(Adnkronos) – Lo Stato è un datore di lavoro latitante. Il dipendente pubblico può attendere fino a sette anni per la liquidazione del rapporto di fine impiego; nel settore privato l'attesa è di pochi mesi, come è giusto che sia. Nel pubblico la normativa attuale impone ritardi e rateizzazioni che penalizzano in particolar modo i vertici della pa, ossia proprio coloro che più si sono spesi per il buon funzionamento dello Stato e del suo apparato. E' quanto si legge in una nota di Cida. “Questo sistema colpisce in modo sproporzionato i dirigenti e i professionisti pubblici, ossia quei lavoratori che hanno versato più contributi e garantito il buon funzionamento della macchina statale. Oggi gli importi inferiori ai 50mila euro vengono erogati in un'unica soluzione; per quelli compresi nella fascia tra 50mila e 100mila euro, l'erogazione avviene in due rate annuali; chi è in attesa di importi superiori ai 100mila euro deve attendere tre anni. Una prassi inaccettabile”, ha dichiarato Roberto Caruso, presidente Fp Cida, durante l'incontro convocato per denunciare il trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici, organizzato oggi a Piazza Colonna, alla presenza di numerose sigle sindacali. Ma per Cida una soluzione esiste ed è economicamente sostenibile. Secondo i dati Inps, riportati nella sentenza della Corte Costituzionale n. 130 del 2023, nel rapporto annuale Inps 2024 e nella stima dei costi dell’AC 1254, il Tfs/Tfr per i dipendenti pubblici ha generato una spesa di 9,7 miliardi di euro nel 2023. La proposta di modifica contenuta nel disegno di legge n. 1254, attualmente in discussione, comporterebbe un costo iniziale di 3,8 miliardi di euro, ma consentirebbe di sostenere minori costi progressivi fino a ridurre la spesa prevista nei piani pluriennali dell’INPS per una somma pari a 1,08 miliardi di euro annui dal 2030 al 2033. “L’importo di 13,9 miliardi di euro, citato nella sentenza della Corte Costituzionale sulla base dei dati Inps, è spesso interpretato erroneamente come un costo aggiuntivo. In realtà – ha spiegato Caruso – questa somma include i 10 miliardi di euro già previsti e i 3,8 miliardi necessari per avviare la riforma, senza considerare i minori costi progressivi che il nuovo sistema genererebbe. Nei primi anni, la minore spesa sarà contenuta ma crescerà gradualmente, fino a raggiungere il pieno assestamento della riforma nel 2033. Questo dimostra – ha concluso – che la riforma non prevede una spesa insostenibile, ma un intervento che anche o soprattutto riequilibra i flussi finanziari esistenti, migliorando la gestione delle risorse pubbliche e garantendo un sistema più equo”. Stefano Cuzzilla, presidente Cida, nel sostenere le posizioni della federazione della funzione pubblica, ha voluto ribadire che “adeguare il sistema del Tfs/Tfr non è solo una questione di equità e civiltà, ma anche di sostenibilità. Garantire ai lavoratori pubblici tempi certi per la liquidazione delle loro spettanze non comporta uno squilibrio finanziario, ma rappresenta una misura di buon senso per riconoscere il valore di chi ha servito lo Stato e ha contribuito con le proprie imposte alla crescita del Paese”. Cida esorta il Governo e il Parlamento a porre fine a questa disparità con un intervento concreto che garantisca tempi certi di liquidazione per i dipendenti pubblici. —lavoro/professionistiwebinfo@adnkronos.com (Web Info)