I giorni seguenti furono molto movimentati per Alfred, Rosario e gli operatori.
«Fotografare la Sicilia da tutte le parti» — aveva ordinato Alfred. Emily si annoiava ad andare con loro e parimenti a rimanere in albergo. Un giorno si vestì a puntino e disse a Valeria che sarebbe uscita da sola, in giro per i negozi.
Valeria le fu grata per non averla costretta ad accompagnarla e rimase comodamente sdraiata su una dormeuse, a leggere quotidiani e riviste che i camerieri puntualmente portavano nell’appartamento, che divideva con Emily.
Ripensava alle parole di Rosario e rifletteva tra sé: «Mio Dio, com’è stato possibile stravolgere così la mia vita, una volta così tranquilla? Per nulla al mondo seguirò Rosario. Preferisco starmene all’ombra di Emily, finché sarà possibile».
Ma soffriva le pene dell’Inferno, al pensiero che Emily potesse vantare dei diritti sul suo bambino, che volesse, magari, farsi chiamare «mamma» anche lei dal piccolo Marco. Il cuore le doleva da farle male, mentre pensava:
«Come glielo potrò rifiutare? Devo tutto a lei, indipendentemente dal fatto che avrei fatto bene a non accettare la sua proposta… Ma chi altri mi avrebbe aiutato così? Zia Gemma, con le sue fisime e le sue arie da padrona? Chi mi aiuterebbe, adesso? Rosario? Egli mi dimenticherà non appena avrà rimesso piede a Parigi…
Mi vorrebbe portare con sé, per strapparmi dalla mente Marco, per abbagliarmi col suo mondo di celluloide, a Parigi…».
Parigi! la città dai mille volti sfolgoranti, dai tentacoli pericolosi e affascinanti, la città del piacere, del capriccio, del sesso; ma anche una delle città più belle del mondo, ricca di storia, centro di cultura universale, di moda… Ma che sciocchezza lasciarsi trascinare da questi pensieri… Rosario forse era il tipo di non innamorarsi di nessuna donna. Le donne erano solo degli oggetti nelle sue mani, da amministrare bene, per produrre bei films o per mettere al mondo i figli. Ella aveva usato tutti gli accorgimenti per evitarlo dall’ultima volta che le aveva parlato. Non ne sopportava la presenza, piuttosto invadente, e quello sguardo che sembrava spogliarla e godere di metterla a nudo. Prese tra le mani una rivista di moda e cominciò a sfogliarla con interesse, quando il campanello della porta trillando la fece trasalire. Senza scomodarsi, disse a voce alta di entrare, pensando che, forse era un cameriere che le portava, come di consueto il thè. Ma quando la porta si aprì, vide, ferma sulla soglia, dritta e possente, la persona di Rosario. Si alzò di scatto e sedette su una sedia, mentre la voce le moriva dentro per la vista non gradita.
Rosario avanzò di qualche passo; richiuse la porta dolcemente e solo allora Valeria poté vedere il suo viso: la bocca chiusa, lo sguardo intenso, tutto posato su di lei, paralizzata dalla sorpresa.
«Come osa?» — pensava — «Come osa?»
Vicinissimo che fu a lei, senza sperare ch’ella aprisse la bocca per accennare un sorriso, intuendone tutta la folle inutile paura, Rosario prese una sedia e le sedette accanto. Poi lentamente le prese una mano e la strinse con dolcezza, dicendo:
«Valeria, dobbiamo riprendere quel discorso interrotto…».
«No affatto. Io lo ritenni concluso già allora».
«Perché sei così testarda? I tuoi occhi esprimono paura, perché? Perché mi temi, al punto da evitarmi, come hai fatto con grande abilità nei giorni scorsi».
«Non è paura» — si difese Valeria — «E’ che desidero risolvere da me le mie cose. Non mi servono i consiglieri».
Disse queste ultime parole con voce molto ferma. Allora accadde una cosa incredibile, che tale sarebbe apparsa sempre lungo tutta la vita di Valeria.
