Desiderio infinito! Capitolo 10 (Parte prima)

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La malattia di Marco Altieri, contaminazione da raggi, arrecava la morte, a distanza breve o meno breve, secondo il suo decorso e la resistenza fisica del paziente.
Valeria riavutasi dallo svenimento, conseguente alle notizie ricevute su Marco, si scusò con Giovannini e con Adriano e li pregò che non le nascondessero nemmeno in parte la verità: ella desiderava soltanto poter vedere ancora una volta Marco.
Il suo equilibrio e la sua compostezza colpirono Adriano, che si affrettò a dirle:
«Altieri avrebbe bisogno di essere trasferito in una delle cliniche più attrezzate e moderne del mondo, per tentare di sconfiggere la morte…
«Ma lo Stato… i fascisti che lo stanno uccidendo non possono…».
«Certo, certo che vogliono farlo. Lo stanno già facendo» — intervenne il prof. Giovannini.
«Marco sarà trasportato con aereo militare in America, in una clinica dove si muore proprio se si deve morire».
«Ed io non potrò vederlo, prima che parta?».
Nessuna risposta alla sua domanda ansiosa. Dopo un po’ Adriano ruppe il silenzio e disse:
«Si potrà combinare un incontro dopo, quando sarà stato ricoverato. Ma ci vogliono due cose: un viaggio in America e un permesso dal Padreterno».
Poi, accalorandosi, aggiunse:
«Sa che le dico Valeria? Troverà proprio presso i fascisti il modo di farla contenta, lo giuro! Andrò a trovare una vecchia amica, sorella di un capoccione. Ne sarà felice; Dio mi perdoni l’inganno, perché la sedurrò fino a che non avrò raggiunto lo scopo che lei veda Marco. Lo giuro» — ripeté, e la sua voce era accorata e solenne.
Valeria stava vivendo un incubo; pur tra la grande agitazione che la pervadeva e che ella cercava di nascondere, per il timore che non la tenessero più al corrente, comprese il significato delle parole di Adriano. Avrebbe voluto ribattere che non era giusto quello che egli si proponeva. Ma che cosa era giusto alla fine? Che Marco morisse, senza neanche rivederla, senza sapere di avere un figlio?
Intanto nella sua mente si vivificava il ricordo lontano di Rosario! Anche Rosario Caliendo aveva giurato di ridarle Marco e non aveva potuto mantenere la promessa per la sua tragica fine. Lo avrebbe veramente fatto se fosse vissuto? E Adriano farebbe quel che prometteva con tanto calore? Che fosse lei a portare sfortuna a tutti? Un brivido l’attraversò mentre il prof. Giovannini le diceva:
«Su, su, si risvegli dai suoi pensieri… Se Adriano lo dice, lei rivedrà Marco».
Le fece poi raccomandazioni vivissime che non parlasse con nessuno di quanto aveva saputo, che non dicesse una parola neanche in famiglia. Valeria promise con la testa in fiamme, con la gola serrata. Chiese ed ottenne il permesso di tornare a casa. Qui aprì con la sua chiave e non vi trovò nessuno; se ne meravigliò e si chiese dove potevano essere Nina ed il bambino, senza sapersi dare una spiegazione. Alla fine un gran pianto la sconvolse dal profondo, mentre quasi balbettava:
«Piccolo mio, conoscerai mai tuo padre?».
Si accostò alla fotografia di Marco, che teneva sul cassettone; la prese tra le mani che tremavano e cominciò un discorso con lui, forse sconclusionato, ma che almeno la faceva scaricare, la infiacchiva, le faceva venir sonno, un sonno pesante, forse come quello della morte. I suoi, rincasando la trovarono profondamente addormentata; la svegliarono per consegnarle il piccolo e dissero che erano stati a casa del segretario comunale. Un lampo attraversò la mente di Valeria: che gli amici di Olga potessero fare qualcosa? Ma non volle fare di testa sua. L’indomani ne avrebbe parlato al prof. Giovannini.
Il giorno dopo, in ospedale, seppe dal professore che Adriano era già partito per Bologna, per riappacificarsi con Amelia. Anzi egli, prima di partire, le aveva telefonato per informarla del suo arrivo ed ella era rimasta felicemente sorpresa.
Valeria parlò allora a Giovannini del segretario comunale, nel tentativo di dissuadere Adriano da un’azione che le pareva abominevole. Ma il professore la disarmò:
«Per carità, Valeria. Sarà un gran brav’uomo quello di cui mi parla, ma certamente, qui, a Napoli, non manterrebbe il segreto, sia pure solo per farsi bello con i suoi amici. Eppoi… eppoi… ci vuole una manica più forte. Lasciamo fare ad Adriano! Non si preoccupi di questa cattiva azione, che non farà gran male; è così un bell’uomo Adriano! L’amore è fatto per i giovani e, a volte è sincero, a volte un po’ perfido. Lasci fare al caso».
