Diano e il Castello della Congiura

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di Pasquale Martucci

Teggiano con il suo centro storico medievale è collocata su un’altura a 637 metri s.l.m.; poi inizia la discesa lungo le pendici della collina, dove si possono osservare case e terreni che si protraggono verso il basso, giù verso la pianura del Vallo di Diano. “Diano”, infatti, è Teggiano nella antica denominazione, una città che conosce con i Sanseverino lo splendore, una città sede di vescovado, ricca di chiese famose ed importanti.

Ma facciamo un passo indietro. Teggiano con i Greci aveva il nome di Tegea nel VI secolo a.C.; poi fu denominata Tergylanum quando aveva un ruolo di primo piano nelle dodici città confederate lucane. Nel II secolo a.C. fu occupata dai Romani per essersi schierata con i Sanniti; nel I secolo a.C. divenne municipium romano con il nome di Tegianum; infine fu Dianum. Ebbe un’importanza strategica nel 132 a.C. con la realizzazione della via Popilia, quando divenne lo snodo dei commerci per raggiungere lo Jonio.

Lo storico teggianese Luca Mandelli, vissuto nel seicento, attribuisce la fondazione del paese ai Coloni della greca Tegea. Alla fine dell’ottocento Giacomo Racioppi invece avanzò l’ipotesi che Teggiano fosse stata fondata dalle genti osco-sabelliche, scacciate dalle loro terre a seguito dell’espansione della civiltà etrusca. Ultima ipotesi in ordine di tempo è quella secondo cui Teggiano sia sorta ad opera dei Lucani all’inizio del IV secolo a.C. A testimonianza delle antiche origini, restano gli innumerevoli reperti storici, costituiti in frammenti classici sia di architettura religiosa che di architettura civile, attualmente disseminati un po’ ovunque lungo le vie del centro storico. In età angioina, nell’abitato fu costruito un castello, attraverso cui passava la strada che portava alla Basilicata e alla Calabria. (1)

Ma è soprattutto in epoca medioevale che l’allora Diano ha avuto un ruolo predominante nella storia, con la famiglia Sanseverino che costruì il castello con lo scopo di avere una roccaforte dove potersi rifugiare in caso di pericolo. Ed infatti, Antonello Sanseverino, principe di Salerno e signore dello Stato di Diano, insieme a molti altri feudatari della zona, ordì la “Congiura dei baroni”, una sorta di sommossa contro il re di Napoli Ferdinando I d’Aragona (Ferrante) e conclusa nel 1487 con l’accordo fra le parti.

La Congiura fu una ribellione contro l’intervento degli Aragonesi che intendevano ridurre il potere baronale a vantaggio della nuova classe della borghesia mercantile. Se il potere esercitato in precedenza era minimo, in quanto il controllo delle parti più periferiche del Regno erano affidate proprio ai baroni, il re di Napoli intendeva incorporare, alle dirette dipendenze del regio demanio, l’amministrazione del territorio. Con l’avallo del papa, indignato verso lo spagnolo Ferdinando d’Aragona che non versava i dovuti tributi, e degli Angioini, i baroni volevano contrastare la modifica dello status quo.

Tra il 1459 e il 1464 si svolse una lunga guerra che portò alla capitolazione del principe di Taranto e del duca di Bari, con la netta vittoria del re che cercò di innovare la politica fiscale e feudale. Crebbero i demani e i baroni subirono per alcuni anni la riorganizzazione del Regno. La Congiura fu ordita nel 1485, quando si riunirono a Melfi i baroni favorevoli agli Angioini, tra cui spiccavano, oltre ai Sanseverino, i Caracciolo (principi di Melfi), i Gesualdo (marchesi di Caggiano), i Balzo (principi di Altamura) ed altri duchi, conti e baroni. Si tentò anche una trattativa con il re: l’incaricato fu il gran camerlengo Girolamo Sanseverino, con il coinvolgimento dei baroni che non si erano schierati. Il re cercò di calmare il papa Innocenzo VIII e di usare parole concilianti con i baroni. La risposta fu interlocutoria ed allora si tenne un incontro proprio a Diano, dove fu coinvolta l’intera famiglia Sanseverino. Il conte Coppola e il Petrucci, segretario del re, che appartenevano alla borghesia emergente, assunsero una posizione ambivalente per ingraziarsi sia il sovrano che i baroni. Il re Ferrante finse di acconsentire alle richieste, ma al momento opportuno intese esercitare il suo potere. I baroni cercarono di isolarlo sperando nell’aiuto del papa, dell’angioino Giovanni di Lorena e di Roberto Sanseverino, primo capitano d’Italia che agiva per conto della Repubblica di Venezia. Il re scoprì la Congiura e di alleò con la Repubblica di Firenze e il Ducato di Milano. Il principe Antonello Sanseverino ora non aveva più dubbi sulle reali intenzioni del Coppola e del sovrano. Il principe di Bisignano cercò ancora di trattare convocando anche i baroni più ostili, tra cui Antonello Sanseverino. Poi il re contravvenendo ai patti fece imprigionare e giustiziare i congiurati. L’11 settembre 1486 i baroni giurarono di scacciare gli Aragonesi. L’ultimo atto fu nel Castel Nuovo (Maschio Angioino) di Napoli, nel 1487, quando Ferrante invitò tutti per celebrare le nozze della nipote e arrestò e mise a morte i baroni. Antonello Sanseverino, che aveva nel suo Castello di Diano ordito la Congiura, attraverso alcuni buoni uffici riuscì a scampare alla morte mettendosi in salvo a Roma. (2)

