Giunti a Napoli, Valeria fece in tempo a seguire irriconoscibile, dentro la macchina di John, il feretro del padre, sebbene in coda al lungo corteo. Presso il cimitero, la macchina di John si fermò ad una certa distanza, dalla quale si potevano vedere tutti quelli che entravano. Valeria dal sedile posteriore, col viso coperto da una fitta veletta, cercava, tra la folla, la madre, ansiosa di vederla. La vide finalmente sotto il braccio di un cognato, che la reggeva affettuosamente e restò colpita dal suo aspetto invecchiato e cadente, vide zia Gemma che si reggeva impettita da sola, con uno dei suoi aerei cappellini; vide tutti gli altri parenti, ma non vide Olga. Restò sconcertata, almanaccando congetture su congetture, ma non riuscì a tranquillizzarsi. Appena la folla si fu diradata e tutti i parenti furono rientrati nelle loro macchine o carrozzelle, John chiese a Valeria se si sentiva l’animo di scendere, per vedere il padre. «Ma non ce lo faranno vedere» — disse Valeria singhiozzando.
John l’aiutò a scendere dalla macchina e l’accompagnò fin dentro al grande cancello che era socchiuso. Si avvicinò subito il custode, il quale scuotendo la testa, disse:
«Non è più ora. Non entra più nessuno». John lo prese in disparte e gli disse qualcosa all’orecchio e dovette essere così convincente, soprattutto quando gli passò del denaro sottomano, che quello spalancò il cancello, pensando che volessero entrare con la macchina. Emily li aveva raggiunti, sicché entrarono a piedi. Emily e John sostarono sulla soglia della sala mortuaria, mentre Valeria lentamente si avvicinava alla bara che era stata scoperchiata di nuovo, per lei.
Muta e disperata, Valeria guardava con fissità il volto del padre, provando uno strano senso di delusione: un’amarezza che si spandeva in tutto il suo essere, come un peso che le infiacchiva le membra, la buttava giù. «I tuoi occhi, papà; i tuoi occhi sono chiusi, così non potrò vedere se mi hai perdonato…» — pensava stordita dalla dolorosa costatazione, come se non avesse pensato prima che non avrebbe potuto vedere lo sguardo del padre, come quando la guardava tenero o imbronciato, prima di cominciare un discorso con lei.
Si chinò sopra di lui per baciargli l’ampia fronte e le mani gelide, che, calde e sensibili, tante volte l’avevano accarezzata fanciulla.
«Addio, papà; addio!». Ma non riusciva a parlare, perché le lacrime la soffocavano.
Dopo poco, John la distolse dal muto colloquio e, facendole dolce violenza, l’accompagnò alla macchina.
Quella sera pernottarono a Napoli, presso i genitori di Emily. John reticente, per non disturbare, avrebbe voluto andare in albergo, ma la signora Carolina gli rivolse due occhi colmi di tenerezza: «Perchè non resta?» — disse — «Non siamo ricchi, né importanti, ma siamo ospitali e Ludovico ha il cuore buono…».
Col suo particolare italiano, appreso in buona parte da Emily, John fece capire che accettava l’ospitalità ed anche la cena che gli veniva offerta con tanta semplice cordialità.
Valeria, invece, si ritirò nella stanza di Emily, cercando la solitudine; si pose sul letto ed inevitabilmente ripensò alla madre, col cuore che le si stringeva. Nell’abito scuro sembrava più rinsecchita, curva, invecchiata; zia Gemma, tutta vestita di nero, aveva un viso pallido, senza lacrime. Ma perché non aveva visto Olga, né Simone? Non riusciva a trovare una spiegazione plausibile. Per un attimo pensò assurdamente di alzarsi, di correre a casa, d’implorare che la facessero entrare, ma poi si convinse ch’era impossibile. La casa paterna in questo tragico momento era piena di gente… gente perbene, piena di dignità, almeno apparente. Ella invece era fatalmente caduta nella categoria dei reprobi, dei reietti. Solo la pietà dei nuovi amici poteva sorreggerla, senza farla vergognare. Ripensò ad Emily, con un misto di tenerezza e di apprensione: si sarebbe ricordata di lei, se avesse sposato John?
Infatti tra i due giovani era sorto chiaramente un qualcosa che andava molto al di là dell’amicizia, che faceva intravedere un rapporto duraturo, serio.
Sempre più esasperata dalla preoccupazione del suo futuro, finalmente vinta dalla stanchezza Valeria si assopì per qualche ora.
