di Gerardo Sano
“Sono stato educato da mio padre all’etica del lavoro, alla concretezza, al rifiuto delle passerelle. Tre anni fa, pochi giorni prima dell’anniversario, abbiamo fatto un blitz contro la criminalità delle Madonie, il modo migliore per commemorarlo”.
“Per me appassionato di calcio, i memorial sono quelli sui campi, non ne esistono altri”.
E’ quanto ha dichiarato qualche giorno fa il figlio di Paolo Borsellino, Manfredi annunciando l’assenza, insieme ai fratelli,alle manifestazioni in programma il 19 luglio in ricordo della strage di via D’Amelio.
Una presa di posizione così netta, dettata dal riserbo sempre mantenuto da Manfredi e dai fratelli, si è aggiunto la disillusione, che si legge tutta nell’intervista di Lucia, dopo le dimissioni da assessore alla sanità in Sicilia, che ormai, per quanto accade nelle associazioni, organizzazioni ed anche nelle istituzioni che a parole si ergono a vessilliferi del contrasto ai fenomeni delle mafie, ma poi nella prassi e nei comportamenti quotidiani ne favoriscono la penetrazione nei gangli vitali della società.
Le inchieste giudiziarie di questi ultimi giorni, come quelle degli ultimi mesi, che hanno portato alla luce comportamenti ambigui di tanti alfieri dell’antimafia, usi ad utilizzare improvvidamente contributi pubblici e privati o ad avere rapporti poco trasparenti con organizzazioni mafiose sembrano attagliarsi alla perfezione a quella “Antimafia di Facciata” denunciata da Lucia Borsellino.
Le indagini degli ultimi giorni in Campania descrivono bene questo quadro, dal paladino antimafia Lorenzo Diana al componente della Commissione Antimafia, Carlo Sarro, per non parlare del candidato della lista De Luca, Tommaso Barbato, la dice lunga sul grado di degenerazione e degrado delle istituzioni pubbliche italiane. Allora come non dare ragione ai figli di Paolo Borsellino.
La legalità ha bisogno di essere praticata e non predicata.
Gerardo Sano