Marco, invece, dopo una brevissima illusione di poter riprendere un rapporto fisico con Valeria, aveva sdegnosamente rifiutato anche quello spirituale. Una volta Valeria, ai limiti della resistenza, lo affrontò con la sua solita schiettezza: «Insomma, che vuoi? Non riesci ad essere neanche gentile con me, come foss’io la causa di quello che ti è accaduto».
Poi, raddolcendo la voce, aggiunse:
«Marco, per l’amor di Dio! Il matrimonio è una cosa sacra noi ci apparteniamo comunque. Cerchiamo di essere dei buoni amici e soprattutto dei buoni genitori per nostro figlio».
Marco non rispose subito, ma lo fece con calma glaciale:
«Valeria, hai voluto fare l’eroina sposandomi; forse l’hai fatto per il bambino e questo ti può dare anche ragione. Ma io non voglio le tue tenerezze: puzzano di pietà a mille miglia! Sarò più sereno se mi lascerai in pace, a studiare. Ecco, vedi? Studiare è l’unica cosa che riesce a darmi ancora qualche interesse e qualche soddisfazione. Tu vivi la tua vita. Fatti degli amici; inserisci anche il piccolo, perché non cresca come un orso ed impari ad apprezzare la vita. Non voglio che mi somigli».
«Ma se è tutto il tuo ritratto? Perché, invece di rinchiuderti nella tua ostinazione, non ti provi a fare il padre per davvero? Ascoltalo, rispondi alle sue domande, non deludere una povera creatura innocente, che tu hai messo al mondo! Sforzati di vivere per noi. Cerchiamo di stare insieme come meglio è possibile. Io non chiedo altro alla vita…».
«Taci» – la interruppe violentemente Marco – «Taci! Ho sbagliato tutto nella mia vita, proprio tutto, capisci?
Ti prego, non ritorniamo più sull’argomento. Anch’io ti ho detto cosa desidero ancora dalla vita: restarmene solo ed in pace».
Dopo questo penoso colloquio, Valeria si ritirò in camera da sola. Marco restò tutta la notte nello studio. Verso l’alba, Valeria, svegliatasi, si recò a sorvegliarlo, attraverso la porta socchiusa, e lo vide disteso sul divano ancora vestito; il lume sullo scrittoio era ancora acceso e illuminava tanti fogli scritti a mano.
Rivedendo l’armoniosa calligrafia del marito, Valeria sorrise ad un ricordo felice: ella soleva scherzare sulla sua calligrafia, dicendo:
«Non sembra propriò quella di un medico» – e Marco le rispondeva: «E’ quella di uno studioso, che ha il dovere di essere chiaro se vuol farsi leggere». Ingoiò amaro e ritornò a letto, senza svegliarlo, temendone la reazione. Poi sorrise con dolorosa ironia pensando che sua madre, Olga e il bambino erano andati da zia Gemma, per stare un po’ con lei, in realtà per lasciare qualche settimana soli i due «sposi», perché si ritrovassero completamente.
(Continua…)