Certamente nel suo lavoro aveva assaporato sensazioni così esaltanti da dimenticare il sapore della vita normale…
Un’esaltazione che lo aveva tenuto lontano quasi quattro anni e che non lo avrebbe fatto tornare ancora a lei, se egli non si fosse mortalmente ammalato: a lei così ansiosa di vivere la sua vita con lui, da urlare perfino nel sonno la sua inutile disperazione.
«Non sono stata mai tranquilla, amando Marco; la mia felicità l’ho sempre rincorsa a pezzi, stranamente, morbosamente legata a lui, al suo carattere complesso, irresistibile, temerario.
Ora egli è solo un ricordo doloroso che non voglio trasmettere a mio figlio. E’ stato come il sole, che, affacciandosi per un attimo sul mio balcone, è stato coperto dai nembi di un uragano, che si è placato, appagandosi della vittima prescelta.
Un’esperienza di morte anche per me, perché il mio spirito non potrà risorgere mai più a cantare le note giulive della giovinezza e della vita.
Marco, sarò ancora legata a te, in un lugubre contratto di dolore, ma non ti porterò tuo figlio, venendo sulla tua tomba, almeno finché non sarà cresciuto abbastanza. E’ un bambino pieno di luce, di vita gioiosa; non voglio annebbiare questo splendore d’animo con immagini luttuose. Più tardi… capirà anche la morte».
(Continua…)