Desiderio infinito! Capitolo 9 (Parte seconda)

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Tante cose erano passate nella sua vita: la morte terribile della madre amatissima, rosa lentamente da un male inguaribile; a non molta distanza quella del padre non meno dolorosa, anzi più raccapricciante per la misoginia nella quale il povero uomo era caduto, dopo tante disastrose vicissitudini.
Egli, abbandonato dai genitori, era stato sorretto dall’affetto di una zia paterna, che volle mantenere a scuola, quel suo nipote «così intelligente e volenteroso, che aveva tutte le capacità di diventare un buon medico!».
Aveva vinto numerose borse di studio, che lo avevano portato subito ad emergere nel mondo fascista, che aveva dovuto accettare.
Non era affatto refrattario al fascino muliebre, così accadde che si innamorò di una dottoressa che sembrava un sorriso di vita, tanto era compiacente in tutto e sempre di buon umore: Amelia. Ma piano piano, Adriano cominciò a detestare alcuni atteggiamenti di lei: la vedeva troppo invadente nei rapporti con gli altri e non sempre sincera per quanto lo riguardava. Infatti, conoscendo la sua scarsa simpatia per il Fascismo in genere, gli aveva nascosto di essere lei stessa una fervente ammiratrice del Regime. Scattò dentro di lui, allora, un meccanismo inibitore, che, però, all’inizio agiva saltuariamente, secondo l’umore del momento. Avendo poi appreso che un fratello di Amelia era anch’egli versato nella politica attiva del «Fascio», Adriano si era maggiormente inasprito verso di lei. Psicologicamente l’avversione di Adriano per Amelia aveva le sue radici nelle precedenti disavventure della sua famiglia.
Il proprio genitore, aperto antifascista, era stato, dagli squadristi del Duce, (secondo gli atteggiamenti assunti dal Fascismo iniziale, alquanto violento) purgato, picchiato, seviziato in mille modi e ridotto alla più nera indigenza, perché orgogliosamente non aveva voluto piegare il capo di fronte al «Despota».
In breve tempo si era ammalato gravemente, ed era finito su una sedia a rotelle, per gravi disturbi di circolazione, che gli tolsero l’uso delle gambe. Adriano aiutato dai generosi parenti poté studiare, ma sempre in un clima di frustrazione spirituale sotto il Regime Fascista, che da una parte egli rifiutava nettamente, ricordando la tragedia familiare, dall’altro doveva pur accettare perché la vita di ogni individuo era segnata dallo svolgimento della politica fascista. Non ci si poteva sottrarre, perché si nasceva proprio col segno fascista, che ti proteggeva in tutto e, in quanto figlio della lupa e piccolo italiano e balilla e moschettiere e giovane italiano…, ti seguiva passo passo e ti portava a qualunque traguardo, solo che tu accettassi ogni legge. Col tempo le cose erano alquanto cambiate; persisteva, sempre più in auge, la boria fascista, ma disciplinata dalle nuove leggi del Duce, che finalmente riuscivano a mettere in assetto un paese disorientato e vilipeso. I giovani venivano su con un concetto di vita tutto improntato al brillante dinamismo della nazione fascista; gli altri, a parte i restii, un po’ per quieto vivere, un po’ perché conquistati dall’apparente umanitaria sollecitudine del Duce a risolvere i non pochi problemi che pesavano sulle sorti d’Italia, accettavano di buon grado la tessera fascista, che dava loro pane ed una illusoria libertà di azione. Divenuto fascista, ogni uomo era protetto nel proprio settore di lavoro e c’era sempre un lavoro per tutti quelli che si proclamavano fascisti!
Le famiglie erano sollecitate a proteggere il focolare domestico, piccolo nucleo vitale, parte integrante del grande nucleo sociale, ch’era il cuore palpitante della Patria, che aveva potere su tutti i suoi figli per il fatto stesso che li amava, li aiutava a crescere e li istruiva secondo i suoi comandamenti.
Il concetto del lavoro era sacro, così anche il più umile contadino era pieno di orgoglio e si sentiva utile a se stesso e alla Patria. La Patria avanti a tutto! Nelle scuole si cresceva sulla spinta di giuramenti annuali, per ricordare alle vecchie, alle presenti e alle nuove generazioni che la Patria «è la vera madre di tutti». I suoi figli «saranno pronti» dunque a morire per essa, perché «Chi per la Patria muore mai morrà!».
