Sedette sulla salda orlatura di marmo, che cingeva come una cornice tutto il basamento della costruzione; avvertì il freddo del marmo, benché fosse già maggio e cadde in tristissime riflessioni. Per costringersi a pregare, aveva portato con sé un libricino di preghiere e scritti sacri.
Ne lesse molte pagine, finché non la sorprese la stanchezza ed il pensiero di andare a prendere Marco all’asilo.
Pensò che più in là avrebbe consegnato il bambino alternamente alle nonne, durante le sue visite al cimitero, perché l’asilo stava per chiudere i battenti molto in anticipo, rispetto agli altri anni. Si respirava un’aria pesante di attesa: ormai tutti sapevano, perché lo sentivano perfino dal ritmo marziale delle canzoni di moda, che l’Italia stava per entrare in una guerra di cui era difficile misurare la portata.
«Almeno ci fossi stato tu a proteggerci!» — pensò e si alzò per sventolare un po’ la gonna gualcita per la lunga posizione seduta. Fu in quel preciso momento che notò qualcosa tra gli alti cipressi che formavano un gruppo, poco distante: come una figura umana che si movesse in fretta, e la stesse spiando.
Non si rese conto neanche se si trattasse di un uomo o di una donna, ma non volle dare importanza alla cosa e si diresse alla tomba del padre, dimenticando presto l’episodio.
Ma, quando varcò i cancelli del cimitero e alzò lo sguardo sulla spianata di fuori, dove aveva posteggiata la sua «Balilla», vide una grande macchina, di un colore grigio-acciaio, che si metteva in moto velocemente. Non poté vedere, per la distanza, chi fosse al volante, ma per una strana associazione mentale, unì i due episodi e si chiese:
«Che sia un malintenzionato?».
Rabbrividì a questo pensiero, ma strada facendo, si convinse che doveva trattarsi solo di una strana coincidenza, che le aveva fatto saltare un po’ i nervi, nella pesante solitudine di quel luogo di dolore. La settimana seguente, allo stesso giorno e quasi alla stessa ora, come uscì dal cimitero, rivide la macchina grigio-acciaio, elegantissima, molto più da vicino. Incuriosita guardò chi stesse al volante e notò un uomo che doveva essere molto alto, perché non se ne vedeva la testa.
All’improvviso lo riconobbe ed avvampò fino ai capelli: Adriano! Era Adriano… Come e perché si trovava presso il cimitero? La testa le girò come una trottola. Dovette reggersi per qualche momento al cancello, prima di raddrizzarsi nella persona e raggiungere la sua macchinina.
Adriano… Adriano… Adriano…! Quel nome rimbalzava nel suo cervello insopportabilmente, generando in lei una paura indefinita, molesta. Riprese Marco all’asilo e rientrò in casa, incapace di ritrovare il suo normale equilibrio.
Distratta e scontenta di una scontentezza che rasentava l’umiliazione, non rispondeva neanche alle domande del piccolo Marco, che, infastidito, si tolse dalle spalle la cartellina a zaino e la buttò sul divanetto della piccola sala d’entrata, strillando:
«Ohé, mamma! Non mi ascolti nemmeno? Ti devo dire che ho preso dieci al componimento che ci hanno fatto fare sulle vacanze, quando si chiuderà la scuola».
(Continua…)