Tempi duri per i furbetti del cartellino, nelle divise di qualche Asl è arrivato il microchip. Amazon ha fatto scuola con i braccialetti ai polsi delle sue maestranze, ora al centro dell’attenzione c’è il personale dell’Asl di Salerno. Non è la prima volta che i sindacati denunciano fatti simili, già lo scorso anno 22mila dipendenti della sanità ligure hanno segnalato la presenza nelle loro divise di microchip grandi come una lenticchia tra le cuciture dell’abbigliamento da lavoro. La stessa cosa è accaduta nella struttura sanitaria di Modena. Una riflessione sorge subito spontanea: salari bassi, straordinari non pagati, controllo elettronico, manca solo la catena ai piedi e la nuova schiavitù è servita.
Certo, molti errori sono stati commessi da tanti (troppi) dipendenti, ma davvero è necessario giungere a queste forme di controllo? Per Biagio Tomasco, sindacalista della Uil Flp Salerno, si sta esagerando: “Siamo al corrente che nelle divise dei dipendenti di nuova distribuzione sia inserito un microchip elettronico del tipo ‘Tagsys‘ – ha commentato – questo sistema è stato pensato per essere sfruttato in ambito sanitario, magari applicato alle divise del personale medico e di comparto, ma i suoi utilizzi possono essere molteplici. Perché chiunque, non solo dottori o infermieri, può trovare vantaggiosa la possibilità di disporre, cucito direttamente sul proprio abito. Soprattutto se l’etichetta ha la forma di un vero e proprio bottone, con tanto di fori centrali per consentire il passaggio di ago e filo. Ma il problema sta proprio nella posizione che detto microchip occupi nelle divise del personale: è cucito nel risvolto delle tasche di casacche e pantaloni, invisibile alla vista dei dipendenti “.
Questo sistema ha scritto in una nota Tomasco al manager dell’Asl Salerno “proprio per le sue caratteristiche intrinseche che lo vedono come un ottimo strumento capace di tracciare in ogni momento le attività di chi indossa le divise sopra richiamate, viola in maniera palese quanto disposto dalle normative in materia di lavoro che dispone che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali“.
I manager dell’Asl con questa decisione starebbero violando la privacy dei lavoratori: “La legge dice che le informazioni raccolte sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo numero 196 del 30 giugno 2003. Ecco perché chiediamo, in virtù di tutto ciò, un immediato incontro con i responsabili dell’Asl Salerno per la discussione di merito della questione”. La posizione del sindacalista è apprezzabile, ma, è la convinzione di molti: se non ci fossero state le inchieste e i blitz delle forze dell’ordine, i dirigenti Asl avrebbero mai pensato a una simile svolta? Questo è il dilemma.