Prima “Essere o non essere” in napoletano, poi la sua prima opera teatrale, “Le viscere del lupo”, nel mezzo una commedia e nel 2018 il monologo che debutta nel 2019 al Piccolo Teatro del Giullare: due date, sempre sold out, e il passaparola di un pubblico entusiasta ne ha decretato il successo, avvallato anche dalle Menzioni Speciali della giuria del Premio Il Sipario e del Premio Salvatore Quasimodo. Lo spettacolo vince anche il Premio Internazionale di letteratura per il teatro “Città di Castrovillari” ed è stato finalista ai Premi la Clessidra e Voci dell’Anima – Creature Ribelli di Rimini. Per “Angelus Domini” è tempo di tornare a casa.
Sabato 29 febbraio e domenica 1 marzo l’architettautore salernitano Francesco Maria Siani ripropone il suo monologo lì dove tutto ha avuto inizio: al Piccolo Teatro del Giullare.
Una potente Carla Avarista tornerà a dare voce, corpo e anima al testo scritto da Siani, un monologo che parla di violenza fisica e psicologica ma anche di maternità e del legame indissolubile che c’è tra una madre ed un figlio. La regia, delicata e pulita di Antonello Ronga riuscirà nuovamente a mettere in evidenza i passaggi cruciali della storia e la scelta di lavorare sulla contrapposizione cromatica del bianco e del nero permetterà anche questa volta alla light designer Virna Prescenzo di costruire con le luci le giuste atmosfere. I costumi sono di Paolo Vitale, le scene di Francesco Maria Sommaripa.
Siani, dopo aver costruito case in legno tra Francia e Svizzera, nel corso di un lungo periplo esistenziale cominciato quasi 30 anni fa, ritornato a Salerno ha trovato la sua strada di vita, nel teatro la sua linfa vitale.
«L’architettura e il teatro hanno un punto fondamentale in comune: l’osservazione di ciò che ci sta intorno. Basta alzare lo sguardo e trovare nella verità delle cose una inesauribile fonte d’ispirazione. Bisogna però farlo con onestà, e un pizzico di sana follia. Mentre Angelus Domini potrebbe diventare un film, ho già scritto un nuovo testo, molto forte, che sono pronto a portare in scena» anticipa l’autore, forse non più architetto.
NOTE DI REGIA Adelina, è un’anima perduta, schiacciata dalla memoria. È il compleanno di suo figlio: gli ha preparato una torta di mele, la sua preferita. Lo sta aspettando, lui verrà e lo stringerà tra le sue braccia, deve parlargli, deve sapere di una verità indicibile: per amore suo ha sfidato il destino, si è battuta per farlo nascere, “anche un bastardo è un figlio di Dio”, ha resistito, “Che lo voglia o no, una donna porterà sempre il peso di essere quella da cui il peccato arriva”, lasciando che facessero a pezzi lei, ha segnato la sua condanna “… è la madre che protegge il proprio figlio, finché il figlio non seppellirà la propria madre con le sue mani … A rovescio, è una bestemmia”.
Era lui il suo Salvatore, l’Angelo del Signore, il Verbo fatto carne, il vero Amore disceso su terra per salvarla. Nel suo ruolo di figlia, di sposa, Adelina ha subito le violenze, fisiche e psicologiche, che la figura del maschio dominante impone a una donna, ancora ai giorni nostri. Ma non c’è sofferenza più atroce per una donna, una madre, della perdita del proprio figlio. È contro natura. Come può Adelina affrontarlo se di quella perdita ha il rimorso della colpevolezza? A cosa aggrapparsi, a quello stesso Dio che ha voluto fosse madre? Come può Dio che è il padre di tutti noi che siamo suoi figli, infliggerci tali sofferenze? Quale esempio di sopportazione può offrire la Fede alla tragedia della vita, alle irrisioni del destino, alla violenza, degli uomini sulle donne, sui bambini, piuttosto che rassegnarsi alla morte e con essa liberarsi dal dolore? Mille e mille anni sono passati da quel maledetto giorno. Anche i ricordi hanno un tempo. Perché non si affievoliscano, bisogna restare svegli. Adelina è stanca. “Stanca del silenzio che ascolta il silenzio”. È il giorno del compleanno del figlio, il giorno del ricongiungimento. Adelina è un’anima pura. E’ pronta. (Antonello Ronga).