Si trattennero a Napoli pochi giorni, sperando di vedere Valeria più ripresa, quindi decisero di ripartire per Roma. Emily non aveva rivelato ai genitori la verità sulle ultime sue vicissitudini e sperava di poterlo fare in altra occasione, anche per decidere sulla proposta di John. Certe volte la poveretta temeva di vedere svanire John come un sogno, che non era stato mai realtà. Allora una grande paura la prendeva e le pareva di non saper trovare più la strada da imboccare.
Una volta a Roma, le due donne compresero ch’era necessario dare una ravviatina alla loro esistenza, così stranamente transitoria. Giunsero alla conclusione che bisognava mettere in chiaro ogni cosa con tutti: con John e coi genitori di Emily.
Un giorno i due «innamorati» uscirono per un pic-nic sui colli romani; Valeria non volle seguirli e restò a casa col piccolo Marco che già spiaccicava qualche parola.
Caparbiamente Valeria gli insegnava a dire «papà» ed il piccino rideva divertito, come se avesse capito che quel gioco piaceva molto alla sua mamma. Ella non parlava mai di Marco, neanche con Emily, ma il suo pensiero ne coltivava il ricordo con una assiduità che ormai era divenuta un’abitudine. Se lo immaginava alle prese coi suoi alambicchi, o con quelle macchine terribili, capaci di dare la vita o la morte. A lei avevano dato il senso della sua sconfitta personale; quanto alla missione di Marco, ella non riusciva a vederne la grandezza, non ne sentiva la magnificenza, non s’illudeva per il futuro. Il pensiero ch’egli potesse staccarsi completamente da lei, trascinato, magari, da successi entusiasmanti, la faceva soffrire più del pensiero, terribile di per sé, ch’egli potesse ammalarsi, contrarre un male pericoloso. Assurdamente non riusciva a dominare il suo orgoglio ed il suo egoismo. Si sentiva in urto con la vita, col destino, come se avesse con quest’ultimo un conto sospeso, che in ogni caso si sarebbe saldato nel male. Non sapeva percepire la lunghezza dei tempi, ma sapeva, con un’intuizione ch’era quasi certezza, che avrebbe rivisto Marco. Spesso lo sognava, mai allegro, come se l’immagine di lui fosse un’emanazione del suo stesso inconscio, pieno di contorte e stravaganti delineature. Prima di ricevere il telegramma con le funeste notizie di suo padre, lo aveva sognato, all’alba di un giorno iniziato con un tipico violento temporale autunnale. Le era parso appunto che piovesse e che Marco le andasse incontro lungo una strada solitaria, dove tutte le case avevano porte e finestre serrate. Egli la guardava da lontano, le tendeva le mani e sorrideva, ma il suo sorriso era triste, come ottenebrato da una sventura. La pioggia li inzuppava entrambi, ma non c’era riparo… Ella, provava, nel sogno, la sensazione di vedere un film, il film della sua vita.
Quando si svegliò, non si rincrebbe, non si lasciò atterrire da una possibile nemica interpretazione del sogno stesso; desiderò soltanto che finisse l’incubo della sua vita sospesa nell’incertezza.
Invece Emily stava vivendo impetuosamente il suo nuovo amore per John.
«Oh, John, io credevo di amare Alfred e credo ancora di amarlo, ma com’è diverso quello che provo per te!».
«Tesoro» — diceva John — «è naturale: noi siamo giovani. E’ giusto che ci amiamo. Sai quanti anni zio aveva più di te? Trenta forse…».
«No, ventisette. Ma era così giovanile di spirito, così ardente di carattere, che non faceva apparire questa enorme differenza di età. Eppoi… mi amava tanto!».
John non si infastidiva a sentirla parlare con tanto attaccamento di Alfred. Egli aveva sempre intuito che Emily era una creatura desiderosa di affetto e di protezione, non priva di ambizione, certo, ma non falsa o impostora. L’aveva capito dai discorsi dello zio, che in lei vedeva il suo paradiso. Una volta che Alfred decantava più del solito la bellezza di Emily, con prove di fotografie, John gli aveva detto: «Zio, sei convinto di quello che fai? Questo non sarà l’unico errore della tua vita?».
Egli lo aveva guardato con una espressione strana, non cattiva, senza odio verso un’ipotetica delusione, da parte di Emily, e gli aveva risposto:
«E che sia! Io l’amo in modo totale. Desidero farla ricchissima, voglio farne una star. Voglio essere certo che se accadrà ch’io debba perderla, non porterò il rimorso di aver preso di lei gli anni migliori». Poi con un tono di voce più allegro aveva aggiunto: «Torno in Italia e me la sposo, poi te la porto a vedere. Vedrai, vedrai se questo povero “vecchio” è scemo» — e rise come trascinato dall’entusiasmo che le sue stesse parole avevano destato.