Da quel momento seguirono giorni terribili. Chiusa nel suo doloroso silenzio, Valeria era un sol fascio di nervi vibranti.
Assolveva i suoi compiti in ospedale con lucidità e perizia, come galvanizzata dall’attesa di qualche notizia da parte di Adriano. Solo a casa, rientrando la sera, nell’assenza quasi perenne di Olga, riusciva a distendersi un poco, consolata dalle moine di Marco junior. Allora pensava:
«Domani… domani arriverà un telegramma di Adriano o una sua telefonata». Vivendo quest’ansia spasmodica e logorante, passarono sei giorni.
A volte la sua sofferenza raggiungeva punte così acuminate che avrebbe proprio voluto lasciarsi andare, nella terribile impressione che neanche più tanto le importava del piccolo Marco. La sua mente era un rovello spaventoso in cui venivano travolti i loro tre destini:
una fucina di visioni terrorizzanti, che frustravano il suo normale equilibrio. Da anni non dormiva più i suoi sonni giovani, calmi e profondi; le sue notti erano ormai una lunghissima catena di affannose e sussultanti reazioni a brutti sogni e a risvegli amari come la cenere.
Spesso, anche nel dormiveglia vedeva scene oniriche, confuse, terrificanti. Una sola volta ebbe la visione esatta di Marco: lo vide avvolto dalle fiamme che lo lambivano senza bruciarlo. Intorno a lui appariva un chiarore immenso ed egli se ne stava dritto col busto e col bel viso sorridente e rassicurante.
Nel sonno ella gli chiedeva:
«Sorridi tra le fiamme? Non hai paura?» — Allora il viso di Marco apparve come ingrandito su uno schermo, sicché ella potette notare addirittura delle piccole rughe di espressione intorno agli occhi. Poi l’immagine si dileguò e con essa il sonno ed il sogno.
«Marco è morto» — pensò — «Ne sono certa. Solo questo vorrà dire il mio sogno allucinante… che il mio destino è compiuto. La mia ansia di vita è finita. Un giorno spiegherò a mio figlio la mostruosa fine del padre, perché si guardi dal fare l’eroe».
Si sentiva assente, incapace di volere, di agire, come un’ombra inutile. Non avrebbe potuto neanche più sorridere al suo bambino:
maschera di indifferenza e di morte per tutta la vita che le restava.
Proprio quel giorno, invece, arrivò Adriano con buone notizie, se buone si possono considerare, nella sventura, le notizie che non parlano immediatamente di morte.
Marco era, adesso, sotto il controllo di uno scienziato di fama mondiale, il dottor «Maximus» dell’Università di Oklahoma City. Non si poteva ancora dir niente di definitivo, ma il fatto stesso che quel «santone» lo aveva preso in cura nella sua clinica, era di per sé una cosa che poteva mettere un po’ su lo spirito. Intanto Amelia si sarebbe data un bel da fare, per trovare il modo, col suo fratellone fascista, capogruppo nella sede di Bologna, di fare andare in America Valeria. Ma questa rimaneva incredula, non tanto perché ritornava continuamente a martellarle nella testa il sogno terribile che aveva fatto, quanto, perché ella sapeva bene che una volta in America le sarebbe stato lo stesso impossibile vedere Marco, che certo era isolato in un reparto speciale, inaccessibile a tutti, tranne a quei pochi medici ed infermieri che erano tenuti al segreto. Già era un fatto strano che non fosse in un ospedale, ma in una clinica, che certamente per le sue caratteristiche di ricerca e di studio, era come una torre d’avorio, che rinchiudeva il suo Marco.
Tenne per sé questi timori; del resto potevano avere ragione gli altri, che era necessario trovarsi sul posto; poi si sarebbe visto. Un giorno Adriano le disse:
«Valeria, mi perdoni, se entro in questo argomento delicato: io devo sapere se lei ha i soldi per andare in America e, poiché vorrei accompagnarla, vorrei conoscere la sua opinione al riguardo, per poter poi sistemare le cose qui, in ospedale. Per i soldi, non si preoccupi eccessivamente. Me ne occuperò io per entrambi».
Valeria arrossì fino alla cima dei capelli e rispose:
«Grazie, Adriano. I soldi non mancano; sono in banca, donatimi, a suo tempo, da un’amica che ha a cuore la sorte del mio bambino. Li prenderò senza imbarazzo per questo viaggio, ma vorrei andare sola. Non me la sento di farmi accompagnare da lei; ho bisogno di sentirmi libera ed autonoma; lei non farebbe che aumentare la mia soggezione». Adriano rimase visibilmente dispiaciuto, ma rispose in modo gentile:
«Faccia pure; starò molto in pensiero per lei».