Rosario si mosse, mentr’ella teneva lo sguardo fisso a terra; la sollevò dalla sedia come un guscio vuoto, la tenne qualche attimo sospesa, poi la rimise in piedi e l’abbracciò strettamente, toccando col suo viso quello di lei, con grande tenerezza. Poi dolcemente l’adagiò
semisdraiata sulla dormeuse, e dirigendosi verso la porta, senza voltarsi, la richiuse piano.
Valeria rimase intontita, con la testa che ciondolava da un lato, coi lunghi capelli scomposti, meravigliata ed esausta, senza sapere esattamente cosa provasse.
Durante la notte dormì molto male, ma non volle confidarsi con Emily. Temeva che qualunque parola detta potesse comprometterla. Non odiava Rosario, ma non lo poteva neanche amare. Il suo cuore era di Marco. Era lui che amava e che avrebbe amato sempre, sempre; fedele a lui fino alla morte, in un assurdo delirio di desideri repressi e di speranze troncate non appena si formulavano.
L’indomani la troupe si sciolse momentaneamente, gli attori potevano usufruire di alcuni giorni di libertà, tranne Alfred, Rosario Alemairo e due operatori. I primi due con Tesse la mulatta e Burth l’amministratore generale, dovevano incontrarsi con alcuni impresari cinematografici, gli altri andavano in giro per sottoscrivere il maggior numero possibile di comparse da riunire poi nel grande anfiteatro, dove Alfred aveva in mente di girare una scena colossale. Emily uscì con Charlotte, una bella ragazza bionda, molto sofisticata, che, pur essendo francese, parlava benissimo l’italiano.
Aveva preferito non seguire Stowe, perché desiderava fare degli acquisti personali in città; in realtà temeva di annoiarsi e di darlo a vedere, se era costretta ad ascoltare barbosi discorsi di lavoro. Alfred era resistentissimo a questo genere di cose, instancabile nel suo rapporto umano con gli altri. Freneticamente egli andava in cerca di gente nuova: voleva sempre conoscere tutti i registi e tutti gli attori che si trovavano su quel lembo di terra sul quale egli decidesse di atterrare col suo aereo.
Ripeteva spesso che dagli incontri fortuiti o premeditati, dallo scambio di idee con altri produttori ed artisti, veniva fuori un tessuto umano «di prim’ordine».
«Pensa, Emily, che noi, abitanti di questa terra, non avremo la possibilità di vederci tutti, di conoscere dal vero tutte le condizioni di
tutti gli uomini, tutte le loro vicende che spesso sono drammi potentissimi. In questi momenti di riflessione ti accorgi com’è breve la vita e come essa sarebbe insignificante se tu non cercassi di capire gli altri, gli uomini, insomma, e te stesso».
«Tu ti comprendi?» — Emily rise con aria ironica.
Alfred la guardò stranamente, poi scosse la testa senza rispondere. In realtà Emily era alquanto preoccupata, pensando che fra non molto avrebbe dovuto lavorare con Rosario. Quest’uomo le dava la netta sensazione di non vederla di buon occhio. Certamente non la trovava adatta al ruolo impostole da Alfred. L’aveva già esaminata su alcuni punti del copione e le aveva dato dei suggerimenti, aveva apportato delle correzioni, sempre con tono asciutto, un viso troppo serio, insoddisfatto.
Si riscosse ai chiacchierìo dell’amica, che, davanti ad un negozio di cappellini «bellini», «piccini», «charmants», mostrava il desiderio di entrare. Charlotte si divertì a comprare le cose più bizzarre: ornamenti folkloristici locali ed un abito indigeno, cioè un costume di autentica siciliana. Lo volle anche indossare e, così ornata, fece ritorno all’albergo, dove alloggiava Emily e dove generalmente convenivano tutti gli attori per incontrarsi con Alfred. «Vedete come si fa per creare un’atmosfera, per dar vita ad un ambiente?» — disse Charlotte ridendo e suscitando un’allegria generale. Emily andò subito in cerca di Valeria, per vedere come aveva trascorso il tempo durante la sua assenza.
