Ricordava precisamente il colloquio di tre anni prima: «Altieri, lei è un professionista serio, un giovane a posto, con la testa sulle spalle e con tanta voglia di fare carriera. Noi le vogliamo offrire una possibilità che potrà avere per lei un risultato molto qualitativo».
E gli avevano esposto la cosa in modo così eccitante, così persuasivo ch’egli non si era accorto di offrirsi come cavia. In quel momento non aveva progetti di nessun genere; nessun legame tanto forte da fargli opporre una rinuncia. Così rispose:
«Non dubitino, lor signori, non mi sposerò, almeno per il momento. Raggiungerò il laboratorio segreto secondo le indicazioni che mi saranno fornite».
Ora si sentiva sfinito, mentre la paura lo prendeva a tradimento. Perdendo Valeria era come se niente altro gli potesse interessare. «Che ho fatto, Dio mio, che ho fatto?».
I tempi erano maturati; la partenza era imminente. Invano aveva chiesto che gli dessero una spiegazione indicativa della svolta per la quale ormai si doveva avviare. Niente! Per il momento niente… Neanche quanti mesi o quanti anni sarebbe stato implicato in questo fatto misterioso perfino a lui stesso.
«Saprà ogni cosa, quando i superiori lo riterranno opportuno» — fu la perentoria risposta.
Ma Valeria no, non voleva, non poteva perderla. Adesso la cosa più importante era lei, ripristinare il rapporto con lei, pacificarla, restituirle fiducia.
«Cercherò di rivederla dopodomani; ho solo tre giorni a disposizione e da oggi sono impegnatissimo all’ospedale per le consegne. Valeria mi ama; dividerà con me quest’attesa…». Intanto un pensiero terribile si faceva strada nel suo cervello: «Se non tornassi più? Se dovessi morire?». Rabbiosamente cercò di scacciarlo. Soffriva molto, non soltanto per se stesso, ma per lei, per l’abbandono totale nel quale l’avrebbe lasciata. Pensò di uscire, di comprare dei bauli nuovi da riempire di cose essenziali da portare appresso. Disceso dall’elegante appartamento, sito in una ridente zona residenziale, ove si era trasferito dalla casa paterna, per studiare ed esercitare la professione più tranquillamente, pensò di passare subito ad informare i genitori, ai quali avrebbe mitigato l’avvenimento: studi, sperimentali in un paese lontano. Nessuna preoccupazione… Sarebbe tornato di lì a qualche settimana.
Ma la madre, quando lo ebbe guardato negli occhi di un azzurro cupo e profondo, capì che un pensiero molesto lo tormentava. Le fu chiaro ch’egli si mostrava più allegro del solito per nascondere una situazione penosa.
«Ne hai parlato a Valeria?» — chiese con voce apprensiva, ben conoscendo la sensibilità della ragazza ed il suo attaccamento per lui. Inoltre questa partenza quasi repentina le faceva un male dentro, simile ad un presentimento. Marco rispose cercando di dare un tono naturale alla sua voce: «Si, mamma, ma sai com’è una donna innamorata. Non ha voluto sentire ragioni. È venuta allo studio nel pomeriggio e l’ho informata, ma è stato un disastro. Oggi e domani sono troppo impegnato per le consegne, ma dopo domani, l’ultimo giorno di permanenza a Napoli» — sospirò profondamente — «lo passerò con lei e vedrai che si calmerà. Mi raccomando a te, mamma, cerca di sostenerla, durante la mia assenza. Tu sei così forte!». La signora Amalia sorrise mestamente, mentre negli occhi faticava a trattenere le lacrime; presagiva, con istinto infallibile, che il figlio si trovava di fronte ad una situazione difficile, forse insormontabile. «E a me non mancherai?». «Si, certo» — fece lui — «anche tu mi mancherai moltissimo, ma non sarà per sempre, non credi?». Amalia scosse la testa in silenzio. Intanto entrava quasi euforico il figlio minore, Piero, dicendo: «Ah, finalmente ti vedo, grande uomo! Uno scienziato in famiglia, che roba! Sai che montatura!». «Non fare lo sciocco» — obiettò Marco — «magari potessi farne a meno, oggi che sono costretto a lasciare Valeria… Chissà quando la potrò sposare? Questa missione mi era sembrata una cosa detta e levata di mezzo, prima che prendesse corpo. Accidenti! come si complicano le cose, senza che tu quasi te ne accorga!». «Ma, via, non essere così pessimista o non vuoi fare più l’eroe, dimmi? L’amore infiacchisce così i buoni propositi?».