All’epoca della Congiura, oltre al castello, tutta la città era protetta: Diano era cinta da alte mura, con 25 torri di guardia e quattro porte di accesso e fu ritenuta inespugnabile dopo che resistette per ben tre mesi all’assedio di Ferrante d’Aragona.

Al 1660 circa risale la descrizione fatta da Luca Mannelli, che si riferì alla costruzione, circondata da “profondo e largo fosso sì che vi s’entra per due ponti, uno dei quali più vicino alla porta, nell’occorrenza si alza la notte. La fabbrica è molto larga e soda, con otto grandi torri, una delle quali è il maschio dell’antica fortezza di Ladislao, rinchiuso, mentre un’altra chiamata torre della lumaca, alta il doppio delle altre per iscoprire il nemico”. (3)

Le prime notizie della fortezza sono datate 1405, quando il re Ladislao di Durazzo concesse agli abitanti sgravi e contributi, di cui si fecero partecipi i borghi del Vallo di Diano, per aver iniziato i lavori di realizzazione di una grossa torre. Il feudo apparteneva al demanio regio, dopo la confisca ai Sanseverino che si erano schierati con gli Angioini. Un altro restauro fu eseguito nel 1487 per ordine del re Ferdinando d’Aragona, che aveva confiscato il maniero al principe Antonello Sanseverino dopo i fatti del 1485/87.

All’epoca del secondo restauro, il castello presentava “un mastio coperto a coppa, al quale facevano corona cinque torrioni cilindrici, scoperti e fortemente scarpati”. In uno di essi, detto Torre della Giammaruca, una scala a chiocciola dalla sommità scendeva verso un’uscita d’emergenza che passava sotto le mura della città. I torrioni erano congiunti da “robuste cortine merlate, nell’area centrale sorgeva l’edificio tetragono con vari ambienti che si affacciavano su una spaziosa corte che per tutta la sua ampiezza copre una cisterna capace di assicurare la riserva d’acqua necessaria per resistere a un lungo assedio”. La fortezza era circondata “da un profondo e largo fossato, sul quale potevano essere abbassati due ponti levatoi situati rispettivamente sul lato sud e sul lato nord ovest”. Con i nuovi feudatari, la roccaforte diventa una tranquilla residenza, abitata quasi sempre da un governatore che cura gli interessi del barone e si occupa di ordine pubblico. I restauri fatti eseguire da Giovanni Villano, terzo marchese di Polla e signore di Diano, sono indirizzati al recupero della parte residenziale. Dal 1652 la dimora passa ai duchi Calà, che la tengono fino al 1801. Con l’abolizione della feudalità, il 2 agosto 1806, il castello assume il ruolo di residenza privata. Nel 1857 Pasquale De Honestis acquista la parte nord occidentale e la trasforma in abitazioni civili; poi fa erigere il portone neorinascimentale, attualmente visibile. La parte sud orientale è infine acquistata dai Macchiaroli. (4)

