di Luigi de Stefano *
- Il mio vuole essere solo un ricordo, un’affettuosa testimonianza. Cosa dire di Giannino di Lieto. Me lo domandai quando una sera dell’estate scorsa, dedicata alla poesia, fui invitato a esprimere un ricordo estemporaneo della sua intensa attività culturale. Me lo sono chiesto ancora una volta oggi, e a maggior ragione, perché potessi portare a questo convegno una testimonianza concreta del suo appassionato impegno civile, umano e letterario nella società e nella scuola. Il mio ricordo, perciò, è andato subito al volume Racconto delle figurine & Croce di Cambio, che conservo gelosamente tra le cose più care, e alla dedica autografa che vi sta scritta. La dedica che Giannino volle farmi e che dice testualmente: “A Luigino de Stefano un’amicizia distante la terza liceo” e porta la data del 2 giugno ’96. La terza liceo che frequentammo insieme e che segnò l’inizio di un rapporto intenso di stima e di amicizia reciproca che si andò consolidando negli anni e che mi rese partecipe convinto delle tante iniziative che Giannino avviò con grande entusiasmo e che, però, non trovarono la necessaria linfa, da parte di chi avrebbe dovuto sostenerle, perché potessero consolidarsi e superare le difficoltà variamente disseminate lungo il percorso. La terza liceo che lo vedeva emergere nelle discipline umanistiche e lo rendeva protagonista quando, con la regia del professore Irace, leggevamo e commentavamo i classici greci e latini o diventavamo interpreti della famosa orazione di Lisia Per l’uccisione di Eratostene in difesa di un marito che aveva sorpreso e ucciso l’amante della moglie. Erano, allora, gli anni dei famosi processi del dopoguerra, tra cui primeggiava quello a carico del pianista Arnaldo Graziosi incolpato di aver ucciso la moglie, che dividevano gli italiani tra colpevolisti e innocentisti e che eccitavano la fantasia e l’interesse di noi giovani a tal punto da ricercare collegamenti con altri avvenimenti del passato e, soprattutto, del mondo classico. Il piacere della ricerca cui mai si sottrasse Giannino di Lieto. Anche se indirettamente, ne fa cenno Maurizio Perugi nella presentazione del lavoro al quale, poco prima, ho fatto riferimento: “Nel centro di Minori c’è una villa romana, con anfore e resti di mosaici, affondata ben sotto l’attuale livello stradale. Giannino ha avuto un ruolo non secondario in questo recupero. Ma, sul piano della poesia, il suo scavo trascende l’archeologia italica, attinge direttamente alle radici della civiltà mediterranea. Le pareti scialbate delle casette di Minori le puoi trovare in un porticciolo ellenico, mediorientale; ma la minuscola piazza con rettangolo verde degli alberi evoca alla memoria scorci lusitani. È il nostro patrimonio comune, anamnestico dalle cui profondità sornuotano oggetti nei quali la scabra, tagliente essenzialità di profilo non è che la controparte visibile di una realtà sotterranea”. 2. Giannino, del resto, amava tanto profondamente la sua Minori, e con la stessa intensità anche la Costiera, da studiarne a fondo, come evento culturale, le abitudini, le usanze, le credenze, la simbologia e soprattutto il dialetto bizantino “che sa regalarsi sotto l’arco tronetti avidi, spettacolo macerina, occultare lo sterrato”. Perché, “senza una nobile alleanza col passato il ‘valore’ documentario accorcia un falso scopo, l’espediente”. “Quello che ho trovato in giro” scriverà nell’introduzione del suo Racconto della Costa di Amalfi, dedicato al figlio Vanni ed edito nel 1983 “(il territorio di ricerca ricalca la repubblica di Amalfi, rivera da Positano a Cetara fino a Tramonti, Conca dei Marini, Ravello fino a Lettere, escluso Agerola) quanto meno della massa, informazioni, dati, privato, comune, vissuto, catalogo, da casato estinto a i morti (nome e cognome) del colera, l’alluvione, le guerre; gli emigrati, insediamenti urbani, i cantieri (navali) gli spanditoi (per la pasta), i potecali. Importante (ma non pertinente) poi