Marco gli assestò un buffetto su una guancia: «Che vuoi capire, tu, moccioso!». «Non ti esaltare, Marco! Ho compiuto diciotto anni, una settimana fa». La signora Amalia ascoltava, assorta nei suoi pensieri: quanti anni tra Marco e Piero! Dopo la sua lunga malattia, non sperava più ed invece era venuto questo ragazzo che, in casa, portava tanta allegria, col suo carattere espansivo ed esuberante.
* * *
Valeria, intanto, tornata a casa, ebbe la fortuna di trovarvi solo la sorella maggiore, Olga, essendo i genitori andati in chiesa per la commemorazione funebre di un comune amico. «Che ti succede, sei bianca più della cera» — esclamò Olga. «Non mi sento bene; mi metto subito a letto… »— rispose Valeria. «Ma come mai non sei rientrata con Marco? Papà lo voleva vedere per uno dei suoi soliti controlli: cuore, pressione, respiro… Quel povero vecchio è fissato e crede di avere mille mali!». «Siamo stati insieme allo studio…» — cominciò a dire Valeria e subito scoppiò in un pianto dirotto. Informò la sorella sull’improvvisa, inevitabile partenza di Marco, nascondendole la verità più scottante. «Ti capisco» — disse Olga con tono adeguato alla circostanza —. «Ma non è la fine del mondo! Certo dovrete rimandare il matrimonio… Vuoi vedere che mi sposo prima io con Simone?». E rise di cuore.
Valeria, una volta a letto, fece spegnere la luce e volle restare sola. Aveva l’impressione di non essere più corporea, ma vuota, sgombra di ogni cosa. Non riusciva a pensare, né a ricordare. Il suo dolore era totale; l’avvinghiava e la sospendeva come un cencio ad un cappio… Stette così circa un’ora, poi la realtà cominciò a destarla nell’urgenza di imbastire qualcosa da dire ai genitori.
«Marco andrà via» — pensava — «e per loro questo non avrà un significato così tragico, almeno finchè non verranno a sapere che aspetto un figlio da lui». All’improvviso le venne voglia di alzarsi, di far rumore, di chiamare gli altri, di gridare la sua disperazione, qualunque conseguenza ne potesse seguire.
Era in preda a questi pensieri, quando la madre entrò senza bussare, alquanto accigliata. Disse: «Olga mi ha detto che Marco deve partire d’urgenza, come mai?».
«Parte per una missione segreta, accettata tre anni or sono, di cui si era quasi dimenticato» — rispose Valeria con voce fioca.
«Verrà a parlare con tuo padre?; forse vorrà sposarti subito; quando parte?».
Riferendosi alle ultime parole, Valeria rispose:
«Fra qualche giorno».
«E’ inaudito e quanto tempo resterà lontano?».
«Non lo so, non lo so! Non lo sa neanche lui…» — fece un visibile sforzo e continuò: «Sa solamente che dovrà partire di notte per una destinazione ignota. Un laboratorio in montagna, credo…».
«Cose da pazzi! Almeno troverà il tempo per tenerti informata, per decidere la nuova data di nozze?».
«No, mamma» — rispose con voce ferma ed incolore Valeria.
