Dal Cilento a Poseidonia.

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di Pasquale Martucci

 

Le tracce di una cultura sono racchiuse nelle origini più remote che tuttavia non riescono a caratterizzare un intero territorio, ma solo specifiche zone. E’ il caso di città e località che hanno visto il susseguirsi di civiltà e l’aggregarsi di comunità, a partire da quelle più antiche e meno organizzate.

Nella zona cilentana, una natura carsica e una ricchezza di grotte hanno senza dubbio favorito la presenza dell’uomo che si è manifestata cinquecentomila anni fa, come risulta da reperti e riscontri oggi disponibili. Gli uomini vissero nelle grotte costiere del Cilento: la loro presenza è attestata dagli utensili ritrovati tra Palinuro e Scario; in altri casi sono stati rinvenuti reperti nelle aree interne dislocate nei pressi delle montagne (Grotte di Castelcivita) e nel Vallo di Diano (Grotte dell’Angelo, a Pertosa). (1)

Se si considera Paestum, l’area dove oggi ci sono gli scavi è stata abitata fin dall’epoca preistorica: i manufatti rinvenuti sono databili dall’età paleolitica fino all’età del bronzo. Per entrare più nel dettaglio, nel Paleolitico inferiore, si è riscontrata la presenza dell’homo Erectus a Marina di Camerota (Cala d’Arconte, Capo Grosso, Cala Bianca). Dell’homo di Neanderthal (Paleolitico medio: 80.000/35.000 anni a.C.), le tracce sono rilevabili tra Marina di Camerota e Palinuro. Si trovava anche sui monti Alburni, a Sant’Angelo a Fasanella (Grotta di San Michele), Castelcivita (monte Calpazio), a Paestum nei pressi della Basilica. Tra i monti Alburni e Marina di Camerota/Palinuro si sono rinvenute tracce anche dell’homo Sapiens (35.000/8.000 anni a.C.). Siamo nel Paleolitico superiore e Mesolitico. (2)

Nel Neolitico (6.000/3.000 anni a.C.), ci fu l’introduzione dell’agricoltura e la nascita dei villaggi a Paestum, Palinuro, Campora e Stio. L’età del rame, Eneolitico (3.000/2.000 anni a.C.), portò all’affermazione nella pianura del Sele della cultura del Gaudio, con popolazioni riunite in clan familiari con una “forte connotazione guerriera”. L’economia era agricolo-pastorale. Il Gaudio si espande da Paestum (il riscontro è ad 1 chilometro a nord della città) verso Eboli, Buccino, Pontecagnano, Piano di Sorrento, e poi verso la Basilicata e la Calabria. (3)

La scoperta di manufatti e utensili, provenienti dalla Puglia o dalle isole Lipari, attestano che già allora il Cilento fu crocevia di scambi con le altre civiltà appenniniche (vie della transumanza e traffici, luoghi di culto e di mercato), mentre il mare lo avvicinava alle civiltà nuragiche, a quelle egee e mediterranee. (4)

Nell’Età del Bronzo (1.800/1.000 anni a.C.), l’intera organizzazione territoriale appare già definita: lungo i percorsi dal Tirreno allo Jonio è proprio l’antico Cilento il protagonista della mediazione tra le culture più diverse che si alternano, a partire da quelle greche, per giungere agli Enotri e ai Lucani, infine ai Romani. (5)

I pastori si insediano nei pressi di Hera Argiva e danno origine, nell’età media del bronzo, alla cultura appenninica: la presenza umana è a Paestum e sul monte Calpazio, nei pressi dell’area in cui ora c’è la Madonna del Granato, e a Trentinara. I pastori si recano anche sui monti Alburni: a Costa Palomba si trova l’Antece, scolpito nella roccia; alcune presenze si sono rinvenute anche a Laurino. Lungo la costa passano per Agropoli, Velia, Marina di Camerota, monte Gelbison, Cannalonga e Pattano. Scrive Arcuri, che il territorio dal Solofrone all’Alento non è stato toccato: solo nella tarda età del bronzo si nota un insediamento a San Marco di Agropoli. Sul promontorio di Agropoli tra i secoli IX e X a.C., c’era un villaggio di capanne in legno. Era lì situato per difendersi da altre popolazioni. Nell’età del ferro (IX-VII secolo a.C.), il concentramento umano era soprattutto alla destra del Sele, nell’area picentina. Infatti, gli Etruschi villanoviani giungono a Pontecagnano e poi si spostano verso il Diano. A Paestum ci sono resti, risalenti al VI secolo a.C., di una tomba “sconvolta dalla costruzione della città greca”, ed allora è pensabile che un secolo prima dell’arrivo dei greci, ci siano già state popolazioni indigene. (6)