La trovò che scriveva. Si meravigliò e le chiese:
«A chi stai scrivendo?». «A nessuno; scrivo un diario. Nelle ore di solitudine mi diverto a scrivere…».
«Oh, che bello! Beata te! Tu puoi farlo; hai i tuoi studi universitari… Io sono un’ignorante di fronte a te. Ma me la cavo praticamente. Nella vita quel che conta, ih fondo, è la pratica». «Hai ragione… Oh, se hai ragione!» — rispose pensierosa Valeria. «Però metti anche me in questo diario; alla fine lo daremo ad Alfred. Sono sicura che lo apprezzerà molto».
Valeria tacque; sarebbe stato inutile farle capire cos’è un diario: pensieri e sogni e malinconie che non avrebbe permesso a nessuno di
leggere. Scrivere, tuttavia le piaceva veramente… Chissà che non scriverebbe un romanzo, col tempo?
Il giorno dopo di buon mattino Emily fu prelevata da Stowe, che le parlava dal telefono di camera, per consigliarle di preparare solo per
lei una valigetta «ventiquattro ore», per una gita da fare loro due soli.
Emily ne fu sorpresa, benché fosse abituata alle stravaganze di lui. Si rivolse a Valeria e le disse: «Ti dovrò lasciare di nuovo. Vado per un giorno e una notte fuori, con Alfred. Dirò a Charlotte di non lasciarti sola».
«No, no; sto benissimo da sola. Voglio scrivere tanto. Fammi contenta e non avere alcuna preoccupazione per me».
Dopo poco Emily scendeva allegramente le scale per incontrarsi col suo amante. Le piaceva vivere così, molto spensierata, senza nessun legame fisso, schiavizzante e con tanto benessere, nel quale guazzare a suo agio! Lungo la strada costiera che stavano percorrendo, Emily chiese:
«Dove ha deciso di portarmi e tenermi prigioniera, il mio principe azzurro?»
«Non scherzare così… Lo sai che mi fa male sapermi più vecchio di te! Ci fermeremo quando saremo stanchi in qualunque posto vorrai».
Emily notava in lui una strana espressione, come di chi voglia raccogliere le idee per dire qualcosa d’importante. Infatti Alfred fermò la macchina e, guardandola negli occhi, disse: «Emily, questo è un giorno particolare, perché io sto per chiederti di sposarmi…».
Erano in aperta campagna, dove, in un mare di verde, rosseggiavano dei bellissimi papaveri, ancora vivaci e turgidi, per la notevole clemenza del tempo, che quell’anno aveva portato un autunno meraviglioso di sole. L’inizio di dicembre offriva ancora agli occhi un cielo di un azzurro incredibile ed un sole quasi caldo, se non fosse stato disturbato da un venticello insolito.
Emily credette di non avere afferrato bene il senso delle parole di Alfred; scese dalla macchina e cominciò a camminare in mezzo alla distesa verdeggiante, col viso in avanti, incapace di guardare negli occhi il suo compagno. Questi, dal canto suo, era letteralmente sbalordito: mille volte si era figurato la scena di quella dichiarazione e altrettante volte si era idealmente visto avvinghiato allegramente da Emily, sorpresa e felice! Invece ella non lo guardava neppure, come non avesse fatto caso alle sue parole, che gli erano costate una battaglia interiore, prolungata per tutta la notte.
La raggiunse nell’erba, ghermendola come un frutto maturo e fragrante, ma si rese conto che nella sua compagna si era come spenta l’abituale allegria. Incredulo chiese:
«Emily, non sei contenta di quello che ti ho detto?» .
Poiché ella taceva, incalzò: «Non mi ami tanto, da volermi sposare? Non ti stanno bene i miei anni in più?».
Emily si riscosse dai suoi pensieri; raccolse tutto il suo coraggio e chiese: «Ma come ti viene in mente… Perché vuoi sposarmi? Non stiamo bene così?».
(Continua…)