Distesi sopra un albero. Intervista a Max Maffia

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Intervista a Max Maffia | Progetto Empty Daybox

Intervista a Max Maffia | Progetto Empty Daybox_2Arpeggi ramificati, sensazioni tattili, sonorità essenziali…oppure un abbraccio. Questo succede nel progetto ambient/acustico di Max Maffia e i suoi Empty Daybox. Il quartetto sonico con Maffia alla chitarra, Daniela Lunelli al cello, Valerio Valiante alla chitarra acustica e Alex Taborri alle percussioni, sperimenta composizioni sinestetiche per ascolti esperienziali, riuscendo a suonare di alba e di alberi, prima ancora del loro germoglio. Chi ha ascoltato i loro pezzi dice: “la loro è una musica per immaginare, inventare, scrivere.  Musica dalle radici nude”

 

Max, come musicista hai attraversato fasi ed impegni differenti per genere ed intenzione; quali sono e come si sono legate tra loro queste differenti ramificazioni nel tuo percorso musicale?

Nella diversità si manifesta la crescita, senza tutte le esperienze passate, senza attraversare tutti quei generi musicali non si sarebbe mai sentita l’urgenza di creare questo progetto. E’ come vivere per tanti anni in una metropoli e poi avvertire il bisogno di allontanarsi dal frastuono quotidiano e portarsi dietro solo le cose essenziali.

 

Insieme a Daniela Lunelli, Valerio Valiante ed Alex Taborri, hai fondato il progetto di musica strumentale / sperimentale / ambient “Max Maffia & The Empty Daybox”. In che modo avete capito di poter lavorare insieme in questo progetto. Chi ha abbracciato chi?

La prima cosa che ci lega è la nostra amicizia in alcuni casi trentennale. Veniamo tutti da una formazione differente e questo ci permette di avere curiosità verso le capacità e conoscenze dell’altro. Io ammiro i miei compagni di viaggio mentre suonano, adoro osservarli ed imparo moltissimo da loro. Più che un abbraccio è un tenersi per mano e guardarsi negli occhi mentre ci si ascolta.

 
Intervista a Max Maffia | Progetto Empty Daybox_2

Tutto accade in seno alla natura. Tutto si (s)muove da lì  Tu che rapporto hai con il concetto di radici?

Il mio rapporto con la mia/nostra terra è viscerale. La fotografo di continuo, la osservo, ne apprezzo i pregi e ne combatto i difetti. Sono molto legato alla mia terra di origine che è il Cilento ed avverto moltissimo le influenze sulle nostre composizioni. Spero di avere radici abbastanza forti da non abbandonare mai questi posti. Gli alberi nascono in un posto e fondano le proprie radici proprio lì, lo amano, lo proteggono e  ne portano i segni del tempo addosso.

 

Tolstoj scriveva “Felicità è trovarsi con la natura, vederla, parlarle”. Cosa aggiungeresti?

Non sono nessuno per aggiungere qualcosa ad una frase di Tolstoj, forse aggiungerei solo “ascoltarla”, ma è implicito in “trovarsi” con essa. Avvicinarsi nuovamente alla natura dovrebbe essere la tendenza globale dell’uomo. Abbiamo perso la bussola e corriamo verso qualcosa che non conosciamo. Corriamo tutti alla stessa velocità, quindi siamo relativamente “fermi”, mentre distruggiamo il mondo che ci ospita. Dovremmo invece rallentare per poter osservare meglio quello che ci viene offerto ed averne cura, forse saremmo più felici.

 

In riferimento al titolo del vostro primo album, hai affermato: “Proprio come un albero, la felicità ha bisogno di poco nutrimento e di elementi essenziali, come luce e acqua, e va curata e rispettata”. Sembra che in questa affermazione ci sia un parallelismo concettuale: la felicità come la musica?

La musica ha bisogno di tanto rispetto ed impegno. La musica ci sorprende, ci fa crescere, ci rende migliori, a volte ci rende popolari, ma a volte ci tradisce, ci abbandona e ci rende soli. La nostra felicità può morire, la musica no.

 Progetto Empty Daybox cover

Nei vostri brani  – solo musica senza parole – si percepisce sempre uno sforzo di sincerità, di trasparenza, un desiderio di nudità. La musica si spoglia alla vista dell’orecchio. ..

Più che un desiderio la definirei una urgenza. Ho scelto una formazione totalmente acustica ed i miei compagni di viaggio mi hanno assecondato. Avevamo tutti l’urgenza di presentarci per come siamo, al naturale senza trucco. Tutto questo è funzionale allo scopo di risultare trasparenti: Cerchiamo di porre l’ascoltatore al centro della composizione. Ogni persona può avere una visione diversa del mondo che cerchiamo di rappresentare e questo cancella “noi” dalla scena. Come ha detto qualcuno: “Scriviamo colonne sonore dei film che l’ascoltatore sta per girare”.

 

Quali sono i posti dove  si suonano meglio le vostre composizioni?

 Sono quelli dove il pubblico viene ad ascoltare. Anche se c’è una sola persona disposta ad ascoltare il tuo concerto, questa merita tutto l’impegno e l’attenzione da parte nostra. 

Nei locali c’è la difficoltà di riuscire a fare presa su chi ha deciso di uscire di casa per “scrollarsi di dosso la settimana di lavoro”, la nostra musica fa pensare. Senza dubbio i teatri sarebbero un target molto desiderato.

 

E quali gli artisti emergenti (salernitani e campani) con cui vi piacerebbe collaborare in futuro?

Salerno è una città straordinaria, piena zeppa di musicisti ed artisti di ogni genere. Ne vorrei uno diverso per ogni brano. Confesso il mio debole per Nicodemo in quanto riconosco nei suoi testi una poesia evocativa molto vicina al nostro sound. Ho già lavorato con lui per tanto tempo, lo rifarei per questo progetto in un brano che “aprirei” alla voce.  Ho un fratello pianista, affermato a livello nazionale, che è stato insieme a noi produttore artistico di “Happiness is a tree”. Un brano con il pianoforte implicherebbe una scelta felicissima, unica e non discutibile: Lorenzo Maffia. (Con Lore e Johnny Sessa alla voce, altro straordinario artista, ho già un altro progetto (the Peanuts), completamente diverso da questo e più orientato al pop). Per gli strumenti a fiato avrei alcune preferenze molto nette: Annamaria Conte al flauto traverso e Carla Marciano al sax soprano, persone splendide nella vita e nel profondo rapporto con la musica.

 

Cristina Pastore