I primi Greci approdarono sulle coste del Cilento (intorno al XVII secolo a.C.), ma solo più tardi (fine VII-VI secolo a.C.) nacquero le città coloniali: Pixunte (Policastro), Molpa (nei pressi di Capo Palinuro) e l’antica Poseidonia (Paestum), fondata dagli Achei sibariti che giunsero con i popoli appenninici. Il mare invece portò i Focei, originari dell’Asia minore, fondatori di Elea (Velia), la città della sua Scuola Filosofica Eleatica, una delle più importanti e famose del mondo classico, e della prima Scuola Medica. (7)

Dunque, quando giunsero sul territorio, le poleis greche fecero opera di assimilazione e di respingimento degli abitanti che trovarono sul territorio: ognuna di esse aveva un’entità politica a sé, proprio come accadeva nelle città della Grecia, anche se intratteneva rapporti commerciali essenzialmente con comunità simili. Le colonie si svilupparono rapidamente quando trovarono terreni fertili che permisero di produrre in maniera considerevole, anche grazie alla diffusione di un importante artigianato e la conseguente commercializzazione dei prodotti. (8)

Un gruppo di colonie greche si affermò presso la costa jonica e costituì la vera e propria “Magna Grecia”. Particolarmente importante fu quella di Sibari, fondata da un gruppo di Achei provenienti dal Peloponneso alla fine dell’VIII secolo a.C., che si sviluppò su un territorio molto ricco: la città aveva una cinta muraria di circa nove chilometri ed esercitava, nel VI secolo a.C., influenza su altri venticinque centri urbani e su quattro popoli indigeni, un territorio vastissimo che giungeva fino alle coste del Tirreno. Anche i prodotti di lusso di Mileto (ceramiche, bronzi, tappeti di lana, mantelli ricamati) partivano da Sibari per raggiungere la Campania e le popolazioni etrusche. (9)

E proprio sulla costa tirrena, i sibariti fondarono, secondo Strabone, la città di Poseidonia, che raggiunse il massimo splendore nel VI secolo a.C. La città fu chiamata così per onorare il dio, ma fu anche molto devota ad Athena ed Hera. Grande fu la sua importanza nella storia della grecità d’Occidente: il tramonto di Sibari e il declino di Cuma hanno assegnato alla poleis un posto eminente nella zona tirrenica della Magna Grecia fino all’occupazione lucana. Sarebbe d’altronde sufficiente citare la grandiosità dei suoi edifici sacri, l’estensione del suo spazio urbano, il prestigio del Heraion alla foce del Sele, per significare che, fino alla nascita di Neapolis, Poseidonia è stata il più importante punto d’incontro con le grandi correnti del commercio internazionale nel Tirreno. (10)

Già prima dell’arrivo degli Achei di Sibari, l’area era interessata da insediamenti, “riconducibili alla zona in cui sorge Pontecagnano”, un centro potente e ricco nel VII secolo a.C. che aveva interessi a sud del Sele: “è infatti indicativo che l’arco compreso tra Punta della Campanella e Punta Licosa, in antico fosse anche chiamato golfo etrusco. I Greci difficilmente potevano insediarsi in un’area senza l’assenso dei “potenti etruschi di Pontecagnano”, ed allora gli Achei cercarono sempre di coinvolgere ed intrattenere rapporti commerciali con le popolazioni autoctone. Entrati in contatto con i potenti partner etruschi della città picentina, che si trasferirono a Fratte in un sito “funzionale allo snodo dei traffici commerciali che dallo Ionio raggiungono i mercati della Campania e dell’Etruria centrale”, i Sibariti riuscirono, finalmente, a fondare Poseidonia”. (11)