«Non può contrarre matrimonio, chissà fino a quando…». «Vada al diavolo allora! Come si fa per dirlo a tuo padre?». «Mamma, facciamola finita; a papà digli anche che sono incinta.
«Cosa?» urlò la signora Tilde, con gli occhi spalancati dall’orrore e si allontanò gridando: «Incredibile! Questo è assolutamente incredibile… ! ».
Valeria restò più vuota di prima, mentre un grande tremito le invadeva tutta la persona.
Di lì a poco entrò Olga col viso stravolto dalla dolorosa sorpresa:
«Sei incinta, dimmi, sciagurata, sei incinta?».
Valeria non rispondeva, col volto nascosto nel lenzuolo, mentre Olga smaniava di sdegno: «Miserabile! Ti mette incinta e poi inventa la missione…». «Che ha detto papà?» — chiese Valeria con un filo di voce. «Non so ancora niente. Papà non sta tanto bene… In questo momento sono chiusi in camera lui e mamma. Da fuori non si sente un accidenti! Ma se Marco non ti sposa, cosa accadrà? Come potremo risolvere questo problema? Ed io come farò per dirlo a Simone?».
Olga scoppiò in un pianto convulso e non si capiva se era più preoccupata per sé o per la sorella.
«Va’ di fuori e portami qualche notizia di loro» —- supplicò Valeria.
Olga uscì sbattendo la porta con stizza, mentre Valeria gemeva e pensava: «Mi sbatte la porta in faccia, per dimostrarmi il suo disprezzo, la sorellina puritana». E non riusciva ad immaginare quale piega stavano per prendere gli avvenimenti.
«Se vorranno farmi abortire… accetterò? forse penseranno proprio di farmi abortire. Dio mio, aiutami! Io questo figlio lo voglio…».
Dopo un tempo che le parve interminabile, la madre rientrò nella camera con un viso terreo, che non faceva prevedere niente di buono Parlò senza rivolgerle lo sguardo:
«Tuo padre non ti vuole neanche vedere. Per giunta ha saputo che Marco è irreperibile, alle prese coi “papà” della medicina, come ha detto il primario Santoro, a cui Andrea ha telefonato. D’altra parte tu sai bene che qui, a Napoli, nel nostro ambiente, non possiamo affrontare uno scandalo. Non ti consigliamo l’aborto perchè crediamo nella vita che Dio manda. Tuttavia tu partirai… Domattina di buon’ora Olga ti accompagnerà alla stazione; andrai a Genova. Abbiamo telefonato a zia Gemma; starai con lei finchè sarà necessario. Ma…» — esitò qualche attimo — «del bambino non si parla proprio di farlo venire qui, se decidi di ritornare. Se non lo vuoi tenere, lo affidiamo ad un istituto a pagamento, poi lo metteremo in un collegio. Poi… poi… bah! lasciamo fare al destino. Ma tu… come hai potuto farci questo?». Si voltò verso la porta con la stessa espressione di quando era entrata e la richiuse piano.
Valeria rimase immobile, con la mente ferma al ricordo di zia Gemma. L’aveva vista più di una volta bambina, provando per lei una spontanea avversione. Se la ricordava bene: scorbutica, attaccabrighe, manesca.
«Ohibò, zia Gemma, oggi non litighi con nessuno?».
E via, di corsa, prima che arrivassero i ceffoni…
Zia Gemma! Certo non avrebbero potuto scegliere di meglio: sola, vedova, infelice, con la smania irrequieta di tenere la casa sempre in ordine. Le avrebbe dato la stanza dell’unica figlia morta di parto insieme col suo bambino… Purchè sia lontano da loro questa rogna, questo scandalo!
«Nella nostra casa» — disse a se stessa — «non cambierà mai niente, neanche quando arriverà il duemila, tanto siamo legati ai pregiudizi. Mio padre non vuole neanche vedermi, come fossi un’assassina invece di un’infelice!».
