“La Festa di San Matteo è il miracolo della Santità. E’ un forte evento che da secoli aggrega coscienze, menti e cuori in un palpito d’ identità”. A ricordare con emozione che la festa di San Matteo è la festa della città, sicuramente la più sentita, è stato il parroco del Duomo di Salerno, Don Michele Pecoraro che davanti al busto argenteo di San Matteo, realizzato nel 1691 dall’argentiere napoletano Nicola De Aula, custodito insieme al “Tesoro di San Matteo”, nella Cappella del Tesoro affrescata con il meraviglioso “Paradiso Salernitano”, dipinto da Filippo Pennino, all’interno della Sacrestia del Duomo di Salerno, ha ricordato a tutti i salernitani quello che deve essere il vero senso della Festa di San Matteo:” In questa giornata noi festeggiamo l’apostolo, l’ evangelista, un martire della fede. Festeggiamo una persona innamorata di Cristo e di tutta l’umanità: per Cristo e per l’umanità San Matteo ha lasciato la carriera, la ricchezza; ha intrapreso un altro cammino, per dedicarsi ad un’altra ricchezza. Quando Gesù lo guardò dicendogli: ”Seguimi” lui si alzò e senza alcuna esitazione abbandonò tutto; Matteo, che prima della conversione era un esattore, un gabelliere a Cafarnao, in Galilea, andò verso gli altri, non a prendere, ma a donare misericordia, perdono, salvezza con Gesù. Il senso della Festa di San Matteo deve essere quello di favorire l’incontro di ognuno di noi con il Santo, festeggiare un dono di Dio e non festeggiare solo noi stessi attraverso una festa che sicuramente è bellissima: la processione di San Matteo è una delle più belle d’Italia, forse del Mondo, ma questa festa deve essere un inno alla gioia, alla vita, un’esplosione di amore e di fede che non deve durare solo un giorno, deve essere invece l’inizio di un cambiamento interiore che deve scuotere ognuno di noi. E’ stato detto che l’uomo di fronte alla scienza s’inchina, di fronte alla Santità si inginocchia. Noi non dobbiamo smarrire questo valore primario. San Matteo è campione di Santità, proposta ed esempio di una vita consacrata a Cristo e ai fratelli”. San Matteo è il simbolo di Salerno; è lui che la protegge, la difende, come ci ricorda la scritta sul Panno sacro che ogni anno viene alzato nel quadriportico del Duomo, il 21 agosto, un mese prima della processione. Per portare il suo Vangelo nelle zone un po’ lontane dal Duomo, Don Michele Pecoraro, già da qualche anno, organizza una peregrinatio della statua del Santo nei quartieri di Salerno:” Accogliendo San Matteo, che è il patrono di tutta la città, accogliamo Gesù Cristo”. Il Parroco della Cattedrale Primaziale di Salerno ha anche ritenuto doveroso solennizzare la traslazione delle spoglie di San Matteo che nell’anno 954, il 6 maggio, arrivarono, con grande tripudio, in città dopo essere state sepolte per circa cinque secoli a Velia: ” Una data importantissima che i cittadini salernitani avevano un po’ dimenticato e che invece è stata centrale per la nostra storia religiosa e civile, perché da allora San Matteo diventò il fondamento di un tipo di civiltà, di cultura, di attenzione, di fede, di entusiasmo”. Don Michele sta lavorando anche alla realizzazione del “Cammino di San Matteo” un pellegrinaggio che , come quello di Santiago di Compostela, porta a visitare le reliquie del primo evangelista:” Il cammino parte da Casalvelino (Velia) dove il corpo del santo fu portato, seppellito e ritrovato nell’anno 954 , grazie alle indicazioni che una pia e anziana donna, Pelagia, diede al figlio, il monaco Attanasio, dopo che l’apostolo Matteo le era apparso in sogno per indicarle l’esatta collocazione delle spoglie. Successivamente le ossa sacre dell’evangelista furono deposte, per alcuni mesi, nella cattedrale di Capaccio, oggi Madonna del Granato, prima di essere traslate a Salerno, il sei maggio dell’anno 954, dopo un lungo viaggio attraversando ventisei comuni. E’ importante riscoprire le nostre radici che sono nobili ed elevate, perché s’innestano in quella sorgente di verità e grazia che Matteo ci ha proposto e continuamente ci offre con il Vangelo. Dobbiamo spalancare le porte del nostro cuore al nostro “eterno concittadino” perché la nostra devozione non sia vuota esaltazione e formalismo, ma conoscenza efficace, rapporto profondo e costante che cambia la vita”.
Aniello Palumbo