D'Ascoli: no o astensione ad un referendum inutile e dannoso.

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Senza nome 2Giuseppe D’Ascoli, già amministratore al Comune di Pontecagnano Faiano e alla Provincia di Salerno e funzionario del Ministero dello Sviluppo Economico ha aderito, nei giorni scorsi, al Comitato “Ottimisti e Razionali”, costituitosi a Roma e presieduto da Gianfranco Borghini che invita gli italiani a “non” andare a votare al referendum sulle trivelle del 17 aprile o in alternativa a Votare “NO”.

Le ragioni sono state spiegate da Gianfranco Borghini alla Conferenza Stampa di presentazione del Comitato contro il referendum del 17 aprile “Ottimisti e Razionali”:

“Il nostro comitato è “Contro” il referendum. L’invito che rivolgiamo agli Italiani è di “Non” andare a votare. Per due ragioni: perché è un referendum ingannevole e perché è dannoso.

E’ ingannevole, perché i promotori vogliono far credere agli italiani che con il referendum si dirà “No” a nuove trivellazioni entro le 12 miglia; e questo proprio a breve distanza dalla decisione del Parlamento di approvare una legge che espressamente le vieta. Che senso ha fare spendere al paese 400 milioni di euro per dire “ No” a qualcosa cui il Parlamento ha già detto “No”? Nessun senso, appunto. Per questo il referendum è un inganno.

Il referendum non è un referendum di iniziativa popolare. Nessuno ha chiesto ai cittadini che cosa pensano; nessuno ha raccolto le 500 mila firme necessarie. Chi ci ha provato in passato non c’è riuscito. A promuovere questo referendum sono state 9 regioni (e non fra le più popolose), alle quali preme una sola cosa: affermare il principio del tutto sbagliato ­ che a decidere in materia di energia debbano essere, in ultima istanza, le regioni e non il Parlamento. Se così dovesse essere, prevarrebbero solo e soltanto interessi locali e localistici, e non quelli nazionali. Per questo invitiamo i cittadini a respingere l’invito delle 9 regioni e a non andare a votare.

Il Referendum è anche dannoso. Il vero obiettivo dei suoi promotori non è impedire le trivellazioni, che comunque sarebbero vietate, ma è quello di bloccare le piattaforme che già esistono e che da anni riforniscono, in tutta sicurezza e senza danneggiare nessuno, una parte significativa del gas che serve al paese.

Si dice che queste produzioni sono marginali e che il gioco non vale la candela. Non è vero! La produzione italiana di gas e di olio (a terra e in mare) copre, rispettivamente, l’11,8% e il 10,3% del nostro fabbisogno. In Euro questo significa 4,5 miliardi all’anno di risparmio sulla bolletta energetica. Non è davvero poco. Le piattaforme off­shore che si vorrebbero chiudere forniscono fra il 60 e il 70% del gas nazionale che utilizziamo in casa o nelle attività produttive. Perché dovremmo rinunciare a questa energia pulita, sicura e che soddisfa bisogni fondamentali del paese? Perché dovremmo mettere in crisi un settore industriale che crea lavoro e ricchezza e che è ricco di professionalità e di tecnologie? Non c’è nessuna ragione valida per farlo. Sarebbe uno spreco assurdo che nessuna nazione che abbia la fortuna di disporre di risorse energetiche nazionali, a cominciare dalla “verdissima” Norvegia, si sognerebbe di fare. Perché mai dovrebbe farlo l’Italia?

L’attività estrattiva del gas metano non danneggia in alcun modo il turismo. Il 50% del gas viene dalle piattaforme che si trovano nell’alto Adriatico; nessuna delle numerose località balneari, a cominciare dalla splendida Ravenna, ha lamentato danni. Anzi, il turismo balneare è cresciuto cosi come sono cresciute le spiagge cui la lega Ambiente conferisce la goletta verde.

Il gas non danneggia l’ambiente, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico ed è di pochi giorni fa che l’Università californiana di Santa Barbara ha chiesto che non venga dismessa la piattaforma Eureka, considerata da loro una importante oasi ittica. Né si può dire che le piattaforme deturpino il paesaggio. Deturpano molto di più le pale eoliche che popolano le colline pugliesi.

Soprattutto l’estrazione di gas è sicura. Su di essa esercitano un controllo costante e stringente l’ISPRA, l’Istituto Nazionale di geofisica, quello di geologia e quello di oceanografia. C’è il controllo delle Capitanerie di porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell’Istituto superiore di Sanità e dei ministeri competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un qualche rilievo.

Infine, questa attività non costa nulla ai contribuenti ma dà molto al paese: 800 milioni di tasse, 400 di royaties e canoni, 300 di investimenti in ricerca. Dà lavoro diretto a più di 10.000 persone e concorre col settore a dare lavoro a più di 100 mila persone. Perché dovremmo disperdere questa ricchezza tanto più se non crea nessun danno a nessuno?

La richiesta referendaria è puramente distruttiva. Non si crea un nuovo sviluppo distruggendo ciò che faticosamente, da Enrico Mattei in poi, il paese ha fatto.

Per questo diciamo agli Italiani: “Non andate a votare, non tirate la volata a chi vuole soltanto distruggere”.