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Dagli anni Settanta all’archeologia contemporanea della terra dei fuochi al lockdown. Arte che apre il suo sguardo sulla contemporaneità e all’impegno civile dell’artista.
“Life, as a creative practice”, esordisce il critico d’arte Massimo Bignardi e direttore del FRaC, nel saggio introduttivo alla monografia che accompagna la mostra antologica dell’opera dell’artista Raffaele Bova che sintetizza un percorso creativo dal 1972 al 2022, inaugurata ieri sera al Museo FRaC Baronissi (aperta fino al prossimo 3 aprile), alla presenza dell’autore e del vice sindaco di Baronissi Anna Petta.
L’esposizione è promossa dal Fondo Regionale d’Arte Contemporanea di Baronissi in collaborazione con il Museo ARCOS di Benevento nell’ambito del progetto che mira a promuovere, attraverso una serie di mostre monografiche, significative personalità della storia dell’arte contemporanea in Campania, nella seconda metà del XX.
“Essere un artista oggi, vuol dire mettere in questione la natura dell’arte”, si legge nelle note introduttive. Un allestimento straordinario, che attraversa le sale della Galleria dei Frati, che raccoglie dipinti, disegni, dipinti e performances di Raffaele Bova, con i colori che dominano la recente produzione artistica, perché, “se vuoi l’arcobaleno devi rassegnarti a sopportare la pioggia, si legge ancora nella sintesi critica che delinea il percorso espositivo, citando Dolly Parton.
«La mostra è un percorso che racconta la sua esperienza creativa dagli anni Settanta fino all’attualità, all’ultima sua esperienza dedicata alla pandemia – sottolinea il direttore Bignardi – Raffaele Bova come performer inizialmente, con le sue azioni per il sociale, in rapporto con il territorio, con la terra di lavoro, la terra felix. Le sue prime esperienze, all’indomani del Sessantotto, hanno un carattere antropologico, con una particolare attenzione al recupero delle tradizioni popolari contadine. Azioni esterne che affiancavano una nuova didattica che si è aperta nelle scuole italiane, conosciute come “animazioni” e che hanno prodotto grandi risultati. Dal 1980 in poi, quando partecipa alla Biennale di Venezia, parte la sua esperienza pittorica che arriva sostanzialmente fino ai giorni nostri, dapprima con un interesse esplorativo, cioè di riscoperta della propria terra, della sua fertilità, per proseguire con l’indagare l’habitat, dedicato al periodo della “terra dei fuochi”. Da etnologo a narratore della terra di fuochi, di grandi falò con colonne di fumo nero che invadono grandi appezzamenti di terra, resi impenetrabili. Inizia la fase del recupero dell’archeologia contemporanea, dei rifiuti, delle scatolette, oggetti, frammenti recuperati nei suoi sopralluoghi dopo i roghi che ardono di notte colorando di bagliori rossi la notte: è la piaga più drammatica ha vissuto e vive la Campania. Immagine drammatica e violenta. Tutto questo è racchiuso in questa antologica».
L’arte che tenta di storicizzare gli eventi, a tratti di sdrammatizzarli, come evidenzia lo stesso Bova. «Dopo la pandemia di carattere mondiale, sono venuti fuori questi arcobaleni, come li ha definiti Massimo Bignardi. La pandemia rivista in chiave artistica. Sdrammatizzare una pandemia globale è impossibile. Ho prodotto un’opera di 32 metri quadri, ma la tela dovrebbe essere ancora più estesa, a simboleggiare la globalità di uno dei momenti più complessi degli ultimi anni».
«Il colore brillante domina. Sogno anche la notte i colori. Prima ero su tonalità monocromo, all’improvviso questa esplosione, soprattutto negli ultimi acrilici, brillantissimi, fluorescenti. Il FRaC, questo museo, per me è un punto di arrivo molto importante. Un traguardo, sono felicissimo di come la mostra il professor Bignardi l’abbia delineata – spiega Raffaele Bova – Non poteva essere concepita ed immaginata meglio. All’improvviso, riguardandola questa sera, all’improvviso scopro la linearità del percorso, dall’indagine sull’ambiente nei primi dipinti del 1974, riemersi in maniera prepotente con lo scoppio del caso della Terra dei Fuochi: quadri rivelatosi quasi premonitori, anticipatori della tragedia. Guardo questa mostra e per la prima volta, dall’esterno, scopro il mio percorso, gli anni della scuola, le immagini degli intellettuali degli anni Settanta, le proteste, l’ambientalismo, le onde del grande pannello pensato per gli Arsenali di Amalfi. Quando sei sulla tela a dipingere sei dentro. Oggi attraverso questa mostra, per la prima volta mi osservo».
Orario di apertura: lunedì e giovedì ore 16:00/18:30 – venerdì e sabato ore 10:00 /13:00; 17:00/20:00 – domenica e festivi: ore 10:00/13:00; 17:00/21:00 – martedì chiuso
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