Burocrazia soffocante per le PMI, rischio medio di 111 controlli all’anno, lo studio della CGIA.

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Si rafforza il potere ispettivo dello Stato e delle strutture periferiche nei confronti delle imprese. L’Ufficio studi della CGIA ha calcolato che, potenzialmente, una piccola azienda italiana può essere soggetta a ben 111 controlli da parte di 15 diversi istituti, agenzie o enti pubblici.

In linea puramente teorica, praticamente uno ogni 3 giorni. E rispetto alla prima rilevazione eseguita dagli artigiani mestrini nel 2014, la situazione è addirittura peggiorata. Nonostante il numero dei controllori sia rimasto pressoché lo stesso, le possibili ispezioni, invece, sono aumentate di 14 unità.

L’elaborazione della CGIA è iniziata suddividendo il quadro legislativo generale in quattro grandi settori, dopodiché per ciascuno di essi è stato conteggiato il numero dei possibili controlli che un’attività produttiva può incorrere e gli enti deputati all’attività ispettiva. In estrema sintesi, riportiamo più sotto le aree, il numero di potenziali ispezioni e le strutture pubbliche coinvolte:

  • Ambiente e sicurezza nei luoghi di lavoro. Quest’area è la più a “rischio”: è interessata da 56 possibili controlli che possono essere effettuati da 10 enti ed istituti diversi;
  • Fisco. In questo ambito il numero dei controlli è pari a 26 e sono 6 le agenzie e gli enti coinvolti;
  • Contrattualistica. Nell’area lavoro il numero dei possibili controlli si attesta a 21, mentre gli istituti e le agenzie interessate sono 4;
  •  Amministrativa. Questo settore registra 8 controlli che sono ad appannaggio di 3 diversi enti ed istituti.

“Con una legislazione farraginosa e spesso indecifrabile – esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – qualsiasi imprenditore, soprattutto se piccolo, corre il pericolo di non essere mai a norma. Pertanto, l’eventuale ispezione da parte dell’ente pubblico viene vissuta come un incubo, come una calamità da evitare assolutamente. Per superare questa impasse non ci resta che sforbiciare il quadro normativo, rendendo più semplici e comprensibili le leggi, le circolari e i regolamenti attuativi. Altrimenti la forte discrezionalità che tutt’oggi beneficiano coloro che sono chiamati ad eseguire le attività ispettive rimarrà inalterata. Nel contempo, infine, va aumentata la platea dei controlli formali, cioè quelli eseguiti automaticamente per via telematica, alleggerendo così l’oppressione burocratica che grava sulle imprese”.
Il settore a più alta “densità” di potenziali controlli è quello dell’ambiente e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Le voci più a “rischio” riguardano la conformità/mantenimento dell’ efficienza degli impianti (elettrici, idrici, gas, etc.) e il rispetto delle norme antincendio. In entrambi i casi sono 6 diversi enti che hanno specifiche competenze in materia di controllo. Nel primo caso possono intervenire l’Asl, l’Inail, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, i Vigili del Fuoco, Nas e/o Noe e/o Capitaneria di Porto e il Comune/Polizia municipale. Nel secondo caso, invece, l’Asl, la Direzione territoriale del lavoro, l’Inail, i Vigili del Fuoco, Nas e/o Noe e/o Capitaneria di Porto e il Comune/Polizia municipale. Altrettanto “impegnative” sono le voci riferite alle autorizzazioni agli scarichi, alle emissioni in atmosfera, alla gestione dei rifiuti e al rispetto degli obblighi di verifica delle attrezzature di lavoro.

“I tempi e i costi della burocrazia – afferma il segretario della CGIA Renato Mason – sono diventati una patologia che caratterizza negativamente il nostro paese. Non è un caso che molti operatori stranieri non investano da noi proprio per l’eccessiva ridondanza del nostro sistema burocratico. Incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza giuridica e adempimenti troppo onerosi hanno generato un velo di sfiducia tra imprese e Pubblica amministrazione che non sarà facile rimuovere in tempi ragionevolmente brevi”.

La CGIA ricorda che secondo un’ indagine realizzata da PROMO PA Fondazione, l’81 per cento delle imprese con meno di 50 addetti, vale a dire le piccole, è costretto a ricorrere a consulenti esterni per fronteggiare questo nemico invisibile: ovvero la cattiva burocrazia; di cui il 70 per cento ad integrazione o a supporto del lavoro svolto dagli uffici amministrativi che operano all’interno dell’azienda, mentre l’altro 11 per cento si affida a terzi per tutte le incombenze.

E’ evidente che se non si mette definitivamente mano a quel labirinto inestricabile di leggi, decreti e circolari varie che rendono la vita impossibile a milioni di piccoli imprenditori, corriamo il pericolo di soffocare la parte più importante della nostra economia.

Più in generale, abbiamo sempre più bisogno di una Pubblica amministrazione più snella e più efficiente. In questi ultimi anni, invece, il costo della burocrazia che grava sul sistema produttivo delle Pmi ha superato, secondo gli ultimi dati elaborati della Presidenza del Consiglio dei Ministri, i 30 miliardi di euro l’anno: praticamente quasi 2 punti di Pil. Questa situazione ha costretto moltissime aziende a trascurare il proprio business per occupare gran parte del tempo alla compilazione di certificati, moduli e istanze varie: un’anomalia che deve essere assolutamente rimossa se vogliamo dare un futuro a questo Paese.

Ovviamente, concludono dalla CGIA, la responsabilità di tutto ciò non può essere “imputata” a chi lavora nel pubblico. Anzi, gli statali spesso sono vittime di questa situazione, visto che moltissimi addetti operano con mezzi e risorse del tutto insufficienti.

La sanità al Nord, le forze dell’ordine, molti centri di ricerca e istituti universitari italiani presentano delle performance che non temono confronti in tutta Europa. Tuttavia, è necessario rendere più efficienti i servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, affinché siano sempre più centrali e al sostegno della crescita, perché migliorare i servizi vuol dire elevare il prodotto delle prestazioni pubbliche e quindi il contributo dell’attività amministrativa allo sviluppo del Paese.