Valeria si abbandonava dolorosamente a questi pensieri, con una sorta di tragico sollievo.
«Almeno sarà finita qui. Non dovrò guardare negli occhi di mio padre e leggervi un infinito disprezzo. Zia Gemma… Chissà se il tempo e la solitudine l’hanno un poco raddolcita? Zia Gemma, mia padrona, protettrice, tiranna… per tutta la vita? E Marco? Glielo diranno?».
Mentre così annebbiata confondeva immagini e parole, entrò Olga col viso asciutto, quasi soddisfatto:
«Hai visto? Hanno trovato la soluzione giusta. Domani ti accompagnerò alla stazione. Io e mamma già stiamo preparando i bauli; tu dovresti indicarci cosa mettervi ancora».
Poichè Valeria inghiottiva in silenzio, Olga rincalzò:
«Vedrai che andrà tutto bene. Ai parenti e agli amici si dirà che tu sei andata ad assistere zia Gemma che è malata. Può darsi che lasci a te la sua eredità… non sarebbe una fortuna?».
Valeria provava un senso di nausea che le torceva i visceri. Una rabbia sorda le chiudeva la gola, le faceva dolere il torace.
Disse: «Prepara quello che vuoi e lasciami sola!».
Uscita Olga dalla stanza, Valeria si alzò a fatica dal letto. Cercò dentro un cassetto due foto di Marco e le depose nella borsetta. Si guardò allo specchio e rimase stupita di quella trasformazione: sembrava una donna invecchiata di molti anni.
«Valeria, che hai fatto di te?» — sussurrò con la gola riarsa. Andò al rubinetto del bagno e si buttò un po’ d’acqua sul viso. Poi aprì uno spicchio di finestra. Di lontano si poteva vedere il mare, ma non volle guardare. Sedendo sul letto sentì, provenienti dalla strada, le note di una canzone:
«Santa Lucia!
luntano ‘a te
quanta malincunia!
Se gira ‘o munno sano,
se va a cercà furtuna…
ma, quanno sponta ‘a luna,
luntano ‘a Napule nun se po’ stà!
Pianse a lungo, finchè un sonno pietoso e pacificatore la fece assopire profondamente.
La mattina seguente fu svegliata da Olga, che le aveva portato personalmente la colazione. Valeria bevve il caffé, ma la bocca le restò amara; posò la tazzina vuota sul comodino, quindi, rifiutando la colazione, balzò giù dal letto, chiedendo:
«Che ore sono?».
«Le sette» — fu la risposta — «Il treno parte alle otto. Un quarto d’ora prima ci dobbiamo avviare… bisogna fare anche il biglietto».
Valeria taceva. Lentamente raccolse nella mano la tendina della finestra per vedere fuori. La giornata si annunciava serena, sebbene settembre fosse alla fine. Valeria guardò lontano il mare che si increspava lievemente, di un azzurro intenso, che in certi tratti assumeva delle pezzature verdastre.
«Chissà il mare di Genova?» — pensò; poi si meravigliò di aver pensato una cosa così banale. «Mare o non mare? Addio Napoli, l’Università, gli amici, la sarta e l’ultimo tailleur ordinato. Si va da zia Gemma. Ottima previsione!».
«Continuerò lì a frequentare l’Università? Che importanza può avere? Una laurea in Medicina doveva servirmi per stare sempre insieme con Marco, nello stesso ospedale».
Mentalmente ricordò i tanti progetti formulati insieme e perfino come avrebbero scritto sulla partecipazione di nozze:
«Il dottor Marco Altieri – La dottoressa Valeria Bonatti – sposi», parole che forse non sarebbero scritte mai più.
Così, tra inutili e dolorosi pensieri, di malavoglia si preparò alla partenza. Puntuale come una carceriera arrivò Olga con Nina, la domestica a ore.
«Porteremo anche lei» — disse Olga — «ci aiuterà a sistemare i bagagli sul treno».