mi legherà”. E lo racconta con la convinzione che lo scrittore deve saper comunicare al pubblico il suo pensiero in maniera tale che, analizzato, possa meglio esprimere la sua personalità. Certamente anche per questo Giannino di Lieto – ed è stato giustamente scritto – non ebbe modelli, ripudiò gli imitatori, non cercò adepti. Ha sempre seguito un discorso proprio, fuori e sopra le mode, decisamente libero. Il discorso che aveva iniziato negli anni Settanta e che gli piaceva sviluppare con i pescatori e con la gente comune ma, principalmente, con i giovani, gli studenti, i cittadini del domani. Come amico e come giornalista mi fu dato di seguirne le varie fasi che mi entusiasmarono a tal punto da prenderne, per quanto mi era possibile, parte attiva. Gli incontri degli studenti con la poesia e la “Settimana letteraria” segnarono, in quel non lontano 1974, un tentativo ben riuscito di spingere le nuove generazioni a riscoprire i valori del patrimonio culturale e artistico che poteva vantare, con l’Italia, pure il nostro Meridione e la nostra Costiera. E il 31 ottobre di quello stesso anno segnò l’apoteosi con la presenza di Alfonso Gatto che chiuse con un messaggio di speranza: “La speranza di vivere, la certezza di vivere” disse a Minori tra gli applausi dei presenti “così tutto un mondo che ieri, nel convegno pur tra attriti, contrasti, dissensi, consensi, è venuto fuori, ed è venuto fuori con molto più amore di quanto non sembrasse, i più vecchi vicini ai più giovani, i mezzani vicini ai giovanissimi. Come dire: su questa terra, in questo paese, in questa città, da ragazzo venni per la prima volta a piedi, molti decenni fa, allora non c’era autobus, la via era molto più stretta, c’era molta polvere, e da Salerno dove sono nato ci si incamminava per questa Costiera della quale si parlava tanto”. Poi, entrando nel vivo del discorso: “Alla fine, un poeta combatte tante e tante battaglie, sono battaglie anche silenziose, battaglie incruente, battaglie nelle quali lui parte sempre con la musica che ha dentro di sé, direi quasi precedendosi con la sua voglia di giungere, e sono le nostre marce per cui è giusto che qualche volta ci diano qualche medaglia al valore come questa che ho avuto ieri a nome vostro e a nome della Regione nella quale siamo tutti nati […] È bello nascere in questa terra ma, qualche volta, occorre anche partire e per farlo, alla fine, bisogna sbattere la porta sulla faccia di nostra madre se no non partiremmo più. Ed è molto difficile, dal sole alle nebbie, da un posto quale che sia, anche piccolo, anche misero, in questo sole, per cercare un altro posto che ancora non c’è. Ecco, a nome di tutto questo, di ogni speranza, dei desideri del bene e del male, che sono stati e che ho avuto, in nome della mia speranza di vivere che è anche la vostra certezza di vivere, io vi dico arrivederci, arrivederci all’anno prossimo, a un’altra festa della poesia che Giannino di Lieto organizzerà, Giannino di Lieto del resto è un nome lieto che porta dentro di sé la speranza”. 3. La speranza che Giannino ha conservato sino all’ultimo della sua vita e sempre nella sua Minori, da dove seppe conquistarsi il suo giusto posto nel difficile universo della letteratura e della poesia, condividendola con la moglie signora Stefania che gli è stata compagna intelligente e fedele e con il figlio Vanni che continua a ravvivare il suo impegno culturale e ideologico. La speranza che per Alfonso Gatto si infranse, due anni dopo, sul duro asfalto della strada e che Giannino volle raccogliere per dare avvio a un Premio nazionale di Poesia che portasse il suo nome. Un avvenimento che si concretizzò nella primavera del 1978 e che, pur non essendo andato oltre la prima edizione, è rimasto decisamente l’unico, in Costiera, per la sua impostazione e per il successo ottenuto non solo in Italia ma pure all’estero. Giannino vi dedicò tutto se stesso avvalendosi delle sue conoscenze e del credito di cui godeva presso gli