Adriano, giovanissimo, accettava, sia pur un po’ di traverso, tutto questo; se ne lasciava contagiare quel tanto ch’era inevitabile a vivere una vita possibile. Divenuto adulto, però, aveva riequilibrato la propria personalità, scartando ogni possibilità di andare d’accordo con un governo fanfarone e criminale, come solevano dire gli antifascisti, per i non pochi delitti di cui oscuramente si macchiò il Fascismo.
La bella Amelia, di cui impetuosamente si era innamorato all’origine il dott. Adriano, sarebbe stata, alla fine, il capro espiatorio del ripristino della sua coscienza sociale.
La rottura definitiva avvenne quando la poveretta, sentendosi sempre più trascurata, volendo fare una certa impressione di famiglia su Adriano, fece venire un giorno all’ospedale il fratello, che frattanto era divenuto un uomo influente nel «Fascio» bolognese.
Quegli venne e disse che voleva visitare il dottore Martelli, ma Adriano fu invaso da un così furibondo assalto di collera che non volle vederlo e, rivolto ad Amelia, le disse: «Vattene per sempre dalla mia vita. Dì al tuo potente fratellino che ti collochi in un altro ospedale, altrimenti sarò io ad andarmene». Questo scontro tra i due innamorati, seguito dall’indignazione del potente fascista, mise sottosopra l’ospedale ed in grande difficoltà la posizione del dott. Adriano Martelli.
Questi fu chiamato a segreto colloquio col primario, che, essendo letteralmente atterrito, voleva convincerlo a rappacificarsi con Amelia per calmare le furie del fratello di lei.
Martelli era stato, molto tempo indietro, alunno a Napoli di Giovannini, col quale si mise telefonicamente in comunicazione e, saputo del posto reso libero da Locatelli, tanto fece e disse che i due primari tentarono di salvarlo con un trasferimento a Napoli, per punizione.
Una volta a Napoli, Adriano aveva giurato a se stesso di mettere la testa a partito, per quanto riguardava il fattore «donna»: non sarebbe corso dietro a nessuna gonnella, si fosse trattato anche di Mata Hari rediviva!
Certo non era facile non accorgersi di quanto piacente fosse Valeria, ma la serietà di quest’ultima, che sembrava guardare il mondo con indifferenza, dall’alto della sua perfezione, lo irritò alquanto e lo aiutò nei suoi propositi. Passarono due mesi di intenso lavoro in ospedale, ravvivati dall’unica novità, annunciata un giorno di fine ottobre, che si potevano visitare i reparti nuovi, precisamente quelli di «Ematologia e malattie infettive», costruiti in un’area alquanto distante dal vecchio ospedale. Vi andarono insieme, Giovannini, Adriano, Valeria e qualche altro assistente. Nel piccolo pullman dell’ospedale, Adriano sedette accanto a Valeria, senza per questo degnarla di uno sguardo. Discesero in una zona aperta ed ammirarono già da fuori il bel complesso ospedaliero, con tante belle vetrate luminose. Visitarono poi i vari ambienti, rallegrandosi degli ottimi particolari, che i tecnici avevano curato.
L’indomani, però, il seme della zizzania era già nato nel vecchio ospedale e si parlava chiaramente e provocatoriamente dei «fortunati» che, con un calcio al posto giusto, sarebbero passati nei reparti nuovi. Tra le tante tiritere, sorte come per celia, si finì per alzare la voce e trasformare la «bagatella» in vera rissa.
Furono coinvolti anche quelli che erano rimasti estranei all’alterco, come Valeria, che si era trovata a passare per quel corridoio ed era stata letteralmente bloccata.
Adriano, allora, fece un gesto imprevedibile; afferrò per un braccio Valeria e la liberò dalla calca, ordinando a tutti con voce minacciosa che tornassero al lavoro. Egli, sempre guidando Valeria, entrò nel suo studio, dove entrambi sedettero.
«Incredibile quello che accade qui; semplicemente incredibile. Il prof. Giovannini ne sarà oltremodo dispiaciuto!» — esclamò Adriano.
Valeria accondiscese, esternando la sua meraviglia e il suo rammarico. Ma le voci andavano scemando e ciascuno ritornava al suo posto, rigettando del tutto, o rinviando la discussione ad altro momento. Adriano, per tutto il tempo, non staccò gli occhi da Valeria e quand’ella si alzò per congedarsi anch’egli si alzò e le si avvicinò fino a sfiorarla. Poi la prese improvvisamente tra le braccia e tentò di baciarla. Valeria si ritrasse istintivamente e lo schiaffeggiò con furia; poi aprì la porta ed uscì senza dire una parola.
