Secondo il proponimento del giorno prima, Valeria tolse la sciarpetta chiara dal vestito nero, per recarsi al cimitero presso la tomba del marito.
Non si sentiva contenta; non provava quel senso di soddisfazione che generalmente provano tutti quelli che assolvono questo compito triste, ma caro.
Chissà perché ella non riusciva a capire certe cose. Fosse stato per lei, non avrebbe neanche voluto vedere la tomba di Marco, forse perché non sopportava di saperlo là sotto, coperto di terreno, dove vermi brulicanti scarnificavano il suo giovane corpo.
Guardando, invece, il ritratto che aveva fatto fare ad olio da una bella fotografia, riusciva perfino a parlare con lui nelle pesanti ore di solitudine, e gli perdonava quella morte quasi voluta, che aveva semidistrutto anche la sua vita.
Il bambino non si attardava più tanto a parlare del padre, da quando aveva contratto amicizia con due ragazzini coetanei, che abitavano nello stesso palazzo, dove abitava lui con la sua mamma.
Questa scoperta aveva reso felice Marco e colmato lietamente molte ore della sua giornata. Invitava gli amici nella sua stanzetta, dove insieme inventavano tanti giochi e costringeva Valeria a conoscere le loro mamme, perché «così fanno venire più volentieri i loro figli!».
Valeria acconsentiva ai capricci del figlio, finché era possibile, ma non ricambiava le visite che le due donne ogni tanto le facevano per mantenere buoni rapporti di vicinato.
Ella preferiva, quando aveva delle ore libere, dedicarsi a scrivere.
Aveva preso quest’abitudine da quando aveva cominciato a scrivere un piccolo diario, durante quel tempo così avventuroso e indimenticabile, trascorso con Emily.
Ora, raccogliendo tutte le idee gettate un po’ a caso, desiderava mettere su carta la storia della sua vita. Non aveva nessuna voglia di pubblicarla e tanto meno velleità di fare la scrittrice; voleva soltanto lasciare al figlio una specie di testamento spirituale. Glielo avrebbe consegnato in età adulta, perché egli conoscesse del padre molto più di quello che aveva potuto capire, nel breve tempo della loro convivenza.
Distratta da questi ed altri pensieri, si trovò davanti al cimitero.
Posteggiò la macchina poco distante ed entrò speditamente attraverso i grandi cancelli, dirigendosi per il sentiero che portava a Marco, meditando di portarsi dopo sulla tomba del padre.
Marco, infatti, non era nella tomba paterna, per volontà degli Altieri che avevano di loro proprietà una tomba bellissima, a forma di un grande mausoleo, circondata da una pesante ringhiera di ferro, che, mentre la proteggeva, le conferiva un aspetto assai signorile.
A Valeria sarebbe piaciuto unire insieme nella stessa tomba i suoi cari, ma aveva ceduto alle preghiere della signora Amalia, che la supplicava di permettere che Marco andasse, per l’ultimo riposo, nella tomba di famiglia, dove, fra cento anni, avrebbe potuto entrare anch’ella. Valeria acconsentì, ma non volle ipotecare il suo futuro. Sulla tomba del marito, sostò a lungo, in silenzio, dopo avere sistemato i fiori freschi nei vasi. Non riusciva, però, ad intavolare un colloquio sia pure muto, col marito morto, ch’ella aveva amato in vita con passione incessante; non riusciva neanche a pregare, come faceva, invece, tutte le sere, raccogliendosi sotto il grande ritratto di lui. Avrebbe preferito sapere imprecare ed urlare contro la sorte cattiva, che li aveva inesorabilmente disgiunti; ma dentro di lei si era prodotto uno sfacelo ch’era più della disperazione; era un vuoto di forze psichiche, una incapacità di capire la morte giovane di Marco. Non riusciva neanche più a stabilire una misura precisa d’amore per lui, che non esisteva più, che bisognava ricostruire continuamente nel pensiero. Sapeva invece con certezza quanto amava il figlio! Più della sua stessa vita! Forse in lui continuava ad amare il padre, ma davanti alla effigie di questo, collocata sulla tomba, la sua testa si faceva vuota ed il cuore quasi insensibile.
(Continua…)