ambienti culturali e le autonomie locali. Nell’organizzazione fu affiancato dal Collettivo “Politica”, con il patrocinio dell’Amministrazione Provinciale, dell’Ente provinciale per il turismo, del Comune e dell’Azienda di soggiorno di Ravello. Altro fatto singolare fu che non vi si partecipava “a domanda” ma per scelta e preferibilmente tra gli autori la cui produzione poetica era ricompresa tra l’esperienza dei “Novissimi” e quella recente. Il movimento letterario dei “Novissimi” era diventato manifesto soprattutto nella prima metà degli anni Sessanta e, in seguito, si era sviluppato come “Nuova Avanguardia” caratterizzandosi prevalentemente nell’attivismo poetico, nella volontà di “scandalo”, nella “rottura violenta” con il passato e nella rivalutazione del futurismo italiano. 4. Un premio, insomma, dalla formula originale, pienamente in linea con il sottotitolo “Un autore, un libro per un itinerario del nuovo” che, nello spazio di un mese, portò all’esame e all’approfondimento della giuria (composta da venti cittadini di Ravello pariteticamente designati dal consiglio comunale, dall’Azienda di soggiorno e dai soci del Collettivo) i diciannove volumi che erano stati segnalati da un’apposita commissione, composta da giornalisti, poeti e letterati. Vi facevano parte, con Giannino di Lieto, Gaetano Afeltra, Giorgio Bàrberi Squarotti, Camilla Cederna, Luciano Cherchi, Franco Cordelli, Raffaele De Grada, Gilberto Finzi, Spartaco Gamberini, Davide Lajolo, Mario Lunetta, Giuseppe Marchetti, Giancarlo Pandini, Walter Pedullà, Corrado Piancastelli, Felice Piemontese, Gaetano Salveti, Giacinto Spagnoletti, Adriano Spatola, Gianni Toti, Donato Valli e Giuseppe Zagarrio. Vinse Giorgio Manacorda, con il libro Tracce edito da Guanda, e ricevette da Marina Gatto il Premio di seicentomila lire la cui dotazione era stata raggiunta mediante una sottoscrizione popolare aperta nei comuni della Costiera amalfitana quasi a voler rimarcare – dissero gli organizzatori – come l’universo poetico di Alfonso Gatto, lungo gli oltre quarant’anni della sua attività, ebbe a ruotare intorno a una condizione fondamentale, “la povertà, che si costituisce e incarna in figure e luoghi o movimenti simbolici, e che induce l’amore e, naturalmente, la morte”. Al risultato, spiegò Giannino di Lieto, si era giunti dopo una serie di confronti, di dibattiti, di letture, ad Amalfi, a Ravello, a Minori, che avevano avuto per tema “Indirizzo al testo”, “Poesia e struttura”, “Glossa e serie letteraria”. In pratica, attraverso gli incontri, si vollero individuare i meccanismi che presiedono alla circolazione, alla lettura e alla valutazione delle scritture poetiche per poi allargare il discorso alla società, alle classi che la compongono e la dividono, alla funzione che in essa può svolgere e svolge la poesia o, meglio ancora, quel particolare tipo di poesia. Ma Giannino parlò anche di poesia “come un modo sociale per fare cultura, per comprendere il poeta come uno di noi, per amarlo”. Negli anni in cui viveva nella casa di Marmorata, tutta protesa sul mare, Giannino di Lieto era solito fare, al calar del sole, delle lunghe passeggiate sulla Statale Amalfitana chiacchierando amorevolmente con il figlio Vanni. Ci incontravamo spesso, con lo sguardo, quando in pullman mi recavo ad Amalfi e chi sa perché, ogni volta, la mia mente andava ad Aristotele che teneva lezioni agli allievi deambulando per i viali del Peripato nei giardini del Liceo di Atene. Ora che non c’è più, ho compreso appieno il perché: Giannino, con le sue iniziative e la sua dedizione, insegnava non solo agli allievi, nel chiuso della scuola, ma a tutti i giovani e pure ai meno giovani, nell’arengo del sapere, come poter fare cultura e saper vivere nella società. Era la sua filosofia, la filosofia dell’intellettuale, del poeta, dell’uomo libero, del papà che ha lasciato un bagaglio di affetti, un retaggio di sentimenti, l’eredità di una vasta dottrina e di una grande umanità.