Oggi, se visiti il castello Macchiaroli, ti immergi in storie di principi, conti, baroni e viceré, che rivivono nel maniero appartenuto un tempo all’illustre casata. Teggiano è nel ricordo il luogo per eccellenza del principe Antonello che volle sposare una principessa, Costanza da Montefeltro, e osò sfidare gli aragonesi, i re di Napoli, blandendoli e congiurando contro di loro; li costrinse a recarsi in queste terre e resistette al loro assedio; infine, trattò una pace non troppo disonorevole. Teggiano è il loro antico castello, oggi in parte fruibile ai visitatori. La zona visitabile per i turisti ti permette di osservare i cunicoli e di imprimere nella tua mente immagini e scene di vita passata, sentendo il rumore di armigeri che lesti vanno ai bastioni, grida degli assediati e urla degli assalitori, scintille di ferraglia che urta altri ferri, schizzi di sangue e pianti di dolore per difendere l’onore del loro signore. Quel maniero ospita strumenti di torture, gogne e cinture di castità, il medioevo e tutte le sue “affascinanti” brutture. Ma anche giochi antichi che dilettavano nobili e loro rampolli, e poi bellissimi vestiti e vestigia di principesse e principi, di antichi lignaggi e fasti e bellezze passate. C’è altro, ci sono costumi d’epoca indossati da figuranti che posano dinanzi ai turisti per dilettarne la giornata. E turisti, che estasiati cliccano su telefoni e macchine fotografiche per portare a casa i ricordi; ascoltano e sentono espressioni di epoche antiche e di fatti passati. Questo è il castello Macchiaroli che offre ai visitatori l’artigianato tipico e i prodotti biologici di questa vasta area. Questo è il modo di vivere esperienze in grado di coniugare storia, passato, immagini e fantasie, proiezioni oniriche e tuffi nella cultura. Ovvero, come il presente fa i conti con la sua storia antica, violenta, frutto di soprusi, ma pur sempre ricordi di un passato che ritorna sui bastioni di un palazzo che vuole gridarti: non si può fare a meno dei ricordi e della memoria, qualunque essa sia, non si può fare a meno del nostro passato. (5)

Nel periodo di ferragosto di ogni anno si svolge a Teggiano una grande rievocazione storica. È la Festa della principessa Costanza, il matrimonio tra Costanza da Montefeltro e Antonello Sanseverino, la proposizione dell’esperienza medievale, la vita di allora, i costumi e la cucina tipici. Sorta come sagra e ripresasi in seguito la tradizione storico-artistica, la festa assume sempre più i connotati culturali, anche se la cultura è espressa anche da antichi e prelibati piatti, una commistione tra antico e moderno. Vengono serviti cibi tipici: tra i primi piatti, da segnalare “cavatelli e fagioli”, “fusilli e ricotta”; i secondi rigorosamente a base di carne di vari animali, soprattutto ovini; tra i formaggi, “cacicavalli e ricotte”; i salumi locali sono “salsicce, prosciutti e soppressate”. Si pensa in futuro di puntare alla riproposizione di antiche e tradizionali portate a base di verdure e legumi.

La rappresentazione è in costumi d’epoca: è il matrimonio dei principi cui partecipano i nobili, mentre sullo sfondo si trova il popolo. Si parte dal castello, poi il corteo sfila con principi e nobili attraversando il paese, percorrendo il centro storico dove sono attrezzate botteghe artigianali e dove si trovano le famose taverne con i piatti tipici.

Puntando sull’organizzazione e sul recupero dell’identità, che è contadina e materiale, e valorizzando la cultura artistica e i luoghi d’arte e di civiltà, si riesce a riproporre una festa bella ed importante, con le forme moderne di un turismo che non sopporta più le sole espressioni del consumo.

…………

Note:

  1. Cfr.: L. Mandelli, 1661-1664, “La Lucania illustrata in due parti, alias La Lucania sconosciuta”, Biblioteca Nazionale di Napoli, X, D, 12; G. Racioppi, 1889, “Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata”, Ed. Loescher & C.; N. Cilento (a cura di), “Storia del Vallo di Diano II. Età medievale”, Laveglia 1982.
  2. Cfr.: F. Senatore, F. Storti, “Poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d’Aragona”, ClioPress Editore, 2011; E. Pontieri, “Per la storia di Ferrante I d’Aragona re di Napoli”, Napoli 1947; C. Porzio, “La congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando I”, Roma, 1565.
  3. L. Mandelli, “La Lucania illustrata”, cit.
  4. Le notizie sono tratte da: “Storia del castello Macchiaroli”, sito ufficiale del Castello Macchiaroli – piazza Portello, Teggiano.
  5. P. Martucci, “Festa al Castello: cultura e memoria”, in http://ricocrea.it, 25 dicembre 2018.