Strabone mette in relazione la città con la poleis di Sibari: oggi è accreditata la tesi secondo cui la fondazione della colonia sarebbe avvenuta in due tempi: una prima costruzione di una fortificazione lungo la costa, presso la foce del Sele, dove oggi c’è l’Heraion, dedicato alla dea Hera; un afflusso successivo dei coloni e la fondazione vera e propria della città, verso la metà del VII secolo a.C. I Sibariti giunsero nella piana tramite vie interne per finalità commerciali; nella seconda metà del VII secolo a.C. Si sviluppò velocemente l’insediamento: Poseidonia ebbe un periodo di massimo splendore tra il 560 e il 440 a.C. In una data collocabile tra il 420 e 410 a.C., i Lucani presero il sopravvento nella città, attraverso un processo lento e graduale. (12)

I Lucani appartenevano al ceppo italico che giunse, nel V secolo a.C., nella terra che prese il nome di Lucania. La loro origine era sannita, anche se si insediarono prima a Rhegium e da lì approdarono sulle coste del Cilento, e poi nei territori più interni. Erano affascinati dal mondo greco, mantennero molta della loro cultura e contribuirono a far prosperare il territorio. Se le colonie greche si svilupparono lungo i litorali da entrambi i lati e successivamente estesero la loro influenza anche all’interno, occupato dagli Enotri, i Lucani, popolo italico di lingua osca, riuscirono ad insediarsi nell’area nel V secolo a.C., con la conquista di Poseidonia (da loro chiamata Paistom) e ben presto di tutte le città della costa tirrenica fino a Laos, con la sola eccezione di Velia.  All’inizio del IV secolo a.C. queste tribù, coalizzate in federazione, che ebbero una costituzione democratica salvo in tempo di guerra quando un dittatore veniva scelto tra i magistrati normali, come rileva Strabone, si espansero verso sud-ovest, nell’attuale Calabria, dove vennero in conflitto con la potente Siracusa e furono costretti a ripiegare. L’espansionismo lucano si volse, allora, verso est, dove si scontrò con Taranto. In effetti, una vera e propria connotazione regionale della Lucania fu data solo a partire dal III secolo a.C., dai Romani, la cui ingerenza interruppe il lungo periodo di stabilità vissuto dalla Lucania, tanto che la regione fu attraversata dalle Guerre sannitiche e dalle Guerre pirriche contro la potenza in ascesa di Roma, che riuscì infine a sottometterla nel 275 a.C. I Lucani, insieme con i Sanniti, si ribellarono nuovamente al dominio romano con la Guerre sociale (90-88 a.C.), che portò i popoli della Lucania al declino completo. In questo periodo, infatti, ci fu lo svuotamento delle città greche del litorale e l’affermazione della malaria nelle pianure e nelle valli, mentre le poche città dell’entroterra non avevano nessuna importanza. (13)

Se al tempo delle colonie greche, le montagne erano coperte di boschi immensi, i fiumi erano navigabili, esisteva un equilibrio idrogeologico che permetteva un’elevata produzione agricola, con opere di canalizzazione e regolazione del flusso delle acque, con l’avvento dei Romani si produssero condizioni sociali poco favorevoli, attraverso il taglio indiscriminato delle foreste, per permettere la costruzione di potenti navi da guerra, che generò la rottura dell’equilibrio naturale. La poca terra precipitò a valle, le montagne rimasero brulle, i fiumi, lungo le coste, non guidati dagli argini formarono le paludi. Durante il periodo imperiale la provincia, nota come Lucania, cadde nel più selvaggio abbandono tanto da costringere gli imperatori a trasferirvi intere colonie di Bulgari per ripopolare queste terre. (14)

Occorre però soffermarsi sulla conquista dei Romani dei territori italici e poi della Campania. In epoca romana Poseidonia ed Elea divennero Paestum e Velia. La regione era la Lucania, un’area più vasta di quella attuale. Le popolazioni si recavano sulle terre più fertili e pianeggianti della costa subendo l’ellenizzazione, entrando nel tessuto delle poleis “modificandone l’assetto demografico, sociale, economico, politico”. Ciò nel corso del IV secolo a.C., con la lotta tra Lucani e Bruzi contro i condottieri greci che intervenivano a favore delle colonie della Magna Grecia. Nel Cilento, la dominazione romana non costituì una “entità politico-amministrativa unitaria”: a Paestum ci fu una romanizzazione più compiuta, così come a Velia. A Roma servivano le coste per un appoggio per la lotta contro Cartagine ed allora, durante la guerra contro Annibale, il territorio conobbe devastazioni, crisi economica e demografica. Poi ci furono le guerre degli italici contro i Romani (90 a.C.) e la successiva offensiva di Spartaco (scontri nei pressi di Paestum). Solo nel 70 a.C. Paestum e Velia diventano municipia. Nel I secolo d.C. comincia a manifestarsi un periodo di floridezza, grazie all’abbondanza di acqua, mare, colline che “rendono la zona cilentana composita, privilegiata ma al tempo stesso delicata”. (15)

