Incontriamo lo scrittore campano Vincenzo Esposito, autore del romanzo storico “Il bosco che canta” (Marlin Editore). Un uomo e una donna nell’orrore della Shoah. Un amore spinto fino al sacrificio della vita.
Cominciamo dal titolo: perché “Il bosco che canta”?
Il bosco che canta è un bosco di faggi che sorgeva nei pressi di un campo di sterminio. Nasconde uno dei tanti orrori della Shoah. Sarà proprio questo “bosco” a segnare una tragica svolta nel destino di Daniele e Sara, i due giovani protagonisti del romanzo.
I suoi libri precedenti hanno sempre raccontato storie ispirate alla memoria di avvenimenti e di personaggi legati al mondo delle sue origini: la famiglia, la provincia napoletana, l’infanzia e la giovinezza. Come spiega questa svolta narrativa?
È vero. Questo romanzo segna per me una svolta. Abbandono il mondo della memoria. Tutto è nato da un articolo letto qualche anno fa su Repubblica, nel quale si riportavano le parole di Heinz Dormer, un anziano deportato, sopravvissuto ai campi di sterminio, che parlava appunto di un “bosco che canta”, descrivendone l’orrore. Pensai subito a farne un romanzo. La tragedia della Shoah mi ha sempre colpito. Quando, da ragazzo, ne sono venuto a conoscenza, non riuscivo a capire l’abisso di crudeltà che l’aveva prodotta.
Scrivendo questo libro è riuscito a comprenderla fino in fondo?
Ho provato, ma penso che sia molto difficile arrivare a scoprire il lato mostruoso dell’animo umano e avere il coraggio di guardarlo. Per scrivere il libro ho dovuto necessariamente documentarmi. Ho letto molto, saggi e romanzi. Ho esaminato centinaia di immagini. Ma è stato scrivendo, immedesimandomi nella storia che andavo raccontando, che ho provato un vero dolore. Pensavo soprattutto all’immensa solitudine dei deportati, al loro sopportare sofferenze e umiliazioni senza poter ricevere da nessuno una parola di conforto.
Quindi “Il bosco che canta” è un romanzo sulla Shoah?
Non solo. Direi che è il romanzo di una grande e straordinaria storia d’amore che inizia a Napoli e purtroppo si incrocia con il dramma della Shoah.
Chi sono i due personaggi a cui dedica il libro, Sami e Selma Modiano?
Ho avuto l’onore di conoscere personalmente Sami Modiano, uno degli ultimi sopravvissuti ad Auschwitz. È un uomo straordinario. Alto, magro, lo sguardo austero, solenne, nel quale si nasconde una luce che brilla quando racconta ai giovani la sua terribile storia con parole semplici ma vibranti, vere, mai retoriche. Quando ha letto il mio libro, ha detto che ero riuscito a rendere bene l’atmosfera del lager. Sono stato felice del suo giudizio, perché significava che avevo svolto nel modo giusto il mio lavoro. Selma è la moglie di Sami. Una donna dolce che lo ha accompagnato nel lungo e difficile percorso della sua vita.