Per lei la giornata lavorativa era terminata, perciò smise il camice bianco, indossò il suo vestitino azzurro e via con un grande scontento dentro, come se Adriano avesse voluto offenderla, ritenendola una donna facile.
Al contrario Adriano era perplesso; non riusciva a capire la reazione troppo violenta di Valeria.
«Ma perché si è sentita così offesa?» — diceva tra sé — «Possibile che sia rimasta nell’Ottocento questa benedetta donna?!».
Intanto era arrivato il primario, che, informato del breve ma violento baccano che c’era stato, si rivolse a lui per essere ragguagliato con precisione. Adriano sdrammatizzò l’accaduto e con molta abilità trasportò l’altro su un argomento ormai per lui scottante: Valeria! Il professore Giovannini si risolse di dirgli tutta la verità e lo informò sulle drammatiche vicissitudini di Valeria.
Adriano rimase colpito dalla storia quasi assurda che ascoltava e provò una grande pietà per quella donna, che, fino ad un momento prima, gli era sembrata un mostro di freddezza.
Rimasto solo, fu presto preda di un grande nervosismo; non sapeva adesso come metterla con lei. In fondo sentiva un sordo rancore contro quel medico andato in missione sull’onda della gloria, promessa dai fascisti. Con quanto piacere gli porterebbe via quella donna così
tenacemente fedele!
Almanaccava congetture su congetture, da farsi scoppiare la testa. Alla fine si disse:
«Come dice Giovannini, sono almeno tre anni che Altieri è lontano, senza dare notizie di sé. Valeria sarà pur stanca di aspettare. Io le farò capire le mie serie intenzioni; le dirò che voglio proteggerla oltre che amarla. Ha bisogno di un padre per il suo bambino…» — E pensava, pensava che Valeria avrebbe apprezzato il suo gesto di umanità e di amore. Si, amore, perché egli sentiva che amava veramente Valeria e non sopportava di saperla così triste e sventurata. Provava all’improvviso un desiderio quasi morboso di darle un po’ di felicità e non si accorgeva ch’era lui ad avere bisogno di una donna come Valeria, forte, coraggiosa, fiera, che non chiedeva pietà per le sue sventure, ma le sopportava con tanta serietà ed altruismo.
Quasi senza accorgersene si era abituato a lei, alla sua presenza indispensabile. Ripensandoci ora gli pareva che loro due insieme fossero due anelli di una catena per varia sorte disgiunta ed ora riunita e saldata da una forza non comune, nata sul posto del loro lavoro arduo e indefesso, dove l’intesa era fulminea e perfetta: evidenziazione di una presa di coscienza che si traduceva in gesti rituali e precisi. Nessuna parola era necessaria tra loro in sala operatoria; nei momenti più difficili sentivano la medesima volontà, il medesimo impegno massimale.
Non riuscì che a vederla dopo due giorni, in sala operatoria, dove entrambi si comportarono con distacco e lucidità, come richiedeva la circostanza. Più tardi si ritrovarono alla mensa, quasi vicini, ma non si scambiarono una parola. Adriano meditava quale mossa sarebbe stata più opportuna, quando improvvisamente Valeria Bonatti fu chiamata in direzione con l’altoparlante.
Presa di sorpresa, Valeria arrossì, anche perché tutti gli sguardi dei presenti si appuntarono sopra di lei. Si alzò lentamente, come paralizzata nei movimenti, chiedendosi cosa mai potesse essere. Ad un tratto impallidì e barcollò. Fulmineamente Adriano, che seguiva le sue mosse, la sorresse e l’accompagnò senza ch’ella opponesse resistenza, come se entrambi si fossero capiti e scusati senza parlare. Giovannini l’attendeva nel suo studio, ma vedendola così tesa e pallida, le
disse: «Calma, figliola, calma. Si sieda ed ascolti: abbiamo notizie di Altieri. Non si agiti, per piacere e si faccia animo. Deve mostrarsi forte e coraggiosa, altrimenti non le dirò un bel niente. Sono notizie segretissime che io le comunico col mio rischio personale, perciò stia attenta… mi faccia parlare… Si, si è vivo, ma è molto malato…».
Al limite delle forze, Valeria svenne.

(Continua…)