Nel II secolo d.C. le difficoltà si acuirono: a Paestum ci fu la malaria ed in altre zone si manifestarono altri problemi. Le opere territoriali avrebbero dovuto essere sorvegliate, contenute e gestite per produrre ricchezza e sviluppo; anche le comunicazioni furono intensificate per mare, per le difficoltà dei collegamenti terrestri. Infatti, La Regio-Capuam, nel II secolo a.C., non divenne importante, mentre la litoranea tirrenica Paestum-Velia era più trafficata. In quell’epoca l’economia era legata ad agricoltura, pascoli, boschi. Paestum coltivava le rose ed aveva cave di pietra e tutta la Lucania allevava il maiale. Poi c’erano asini, muli, buoi; la pesca di fiume e di mare era destinata alla salagione; c’era argilla a sud; a Velia e Paestum era sviluppato l’artigianato. Molti romani illustri dimoravano a Paestum e Velia. Nel II e III secolo d.C., mentre i Tullii Cicerones ebbero prestigio a Paestum, le famiglie della borghesia lucana, tra cui i Bruttii Praesentes, avevano interessi nel Cilento e nelle campagne. Fino al governo dell’imperatore Tiberio, Paestum e Velia godettero di una certa autonomia: Paestum batteva moneta propria; Velia conservava le tradizioni greche. (16)

L’intera penisola costituiva l’Ager Romanus e aveva lo status di Domina Provinciarum, nonché patria e suolo natio dei romani e centro assoluto, amministrativo e politico dell’Impero romano. Durante il principato di Augusto, Roma creò undici regioni: Latium et Campania e Lucania et Bruttii (gli abitanti erano i Bruzi, Brettii o Bruttii), sono quelle che interessarono maggiormente il territorio cilentano, certamente in misura maggiore la seconda, la Lucania, la terra più prossima per tradizioni e cultura al territorio. Infatti, la Lucania si estendeva dal mar Tirreno fino al golfo di Taranto, comprendendo a nord-ovest, la parte centro-meridionale della provincia di Salerno, con Cilento e Vallo di Diano, e la zona sannirta dell’Irpinia; a sud, la parte nordorientale dell’alta Calabria, da Castrovillari a Sibari; al centro, l’attuale Basilicata. (17)

Sotto il dominio romano, nonostante a Paestum fossero state realizzate importanti opere pubbliche: il Foro; il Capitolium; il santuario della Fortuna Virile; l’anfiteatro, accadde progressivamente la perdita di importanza del territorio. Gli scambi si spostarono sull’Adriatico e furono determinanti la via Appia e la via Popilia che di fatto tagliarono la città fuori dalle grandi rotte commerciali. Si verificarono altresì alcune circostanze quali l’impaludamento della città e l’insabbiamento del suo porto, che di fatto fecero registrare il progressivo spopolamento del territorio. Infine, tra l’VIII e il IX secolo d.C., Paestum venne definitivamente abbandonata dagli abitanti che si rifugiarono sui monti vicini: il nuovo insediamento prese nome dalle sorgenti del Salso, sul monte Soprano (Calpazi), dove ci sono resti di una cinta fortificata, con i ruderi di un castello e le rovine di edifici, oltre che la chiesa della Madonna del Granato. Si chiamò Caputaquis, da cui probabilmente deriva il toponimo Capaccio. (18)

 

