E questo si alza da ogni forma di particolarismo, per spaziare nel regno della fantasia, della musica e dell’arte, raggiungendo una fusione sublime, come per obbedire a leggi misteriose, atte a creare armonie perfette.
“Un dì a questo popolo di uomini beati
giunse, guidato da Atena,
il figlio di Danae dall’intrepido cuore:
uccise la Gorgone e la testa
irta di serpenti scoperse poi dinanzi agli isolani,
e in sassi li tramutò …”
(Ode Pitica VIII).
Benché egli fosse, per la sua immensa fama, ospitato da principi e re, quali Gerone da Siracusa, Terone di Agrigento, Arcesilao di Cirene e Alessandro di Macedonia, non si lasciò influenzare dalla loro squisita ospitalità, sentendosi investito di una missione quasi sacerdotale nel compiere il suo ufficio di cantore di gloria.
E non poteva essere sfiorato neanche da un minimo di cortigianeria, perché non si sentì mai inferiore ad alcuno, neanche sulla misura dei valori umani, primeggiando, in senso assoluto, in quella di poeta.
La sua poesia fu, spesso, salutata come misterioso presagio, ossia come messaggio avveniristico, tal che ancora avvolgente resta il fluire incandescente dei suoi versi.
Infatti, nel canto, Pindaro diveniva egli stesso preda di una commozione irrefrenabile, come un delirio onirico, ricco di misteriose e potenti visioni.
Per questo, forse, i suoi scritti sono quasi intraducibili nelle altre lingue, per quelle sfumature di elevatissimo effetto che li caratterizza e per quel flessuoso e rapido evolversi della forma poetica.
La vita, la morte, il pericolo, l’eroismo non assumono mai il significato strettamente realistico che questi termini hanno per noi; piuttosto essi sono, per Pindaro, orpelli per finalità effettivamente preziose, tali cioè che lascino dell’uomo nobilmente dotato impronte immarcescibili.
Come dal brevissimo stralcio dell’Ode Pitica X:
“… felice e degno del canto dei vati è quell’uomo che,
ottenuta vittoria per virtù di mani e di piedi,
i premi maggiori consegue per ardire e per forza
il sommo raggiunge dello splendore”.
Vediamo anche il giudizio critico di C. M. Bowra sull’arte di
Pindaro:
“Benché il linguaggio e lo stile di Pindaro siano straordinariamente ricchi e persino elaborati, non sono mai sovraccarichi. Mantengono la loro freschezza anche quando egli deve trattare con temi così noiosi come le liste delle vittorie, atletiche, davanti alle quali un poeta meno ricco d’inventiva si sarebbe tirato indietro.
La sua forza sta nella scelta delle parole, nella loro collocazione, e nella infallibile, variata melodia impressa al loro ritmo”.
(Da “Fortuna critica degli autori greci” – Le Monnier).
(Continua…)