«Dov’è mamma? Non posso salutarla?».
«Meglio di no. Ha avuto una nottata terribile. Papà non si è sentito bene ed ella lo ha vegliato. Forse dorme ancora…».
«Ma io la voglio salutare; svegliala!».
Olga la guardò con due occhi di ghiaccio:
«Meglio di no, andiamo!».
Valeria capì che questi erano gli ordini. Si guardò per l’ultima volta intorno; si avvicinò di nuovo alla finestra: il mare era una tavola liscia adesso, tersa fino al limite dell’orizzonte. Delle vele sembravano grosse ali di uccelli, abbassati sull’acqua non per nutrirsi, ma per morirvi. Forse in quel momento il suo spirito era solo un’ala ferita che si immergeva nell’abisso dell’ignoto
Si avviò silenziosa, trattenendo il respiro, per tentare di trattenere anche le lacrime. In sette minuti furono alla stazione.
«Meno male che non abbiamo trovato traffico» — disse Olga, con un tono di voce normale, come se non stesse succedendo niente. Valeria in apparenza sembrava indifferente. Quando fu il momento di salutarsi, perchè già si annunciava la partenza del treno, con un fischio fragoroso, Olga si sporse verso la sorella per baciarla. Valeria si ritrasse e la spinse lontano, dicendo:
«Va’ al diavolo tu e tutti gli altri!».
Iniziando il treno la sua corsa, Valeria si sedette in modo da non poter guardare fuori. Le lacrime le scorrevano copiose lungo il viso ed ella le asciugava in fretta con un movimento nervoso, ritmico. Solo dopo qualche tempo si accorse che nella carrozza ferroviaria non era sola.
Intanto Marco, liberatosi momentaneamente dalle pressure dei suoi superiori, si recava a casa di Valeria per salutarla insieme coi genitori. Il signor Andrea era una persona di elevata mentalità. Avrebbe capito, perdonato; del resto si sarebbe trattato solo di una dilazione di tempo. «Quanto tempo?» — gli chiedeva la mente sconvolta, ma poi cercava di rincuorarsi. Era necessario, anche per trasmettere una nuova fiducia a Valeria e alla sua famiglia. Si trattava di un disappunto, ecco! Intanto potevano venirne fuori cose buone per l’avvenire… Pensando pensando, spinse il bottone automatico del campanello e sobbalzò quando la porta si aprì con uno scatto energico. Sulla soglia, implacabile, apparve Olga, che molto freddamente lo fece entrare nell’anticamera e ve lo trattenne.
«Cos’è questo?» — gridò quasi Marco.
«E’ che Valeria è partita per un paese lontano. Papà e mamma sono fuori, forse per un controllo medico per papà. Essi, comunque, non avrebbero avuto nessuna voglia di vederti, ne sono certa».
«Ma è inaudito, Olga. Che diavolo avete pensato?».
«Ne riparleremo quando avrai espletato la tua nobile missione.
Per allora ti troverai cresciuto anche il figlio!».
«Come hai detto? Il figlio? Che forse Valeria?…».
«Hai capito bene. E’ incinta e tu non puoi far niente per lei. Abbiamo dovuto mandarla da zia Gemma, a Genova. Caso mai tu possa, valla a prendere là».
Marco rimase di sasso. Ripensò agli ultimi momenti con Valeria; rivide il suo bel viso stralunato, smarrito e tutta la persona di lei chinata come per un dolore insopportabile.
Sottrattosi alla presenza di Olga, la quale chiaramente gli indicava la porta, Marco, sul ballatoio, si sentì infelice ed incompreso. Appoggiò la fronte al muro e stette qualche momento così, incapace di muoversi, di pensare. All’improvviso si fece strada in lui una sorta di amaro rancore; divenne quasi furioso. Discese le scale, risalì in macchina ed accese il motore incontro al suo nuovo destino.
(Continua…)