Note:
  1. VV., 1976, “La preistoria”, in “Storia, arte e cultura della Campania”, Teti Editore, 7-12.
  2. Arcuri, 1989, “Preistoria e protostoria”, in P. Cantalupo, A. La Greca, “Storie delle terre del Cilento Antico”, CPC Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 53-54.
  3. Arcuri, cit., 57.
  4. VV., 1976, cit., 7-12. Cfr.: E. Bernardini, 1983, “Italia preistorica”, Newton Compton.
  5. VV., 1976, cit., 7-12. Cfr.: A. Bernardi, 2004, “L’Europa e l’Italia in età preromana”, in “La Storia. Roma: dalle origini ad Augusto”, Grandi Opere Utet.
  6. Arcuri, cit., 58-61.
  7. Greco, A. Potrandolfo, 1976, “Piana del Sele e Cilento”, in “Storia, arte e cultura della Campania”, cit., 22-25; A. La Greca, A. Di Rienzo, E. La Greca, 1984, “Viaggio nel Cilento”, CI.RI Cilento Ricerche; A. La Greca, A. Di Rienzo, E. La Greca, 1985, “I Borghi del Cilento”, CI.RI Cilento Ricerche; J. Schmidt, 1989-1994, “Dizionario della mitologia greca e romana”, Ed. Gremese; G. Rachet, 1990, “Dizionario della civiltà greca”, Ed. Gremese; A. Bernardi, cit.
  8. Bernardi, cit., 94. Sulla storia greca, cfr.: H. Bengtson, 1985, “Storia greca” voll. 2, Il Mulino; J. Berard, 1963, “La Magna Grecia”, Einaudi; G. Giannelli, 1967, “Trattato di storia greca”, Tumminelli; M. Cipriani, 1996, F. Longo (a cura di), “I greci in occidente: Poseidonia e i Lucani”, Electa.
  9. Bernardi, 2004, cit., 97. Su Strabone, cfr.: G. Cozza-Luzi, 1898, “Della Geografia di Strabone” Parts 1-7, Kessinger Pub Co (Ed. 2010); Strabone, 1988, “Geografia. L’Italia libri V e VI”, Rizzoli; A. Fagugli A., 2018, “Strabone e le colonie achee in Magna Grecia: Sibari, Crotone, Metaponto”, Ed. Simple.
  10. Stazio, S. Ceccoli (a cura di), “Poseidonia-Paestum. Atti del ventisettesimo Convegno di Studi sulla Magna Grecia”, Taranto-Paestum 9-15 ottobre 1987, Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia, Taranto MCMLXXXVIII.
  11. Astone, “Alle origini del toponimo Cilento: la fondazione di Poseidonia ed i Tirreni-Etruschi del Golfo di Salerno. Riflessioni ed ipotesi”, in “Annali storici di Principato di Citra”, anno X n.1 Tomo 1 – 2012, 5-44.
  12. VV., 1987, “Paestum, città e territorio nelle colonie greche d’Occidente, Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia, Napoli; E. Greco (a cura di), 2002, “Poseidonia, Gli Achei e l’identità etnica degli Achei d’Occidente, Tekmeria; M. Mello, 1974, “Paestum Romana”, Ricerche storiche, Roma; A. Pontrandolfo, 1979, “Segni di trasformazioni sociali a Poseidonia tra la fine del V e gli inizi del III a.C.”, in Dial. di Archeologia, 2. Cfr.: Strabone, “Geografia. L’Italia libri V e VI”, cit.
  13. Pareti, A. Russi, 1997, “Storia della regione lucano-bruzzia nell’antichità”, Ed. Storia e Letteratura. Cfr.: Strabone, 1988, “Geografia. L’Italia libri V e VI”, cit.
  14. Martucci, A. Di Rienzo, 1997, Identità cilentana e cultura popolare”, CI.RI. Cilento Ricerche, 23.
  15. Mello, “Periodo romano”, in P. Cantalupo, A. La Greca, cit., 83-88.
  16. Ivi, 89-95. Cfr.: E. Lepore, 1976, “La Campania nell’antichità”, in “Storia, arte e cultura della Campania”, cit., 26-52.
  17. Giannelli, S. Mazzarino, 1965, “Trattato di storia romana”, Tumminelli. Cfr.: AA.VV. “Storia, arte e cultura della Campania”, cit.. Sulla storia di Roma, cfr.: A. Bernardi, 2004, cit.
  18. Cantalupo, A. La Greca, in “Storie delle terre del Cilento Antico”, cit., 569.