Alfred?» — gridava felice Emily ed Alfred rideva della sua ingenuità e diceva: «Non l’hai ancora vista… può darsi che non ti piacerà».
Seguendo Alfred le macchine degli altri s‘immisero per la Cimosa costiera, che si estende dal golfo di Castellammare alla foce del fiume Pollino. Presso una radura Alfred fermò la macchina e aiutò Emily a scendere. Di fronte sorgeva, forse, la più bella villa che mai sia stata eretta in contrade siciliane. Tutti guardavano quasi con soggezione l’imponente costruzione, circondata da un immenso parco, che creava un’armonia d’insieme, da lasciare stupiti i visitatori.
Era un sogno o una realtà? Emily, di fronte a quello spettacolo, ricordando la promessa di Alfred, scoppiò in pianto nella meraviglia generale. Stowe, prendendola sottobraccio, la spinse verso l’entrata, che, con gran meraviglia degli ospiti, era aperta e movimentata da camerieri che venivano incontro ai nuovi padroni.
Fu assegnato a ciascuno il proprio appartamento. Valeria ebbe una camera bellissima prospiciente sul giardino, che, sebbene da lontano, guardava verso il mare. Una profonda impressione, mista di emozione e di sgomento la prese: quella camera le ricordava la sua a Napoli. Si pose vestita sul letto e si lasciò prendere dai ricordi.
Alla fine si riportò al presente e si avvide che il suo presente era invaso da Rosario. Sentiva di far molto male, coi suoi ostinati rifiuti, ad un uomo che forse veramente le voleva bene e pensava di evitarle i disagi di un futuro incerto. Ma il suo cuore era una roccia muta, insensibile ad ogni altro richiamo che non fosse Marco, o il suo bambino.
Per tutta la durata del viaggio Rosario si era torturato nella speranza di farle entrare in testa le sue convinzioni.
Stranamente era capitata proprio nella sua macchina, insieme con un operatore che aveva preso istruzioni direttamente da Stowe; aveva creduto, così, che Emily ed Alfred sarebbero partiti con quella macchina. Invece i due amanti sfrecciarono felici sotto i suoi occhi delusi, mentre Rosario si avvicinava a lei, che sedeva sul sedile posteriore, per farla passare avanti, dicendo: «La strada non è molto buona e il viaggio è lunghetto. Passa avanti, così potrai anche vedere il paesaggio. Potrai scegliere anche il posto ove rimanere per sempre».
Valeria si era intimamente irritata, ma non volle darlo a vedere e stette allo scherzo. Rispose: «Può darsi; in ogni caso resto in Italia» — calcò la voce come per fargli intendere che non lo avrebbe mai seguito in Francia. Dopo questo piccolo scontro verbale, stettero per un pezzo silenziosi. A Cefalù Rosario dovette fermarsi una buona mezza ora, secondo gli ordini di Alfred, per permettere all’operatore di riprendere fotograficamente la pittoresca posizione della città, sullo sfondo ad est di quel roccione che va sotto il nome di «La Rocca», che strapiomba sul mare, creando delle suggestioni indimenticabili.
Valeria, invitata a scendere, ammirò quello spettacolo stupendo, in raccolto silenzio. Rosario le trovò un posto abbastanza comodo, le sedette accanto ed imprevedibilmente le chiese: «Dimmi di lui… Com’era? Ti amava veramente tanto?». Valeria ebbe un moto di contrarietà:
«Perché parli al passato? Come se fosse morto? Egli è vivo, vivo, capisci? E tornerà, ne sono certa. Io lo aspetterò tutta la vita».
Lo vide alzarsi, fare qualche passo avanti e indietro, risedersi annebbiato nello sguardo, come un toro, che impedito dalla catena, non può andare in furia. Disse, senza guardarla: «Spero che tu non debba rimpiangere mai questi momenti…».
(Continua…)