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Per effetto del clima la stagione in molte zone è stata avara anche per agli appassionati di porcini, finferli, trombette, chiodini e le altre numerose specialità che nascono negli oltre 10 milioni di ettari di bosco che – riferisce la Coldiretti – coprono un terzo del territorio nazionale mentre i prezzi del tartufo hanno raggiunto i 350 euro all’etto al borsino del tartufo di Alba, punto di riferimento a livello nazionale. Il pregiato il Tuber magnatum Pico – sottolinea la Coldiretti – si sviluppa in terreni che devono restare freschi e umidi sia nelle fasi di germinazione che in quella di maturazione. Dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi i territori che però continuano ad essere battuti dai ricercatori. La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri – riferisce la Coldiretti – svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive dove rappresenta una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore in questo periodo.
Sui livelli minimi è stata quest’anno anche la produzione di olio di oliva per effetto del crollo del 38% rispetto allo scorso anno per un totale di appena 298 milioni di chili, secondo elaborazioni Coldiretti su dati Unaprol che rilevano un prezzi alla borsa merci di Bari, la più rappresentativa a livello nazionale, in significativo aumento con un balzo del 54% rispetto allo scorso anno. L’ andamento produttivo nazionale – sottolinea la Coldiretti – si riflette sulla produzione a livello mondiale dove si prevede una storica carestia dei raccolti per effetto del crollo della produzione anche in Grecia con circa 240 milioni di chili (-20%) ed in Tunisia dove non si supereranno i 110 milioni di chili (-21%) mentre in Spagna, che si conferma leader mondiale, si stimano circa 1400 milioni di chili, in linea con l’anno scorso.
Con la carenza di olio nostrano aumentano però anche i rischi di frode ed inganni in una situazione in cui – sottolinea la Coldiretti – l’Italia si classifica come il maggior importatore mondiale per un quantitativo stimato nel 2016 superiore a 500 milioni di chili. Gli oli di importazione vengono spesso mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all’estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri. Sotto accusa è la mancanza di trasparenza nonostante sia obbligatorio indicarla per legge in etichetta dal primo luglio 2009, in base al Regolamento comunitario n.182 del 6 marzo 2009. Sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati è quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva. La scritta è riportata in caratteri molto piccoli, posti dietro la bottiglia e, in molti casi, in una posizione sull’etichetta che la rende difficilmente visibile tanto che i consumatori dovrebbero fare la spesa con la lente di ingrandimento per poter scegliere consapevolmente.
In attesa che vengano strette le maglie larghe della legislazione per non cadere nella trappola del mercato per approfittare dell’ottima annata Made in Italy, il consiglio della Coldiretti è quello di guardare con più attenzione le etichette e acquistare extravergini a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100 per 100 da olive italiane o di acquistare direttamente dai produttori olivicoli, nei frantoi o nei mercati di Campagna Amica dove è possibile assaggiare l’olio extravergine di oliva prima di comprarlo e riconoscerne le caratteristiche positive. Se si vuole comperare un buon extravergine italiano bisogna fare attenzione ai prodotti venduti a meno di 6-7 euro al litro che – conclude la Coldiretti – non coprono neanche i costi di produzione.