Dunque, la ragione principale, per cui egli era venuto in Italia, era quella di esaudire il desiderio dello zio di rendere ricca la donna che gli aveva dato tanta felicità, nell’ultimo spazio di tempo della sua vita. Era, però, lontano dall’idea che anch’egli si sarebbe innamorato di Emily, la quale gli era apparsa di una spontaneità e sincerità tali, di cuore e di mente, ch’egli ne era rimasto preso. In realtà Emily sapeva di essere bella e di piacere al primo sguardo, perché madre natura le aveva conferito fattezze fisiche che armonizzavano perfettamente coi suoi moti interiori. Considerava la sua avvenenza come un fatto naturale, appunto, e non se ne insuperbiva. Si accorgeva di possedere un sex-appeal particolare, non studiato o regolato dalla sua astuzia di donna, ma assolutamente libero e trascinante al punto ch’era difficile, come ebbe a dirle una volta Lando, «assai difficile non essere tentato di metterle le mani addosso». Emily non si offendeva facilmente, perché dentro si sentiva pulita. «Se piaccio agli uomini, tanto meglio» — soleva dire — «Io, però, so con certezza che non bacerei mai un uomo se non lo stimassi ed amassi». Ora l’amore per John la pervadeva come il sole la terra, bisognosa di calore, di fertilità, di pace.
Scherzando aveva detto una volta a John: «Non potrò sposarti. Devo fare l’attrice» — ben sapendo l’avversione che l’altro aveva per questo genere di lavoro.
John la malmenò affettuosamente e le ingiunse di fare l’attrice con lui in tutte le pose che volesse!
Emily si finse adirata e gli tirò molti piccoli pugni, finché egli non la strinse tra le sue forti braccia, soffocandola di baci.
L’amore di Emily per il cinema si scioglieva dolcemente, sotto il tepore dei baci di John e lasciava il posto ad un sentimento nuovo di spersonalizzazione: ella non voleva essere che l’ombra di John, appartenergli senza riserve, fondersi con lui in un solo desiderio. Al tempo di Alfred aveva pensato di fare l’attrice, per emergere in qualche modo, avendo deciso di non sposarsi per la sua forzata sterilità. Incredibilmente le cose le erano state spianate ancora da Alfred, che aveva informato il nipote di questa sua «menomazione», com’ella la chiamava, sicché fu più facile intavolare un discorso su un matrimonio che non sarebbe stato allietato da figli.
John la consolava: «Ci sono tanti bimbi infelici, orfani; ne adotteremo qualcuno. Farai assolutamente come vorrai».
Dopo questa distensiva chiarificazione, le cose andarono lietamente per il loro verso. Restava solo da stabilire come sistemare Valeria. Emily soffriva al pensiero di lasciare Valeria ed il bambino, ma non se la sentiva di rinunciare a John, neanche per loro. Sperava fortemente che avrebbe convinto Valeria a seguirla in America.
Valeria, dal canto suo, non aveva resistito alla tentazione di scrivere una lettera alla madre, così formulata:
«Mamma, oso pronunciare questo nome, sorretta dall’amore che ancora provo per te, specialmente in questi giorni di dolore…
Inorridisco al pensiero che tu ed Olga possiate attribuire a me la causa della morte dì papà.
Io lo amavo immensamente e tu ben sai come ne fossi ricambiata; tuttavia, egli non ha saputo perdonarmi. So che non desiderate vedere me, né il piccolo Marco…
Iddio è stato più pietoso e ci ha porto la sua carità attraverso l’aiuto di altre persone.
Non temere, non verrò a Napoli, a scandalizzare il tuo piccolo mondo di perbenismo.
Addio! Se un giorno desiderassi rivedermi, io dimenticherei, in un attimo, tutto il passato. Valeria».
Seguiva, a tergo, il suo indirizzo, che aveva scritto, spinta da una strana sollecitazione.
E venne presto il giorno della risposta: «Cara Valeria, io non ho mai smesso di sentirmi tua madre, sull’esempio mirabile di Andrea, tuo padre.
Hai voluto ricambiarci con una cattiveria peggiore di quella che compimmo noi, cacciandoti di casa. Dio solo sa quanto ci costò quel gesto, col quale credemmo di darci un contegno, per non naufragare nella disperazione. Torna qui col piccolo Marco. Torna a casa tua. Olga è stata ripudiata da Simone e vive dedicandosi quasi esclusivamente alla chiesa e alle opere pie. Io sono quasi sempre sola! Ti perdono e ti benedico. Tua madre».
Valeria leggeva e rileggeva quelle poche righe, non riuscendo a credere ai suoi occhi.
(Continua…)