a cura di Alfonso Angrisani Delegato Nazionale Fisapi Commissione Paritetica Nazionale di Conciliazione Sindacale
Ogni lavoratore per la tutela dei propri diritti potrà sempre rivolgersi alle direzioni provinciali del lavoro oppure ai sindacati al fine di essere assistiti per una loro controversia lavorativa .
In questi anni l’istituto della conciliazione in materia di lavoro ha subito una serie di interventi , ed a più riprese per scopi diversi è stato oggetto da parte delle attenzioni del legislatore . Al fine di rendere un articolo snello e comprensibile anche dai non addetti ai lavori vi sintetizziamo al meglio la struttura e la funzione dell’ istituto giuridico richiamato in oggetto .
Partiamo dalla domanda cosa si intende per conciliazione ? Con una risposta approssimativa possiamo definire la conciliazione uno strumento per risolvere le controversie in materie di lavoro, dove parte lavoratrice si rivolge alla competente direzione provinciale del lavoro oppure ad una camera di lavoro istituita presso un sindacato al fine di risolvere in via bonaria un problema relativo ad una questione sia di natura economica ,che relativa ad alla cessazione del rapporto lavorativo.
Sarà predisposto un invito che sarà comunicato formalmente al datore di lavoro, dove verranno rivendicate le pretese di parte lavoratrice relative al rapporto lavorativo , ad esempio ( mancato pagamento del trattamento fine rapporto , differenze paga , il lavoro straordinario , ect ) ; si precisa che nel caso si rivolga alla direzione provinciale del lavoro , il lavoratore provvederà a compilare un modulo , e lo trasmetterà al datore di lavoro , mentre nel caso si rivolga ad una camera sindacale sarà cura della segreteria espletare le fasi di redazione della missiva e dell’invito a conciliare ed ulteriori fasi previste dalle disposizioni vigenti in materia . Nel caso di mancata adesione di parte datoriale oppure di assenza si procederà ad adire l’autorità giudiziaria del luogo dove è sorto il rapporto di lavoro .
Con l’introduzione, da parte del legislatore, del tentativo facoltativo di conciliazione sui licenziamenti a “tutele crescenti” attuativo del Jobs Act (decreto legislativo n. 23/2015) passano a tre le procedure previste dalla normativa in caso di contenzioso in materia di lavoro.
Partendo dalla Conciliazione facoltativa Nel corso degli anni, la procedura conciliativa – prevista dagli artt. 409 -410 . 411 cpc – ha subìto notevoli modifiche, passando dall’obbligatorietà del D.lgs n. 80/1998, all’attuale facoltatività prevista dalla Legge 4 Novembre 2010 n° 183 . La procedura è ammessa per la risoluzione di tutte le controversie individuali di lavoro avente ad oggetto il singolo rapporto di lavoro. Il tentativo è su base volontaria e potrà essere effettuata sia presso la direzione territoriale del lavoro sia alla camera di lavoro presso il sindacato.
Il secondo modello di conciliazione è quella denominata Conciliazione preventiva in caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo La Riforma del mercato del lavoro del 2012 (legge n. 92/2012 ), tra le altre cose, ha modificato l’articolo 7 della Legge n. 604/1966, introducendo un previo tentativo di conciliazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. I datori di lavoro, con i requisiti dimensionali previsti dall’articolo 18, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero di licenziamento per motivi economici, dovranno espletare una previa procedura di conciliazione obbligatoria dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro. Tale procedura costituisce condizione di procedibilità ai fini dell’intimazione del licenziamento ed in caso di violazione della procedura in questione, il licenziamento è inefficace. La procedura obbligatoria va attivata presso la Direzione territoriale del lavoro di competenza e può concludersi con: · un accordo · un mancato accordo · una mancata comparizione di una o di entrambe le parti. Nel primo caso, c’è una condivisione del recesso comminato dal datore di lavoro che può manifestarsi anche in una risoluzione consensuale. Negli altri due casi, il datore valuterà la definizione del licenziamento disposto, comunicandolo al Centro per l’Impiego. Viceversa, il lavoratore qualora ritenga illegittimo il provvedimento espulsivo, valuterà l’opportunità di attivare il giudice del lavoro competente per territorio .
Concludiamo il presente articolo con la Conciliazione facoltativa a “tutele crescenti” . Questa procedura, a differenza delle precedenti, può essere percorsa esclusivamente avverso quei rapporti di lavoro a tempo indeterminato stipulati in virtù delle tutele crescenti stabilite con il decreto legislativo n. 23/2015. · lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015; · lavoratori trasformati da un rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015; · lavoratori qualificati da un rapporto di apprendistato 7 marzo 2015. In questo caso la procedurà è diversa Qualora il datore abbia proceduto ad un licenziamento nei confronti di un lavoratore assunto a tutele crescenti, al solo fine di evitare l’alea del giudizio, può offrire al lavoratore, in una delle sedi previste dal legislatore ed entro sessanta giorni , un importo pari a 1 mensilità, dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità . Una volta completata la procedura, , il datore di lavoro dovrà comunicare l’avvenuta conclusione se positiva o negativa entro 65 giorni dalla data di cessazione, tramite via telematica pena sarà irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro.