Le sembrò che tutto il sangue le si raggelasse nelle vene, per risalire poi in fiamme fino al cervello, abbandonandola nuovamente, in una sensazione di terrore, ad un malessere gelido, che la rese mortalmente pallida.
Si voltò lentamente e non sorrise, quand’egli la salutò.
«Sei venuta a prendere il bimbo?» – disse egli e Valeria non gli chiese neanche come facesse a saperlo. Egli, piano piano la spostò dai cancelli e la condusse a qualche metro di distanza dagli altri genitori. Era pallidissimo anche egli, mentre la guardava con fissità, esprimendo nello sguardo l’universo intero, sognato, perduto ed ora sperato ancora per lei.
Valeria si mantenne rigida.
«Rimettiamoci ai cancelli» – disse – «altrimenti non lo vedremo uscire. Oggi è l’ultimo giorno, perché l’asilo chiude per qualche tempo, ma Marco non vi rientrerà. Ad ottobre lo iscriverò alla prima elementare, presso una scuola statale».
«Lo accetteranno?» – chiese lui.
«Il direttore mi ha promesso di si; è quasi in regola: avrà cinque anni e mezzo».
«Chissà, vedendomi?» – disse Adriano con voce commossa.
«Ne sarà lieto; ha sempre avuto una grande simpatia pe te», disse Valeria con voce incolore, che non si risolveva in nessuna previsione per Adriano.
«Non ha preso di te, riguardo alle sue simpatie» – rispose lui con voce tagliente.
Valeria tacque, facendo resistenza a se stessa; sentiva, ora che lo aveva vicino, di non odiarlo, come invece dimostrava. Ma non voleva scoprirsi interamente e si sentiva in grave imbarazzo in compagnia di lui tra quella gente in attesa.
Il suono di una campanella avvertì i presenti che i fanciulli stavano per uscire. Valeria tese lo sguardo alla grande scalinata dalla quale, ogni giorno, Marco scendeva saltellante ed allegro di ritrovarla tra la folla.
Finalmente lo vide ed il suo cuore si gonfiò di orgoglio: Marco avanzava tutto impettito, con aria d’importanza, come un piccolo uomo, mentre con gli occhi mobili ed ansiosi cercava lei, la sua mamma. D’un tratto scorse Adriano e si eccitò fortemente. Fece le scale quasi saltando, poi, correndo verso di lui, gridò: «Adrianooo! Adrianooo!».
Raggiunto che l’ebbe, lo abbracciò ai ginocchi, ma Adriano lo sospese come una piuma e lo abbracciò fortemente, commosso del ricordo vivo che aveva conservato di lui. Lo rimise a terra e gli chiese: «Sei contento di rivedermi?».
«Se sono contento?» – diceva il piccolo – «Sono arcicontento! Hai saputo della recita? Hai sentito quanti applausi? Io ho detto benissimo tutto, anche la poesia».
«Me la farai sentire?» – chiese Adriano, incurante dell’aspetto ancora astioso di Valeria.
«Adriano, hai visto?… Mamma, gli hai fatto vedere la bicicletta?
E’ ancora tutta incartata; oggi la dobbiamo sciogliere… Non vieni a vederla Adriano?».
Adriano taceva, con gli occhi bassi, adirato contro Valeria, che immaginava dura ed inflessibile, come una statua di marmo.
«Non potrò» – rispose poi – «Ho molto da fare».
Ma, prima che il bambino replicasse dispiaciuto, Valeria dette uno strappo a se stessa. Pensò rapidamente a Marco: non lo avrebbe dimenticato, ma non se la sentiva di vivere ancora con lui, in un ideale interminabile abbraccio di morte.
Adriano rappresentava finalmente la vita per lei e per il piccolo Marco. E in fondo ella lo amava; forse lo aveva sempre amato.
Si sentì invasa da una grande voglia di vivere ancora una meravigliosa vita d’amore e di speranza e tutta la sua persona si scosse, si agitò. Guardò negli occhi Adriano, senza tremare e gli chiese:
«Mi ami davvero?».
Adriano era fuor di sé dalla felicità.
«Vi amo entrambi come la vita stessa» – rispose. Poi prese sotto braccio Valeria, per mano Marco e disse finalmente con voce lieta:
«Dove andiamo?».
«Naturalmente a casa!» – rispose Valeria, stringendosi a lui.
(Fine)