Ma il Cielo benignamente mutò la scena degli eventi. In ospedale si presentò, impettito come non mai, il fratello di Amelia, seguito da due uomini in divisa fascista, col petto decorato da molti fregi; essi recavano un miracolo, racchiuso in una busta: il permesso accordato al prof. Giovannini e ai suoi due più stretti collaboratori, sulla loro richiesta di visitare la clinica più famosa del mondo per gli ultimi ritrovati di scienza medica. Era, però, possibile visitare solo alcuni reparti ed esclusivamente laboratori. Il professore Giovannini, Adriano e Valeria si guardarono sbalorditi: ma quale permesso essi avevano chiesto mai al governo fascista e all’ambasciata americana?
Tutto, però, era chiaro come il sole: si partiva entro due giorni, con un aereo militare. Gratis anche il soggiorno in America per quanto concerneva i pasti e l’alloggio.
Se avesse potuto, Valeria avrebbe fatto salti di gioia; invece era come se dentro si fosse spezzata una molla. Accettò, tuttavia, l’allegria degli altri e si dispose alla partenza.
Più tardi, baciando il piccolo Marco, sentì uno strappo al cuore.
«Signore» — implorò — «fa’ che io ritorni per questo bambino!».
Alla madre, preoccupata di questa improvvisa partenza, fece intendere che era stata inclusa in una particolare commissione, che doveva svolgere una ricerca scientifica in America, insomma un breve corso di aggiornamento.
La signora Tilde sorrise con pazienza e bontà, contenta che la propria figliola, almeno dal punto di vista economico, si fosse sistemata così bene da non avere preoccupazioni per l’avvenire del bambino.
Intanto Valeria aveva spedito un telegramma ad Emily, informandola della sua improvvisa partenza, per l’America. Precedentemente le aveva, per lettera, prospettato una situazione diversa: sarebbe venuta in America con la prossima nave in partenza; si sarebbero poi accordate sul modo di come far pervenire notizie di sé a Marco, ricoverato colà. Seguivano precisazioni sull’indirizzo e i saluti sempre affettuosissimi.
Intanto Marco sentiva che la vita gli sfuggiva giorno per giorno; non aveva neanche la forza, né la volontà di ribellarsi al destino, o a se stesso, per i rischi che prima aveva accettato, poi corso, con tanta indifferenza per la sua stessa vita.
All’inizio della sua nuova vita di recluso in missione, non riusciva a trovare conforto neanche nel ricordo di Valeria, che era andata lontana da Napoli, così palesemente ostile contro di lui, senza aspettare un giorno ancora per rivederlo un’ultima volta!
Era partita per Genova… Ma chi avrebbe potuto impedirle di attenderlo un giorno solo, per poter spiegare bene tutte le cose, alla presenza dei suoi genitori?
Ed era poi vero che aspettava un figlio o erano malvage insinuazioni di Olga, per rendere più disperata la sua sofferenza?
E se veramente Valeria era incinta, cosa avrebbe fatto senza di lui, senza il suo permesso? Una famiglia di puritani, di falsi puritani… Le avrebbero ordinato di andare subito presso zia Gemma per farla abortire? Per distruggere con la sua creatura l’ultimo riflesso d’amore per lui?
«Non mi hanno neanche voluto ricevere i miei suoceri, come fossi un delinquente della peggiore risma».
Quante volte, nella solitudine forzata, faceva queste riflessioni ed altre ancora più tristi:
«Valeria mi odierà e piano piano mi dimenticherà. Sarà felice con un altro uomo… un uomo mediocre magari, ma incapace di staccarsi dalla sua gonnella. Ed io che l’avevo idolatrata, eretta sul piedistallo della mia fiducia in lei, nell’unica donna che avrei voluto sposare! Non mi ha lasciato neanche una lettera, una parola di addio, una parola di odio. Niente, niente, niente!
Indifferenza. L’indifferenza in lei avrà avuto il sopravvento. Era l’atteggiamento che assumeva anche con gli altri, quelli che non reputava degni della sua conversazione!».
In quattro anni di studi e di ricerche, che non poteva lasciare interrotte, per nessun motivo che non fosse la morte, aveva patito di tutto, soprattutto di gelosia. Specie all’inizio si sentiva come un leone in gabbia, senza alcuna possibilità di poter fare esplodere il suo immenso furore. Anzi, nell’ambiente, doveva mostrarsi sempre calmo e controllato. Secondo i superiori, gli era capitata una «grande fortuna», che, però, volendo, non poteva assolutamente rifiutare.
Dopo qualche mese, tuttavia, dentro di lui cambiò qualcosa. Non che il pensiero di Valeria fosse meno doloroso, ma accadde che il lavoro, a cui era stato chiamato, lo interessasse a tal punto da coinvolgerlo in pieno, facendogli provare, a volte, delle autentiche esaltazioni. Avrebbe rinunciato anche a Valeria, per esso, perché ora se la figurava meschina e debole, forse anche bugiarda… Quel figlio!
Perché Olga avrebbe parlato di un figlio? Se fosse vero, ella non glielo avrebbe detto, sia pure, per fare l’ultimo tentativo di stornarlo dal suo dovere?

(Continua…)