* Luigi de Stefano (1929 – 2013) è stato un giornalista attento e sensibile al Territorio della Costa d’Amalfi, alle espressioni della “buona” Cultura, Politica, Società che il Territorio esprimeva. E’ stato collaboratore de Il Mattino e La Città. Questo intervento è pubblicato nel volume dedicato agli Studi sull’Opera poetica di Giannino di Lieto “Atti del Convegno” – Anterem 2008, che fa seguito al Convegno del maggio 2007 tenutosi a Minori. Questa ri-pubblicazione è anche un modo affettuoso per ricordare l’amico Gigino de Stefano a sette anni dalla scomparsa (Giovanni Maria di Lieto)
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Giannino di Lieto – Frammento tratto dal volume “Le cose che sono” (Masuccio & Ugieri 2000)
VII
Nel mio andirivieni per Aziende di Soggiorno, giornate convulse
del Premio “A. Gatto”, ricco di Incontri, Letture, Dibattiti, coinvolgenti
l’estesa Costiera Amalfitana, ex voto per la fine del supplizio
una signora intravista di grazie, e mi fa: «Maestro, siete voi Alfonso
Gatto?» No esterrefatto, mia Signora, non sono ancora morto.
(Si guarda attorno ed esce.)
VIII
Doveva essere la proposizione disgiuntiva, contraddizione all’assunto
filosofico nella prima parte del “Tema” del Convegno, e/o
la guerriglia (notate l’invenzione e/o), guerriglia da Guerrilla, calco
della guerrilla sandinista, trasportata nell’Arte, in Letteratura. La
Settimana Letteraria (Minori) partiva dal Convegno nel suo “Tema”.
Vigilia tranquilla, curo i particolari, l’addobbo, gli ultimi tocchi alla
scritta, traboccante, su un fondale di raso rosso, Sala del Consiglio.
A mezza sera il Prof. M.S. (doveva presiedere il Convegno) mi fa dire
dalla sorella, si è sentito male sul treno all’altezza di Gaeta, ritorna
a Roma. Il Prof. V.P., da Salerno, non doviziosamente convinto, si
era già eclissato. Comincio ad avere qualche apprensione.
L’una di notte, in piedi nello Studio, l’occhio ieratico di un santo su
tela con cornice del ’600 non dà fretta ai miei pensieri.
È per caso forse di una snella prospettiva che scopro, svolta malignamente
nel merletto dell’orlo sulla manica la firma dell’Autore.
Un buon presagio. Chiamo a Roma Alfonso Gatto (l’Ospite d’Onore),
lo prego di anticipare la partenza. (Andrò a prenderlo la notte
a Salerno). E si apre ufficialmente il Convegno.
Al tavolo della Presidenza Maria Luisa Spaziani, Alfonso Gatto, Ruggero
Jacobbi, Gaetano Salveti, un po’ in disparte Giannino di Lieto.
Folti e polemici Interventi, appena disturbati dal campanone della
Chiesa.