Il Vescovo Mons. Ciro Miniero e i sacerdoti della Forania “Gelbison-Alento”, hanno fatto visita ai detenuti dell’Istituto penitenziario di Vallo della Lucania
La Chiesa sta vivendo l’Anno Santo della Misericordia. Non ci sono confini o distanze che possano impedire alla misericordia di Dio di arrivare a noi e rendersi presente.
L’opera pastorale della misericordia interessa da secoli l’intera comunità credente. La visita ai reclusi è opera di misericordia e rientra anche nella dinamica pastorale della Chiesa locale. La Chiesa del Cilento, in linea con l’azione pastorale del Santo Padre Francesco, non dimentica la sofferenza di chi è costretto a vivere recluso, oltre le sbarre. “l Sacerdoti della Forania “Gelbison-Alento”, riferisce Il Vicario Foraneo Don Marco Torraca, insieme a Mons. Vescovo, nell’accogliere l’invito di Papa Francesco a vivere, in modo particolare durante il Giubileo, le opere di Misericordia: “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina” (MV, 15) , venerdì 12 febbraio alle ore 10:30 hanno fatto visita ai detenuti dell’Istituto penitenziario di Vallo della Lucania, celebrando con loro nella Cappella dell’Istituto la Via Crucis e ogni Sacerdote ha animato una stazione. Mons. Vescovo nella Sua riflessione ha ricordato la preziosità di questa “pia pratica” come momento forte di meditazione sulla Passione del Signore, sottolineando che la Misericordia è offerta a Tutti, nessuno escluso, tanto che Papa Francesco ha voluto che ogni porta, di ogni cella, sia una “Porta di Misericordia” ove ogni detenuto può ricevere il Dono di Grazia del Giubileo. L’appuntamento si è concluso con un momento di convivialità con il Personale penitenziario”.
L’agiografia cristiana medioevale fece della cella più bassa del carcere Mamertino, una delle galere più antiche di Roma, ubicata nel Foro Romano, resa accessibile a mezzo una stretta scala, e della fonte d’acqua il luogo in cui gli apostoli Pietro e Paolo, ivi imprigionati, battezzavano i convertiti cristiani compagni di cella. Lo stesso carcere si può quindi rappresentare un luogo di purificazione e redenzione. «Bisogna lavorare, ha dichiarato Papa Francesco, per sviluppare le esperienze positive di inserimento, che fanno crescere un atteggiamento diverso nella comunità civile e anche nella comunità della Chiesa. (…) Alla base di questo impegno c’è la convinzione che l’amore può sempre trasformare la persona umana. E allora un luogo di emarginazione, come può essere il carcere in senso negativo, può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone».
La visita ai reclusi è appunto opera di misericordia. Nel tempo sono documentate tante visite agli istituti penitenziari da parte dei Pontefici. “…Sia Innocenzo X (nel 1650) sia Clemente XI (nel 1704), ricorda Andrea Tornielli, si erano recati a sorpresa e in segreto a visitare i cantieri per la costruzione delle Carceri Nuove di Via Giulia e del correzionale di San Michele a Porta Portese. E ci erano tornati una volta ultimati i lavori per incontrare i detenuti e verificare come quelle carceri fossero gestite. Leone XII nel 1824 e quindi nel 1827 ha compiuto due visite ai carcerati: la prima alle prigioni Nuove di Via Giulia, la seconda al carcere minorile di Via del Gonfalone. Anche Pio IX, l’ultimo Papa re che ha guidato lo Stato Pontificio prima che Roma fosse annessa al regno d’Italia, ha compiuto una visita pastorale ai detenuti, visitando i prigionieri politici nelle prigioni cittadine di Roma e quindi, il 26 ottobre del 1868, i reclusi del bagno penale di Civitavecchia, appena inaugurato…” A novant’anni di distanza un altro Papa varcò la porta del carcere. Nel Natale del 1951, Pio XII a mezzo un radiomessaggio si era già ricordato dei carcerati. Tanto ebbe a dichiarare per marcare la sua vicinanza alla sofferenza dei reclusi: «Noi, consapevoli come siamo della fragilità e della debolezza incommensurabile, che spesso fiacca a morte l’animo umano, comprendiamo il triste dramma, che può avervi sorpresi e coinvolti, per un concorso sventurato di circostanze, non sempre imputabili al vostro libero volere… E come nel Cielo si fa più festa per un peccatore che si converte, così sulla terra ogni uomo onesto deve inchinarsi dinanzi a colui, che già caduto, forse in un istante di smarrimento, sa poi penosamente redimersi e risorgere». In occasione della ricorrenza liturgica di Santo Stefano, nel lontano 1958, Giovanni XXIII, varcava la porta di un penitenziario. Il Santo Padre, il Papa buono, si portò in visita presso il carcere di Regina Coeli. Seguì poi Giovanni Paolo II con la visita – nel carcere di Rebibbia – ad Alì Agca, l’attentatore turco che quasi l’aveva ucciso con i tre proiettili che gli aveva sparato il 13 maggio del 1981. Il successore di Papa Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, compì poi due visite ulteriori: il 18 marzo 2007, aveva varcò le porte del carcere minorile di Casal del Marmo, per celebrarvi la Messa e il 18 dicembre 2011 quelle del carcere Nuovo Complesso di Rebibbia. Si soffermò sul sovraffollamento e il degrado delle carceri: «Bisogna pensare che ognuno può cadere, ma Dio vuole che tutti arrivino da lui, riconoscere la propria fragilità, andare avanti con dignità e trovare comunque gioia nella vita. Riconosciamo che anche i passi oscuri hanno un loro senso e ci aiutano a diventare più noi stessi e figli di Dio. Il Signore vi aiuterà e noi siamo vicini a voi». Papa Francesco poi, in visita presso l’istituto penitenziario di Poggioreale ha voluto sottolineare «Nella vita non bisogna mai spaventarsi delle cadute, l’importante è sapersi sempre rialzare. Dio dimentica e cancella sempre i nostri peccati (….) L’amore di Gesù per ciascuno di noi è sorgente di consolazione e di speranza. È una certezza fondamentale per noi: niente potrà mai separarci dall’amore di Dio! Neanche le sbarre di un carcere».
Emilio LA GRECA ROMANO