Ammazziamo il Gattopardo, la ricetta (d'amore) di Alan Friedman per salvare l'Italia.

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Ancora prima di essere disponibile nelle librerie, Ammazziamo Il Gattopardo (Rizzoli), l’ultimo lavoro di Alan Friedman, giornalista economico e conduttore di programmi TV di successo come ad esempio “Maastricht, Italia”, ha destato scalpore ed eccitato a dismisura il dibattito politico. Friedman racconta infatti delle attività intense intraprese dal Presidente Della Repubblica Giorgio Napolitano per sondare una successione a Berlusconi a Palazzo Chigi.

In sostanza Friedman rivela che Napolitano già nell’estate 2011 aveva contattato l’allora Presidente di Banca Intesa, Corrado Passera, che poi sarà il Ministro dell’Economia del Governo Monti, affinchè elaborasse un documento di programmazione economica e di misure urgenti da affrontare per fronteggiare l’attacco speculativo di cui l’Italia era vittima in quelle settimane e per il quale Napolitano era giustamente preoccupato, e soprattutto misure urgenti per la crescita del Paese. Friedman naturalmente non tira le conclusioni che invece hanno tratto Forza Italia ed il Movimento 5 Stelle, cioè che Napolitano abbia tramato per spodestare Berlusconi da Palazzo Chigi o addirittura violato la Costituzione, tuttavia lo stesso Friedman ammette che intraprendere queste attività, compreso sondare la disponibilità di Monti a succedere al Cavaliere già nell’estate 2011, senza che l’inquilino di Palazzo Chigi ne fosse minimamente informato, sia stato quantomeno irrituale, e ne condivide il giudizio che ne ha dato il Financial Times, una “forzatura”, un comportamento definito “borderline” da tre autorevolissimi esponenti politici intervistati dallo stesso Friedman.

Napolitano è un uomo di stabilità, un uomo della vecchia politica, un uomo del Palazzo, Friedman inquadra in questo background del Capo Dello Stato anche la sua difesa ad oltranza non solo del Governo Monti, ma anche del Governo Letta, anche quando si trattava di difendere posizioni poco o nulla difendibili, come quelle di Alfano nel caso Shalabaeva (che costò all’Italia anche critiche dalle Nazioni Unite) oppure della Cancellieri nel caso Ligresti. Napolitano, seppur animato da nobili intenzioni, ha in realtà favorito la sopravvivenza del Gattopardo.

Friedman non è neanche tenero con Monti (sul quale invece nutriva molte aspettative perchè aveva apprezzato molto il suo lavoro in Commissione Europea), al quale assegna uno stiracchiato 6-, riconoscendogli un importante merito come l’abbassamento del deficit e finanche la dolorosa riforma delle pensioni fatta dalla Fornero, ma imputandogli anche una riforma del lavoro addirittura controproducente e l’assoluta insufficienza di politiche per la crescita, oltre che la limitatezza delle liberalizzazioni (e fu un errore, come riconosciuto da molti, cominciare dai taxisti).

Il giudizio del giornalista economico statunitense non è positivo neanche con Letta, ancora in carica quando è andato in stampa Ammazziamo il Gattopardo, la cui azione si è persa nel bailamme Imu-Iva, e che si risolve in quella che Friedman stesso chiama “politica delle briciole”, in grado di promettere solo “ripresine” e riduzioni fiscali di meno di un punto percentuale, una goccia nel mare.

Il piatto forte del libro è però la “ricetta”, che va applicata con in carica un Governo eletto dal popolo, e per la quale non bisogna perdere altro tempo, essendo l’Italia ad un bivio cruciale, e che Friedman prescrive all’Italia perchè ama l’Italia, che altrimenti sarà costretta a vivere quotidianamente scene come quelle dell’autunno 2011 a Roma, con le fasce più giovani senza lavoro e senza prospettive.

La ricetta di Friedman è in 10 punti sintetizzabili in abbattimento del deficit, modernizzazione del mercato del lavoro, minimo vitale per le fasce deboli, tagli alle pensioni d’oro, occupazione femminile, meritocrazia, togliere le competenze delle Regioni in materia di sanità, patrimoniale “leggera” per redditi di più di un milione di €, liberalizzazioni vere, e soprattutto fare tutte queste cose insieme.

Sullo sfondo 3 figure, Berlusconi, D’Alema e Renzi.

Il Cavaliere è visto da Friedman come un outsider, lo era già negli anni 80 quando la finanza italiana era rappresentata dalla Mediobanca di Cuccia, uno che è sceso in politica perchè stanco dei governi che duravano meno di un anno e che risultavano anche dannosi per le imprese. Berlusconi non è dunque nè il martire e la vittima così descritta dai suoi aggiografi nè la caricatura del grottesco e malvagio delinquente costruita dai suoi nemici. Anche perchè, del ventennio denominato come berlusconiano, giova ricordarlo, e Friedman lo fa, Berlusconi ha governato poco più di 9 anni, meno della metà, a lui si sono alternati Dini, Prodi, D’Alema, Amato, Monti e Letta. L’Italia è rimasta ferma, non si può ragionevolmente dare tutta la colpa al Cavaliere.

Proprio D’Alema viene visto da Friedman, che pure gli riconosce il ruolo svolto da premier ed anche da Ministro degli Esteri, come il politico ancora ancorato ai vecchi schemi, al vecchio modo di fare politica, e però ancora molto forte. D’Alema è uno dei principali oppositori di un modello di sinistra moderna, quella che negli anni 90 vedeva come principali riferimenti Tony Blair e finanche Bill Clinton. Il suo avversario non è certo Berlusconi, ma sono stati nel tempo Prodi, Veltroni, e adesso Renzi, e D’Alema i suoi avversari li ha sempre battuti.  Come quando Prodi non ha ottenuto i voti necessari per salire al Quirinale, proprio da quello che doveva essere il suo partito (La Carica dei 101). Il Professore racconta di una telefonata fatta a D’Alema proprio quel giorno (si trovava in Africa), D’Alema gli spiega che la sua candidatura (espressa praticamente all’unanimità dalla direzione del Pd quella stessa mattina) destava perplessità perchè non era stata preparata e discussa per tempo, coinvolgendo i massimi dirigenti, insomma ne faceva una questione di metodo più che di merito. Prodi subito dopo quella telefonata telefona alla moglie Flavia e le dice di andare tranquillamente alla riunione dell’Istituto Linguistico alla quale deve partecipare, perchè lui non sarà eletto Presidente Della Repubblica.

Rimane Renzi, proprio la parte su Renzi rischia di essere superata perchè l’accelerazione della politica fa in modo che questa sia più veloce della stampa dei libri. Renzi adesso è Capo Del Governo, Friedman comunque illustra quella che è la ricetta economica dell’allora Sindaco Di Firenze, che parte innanzitutto da lavoro e pensioni, innanzitutto “rottamando” il sistema degli ammortizzatori sociali e della cassa integrazione, che adesso non hanno più ragione d’essere, e puntando sulla maggiore facilità di assunzione da parte delle imprese. Se si perde il lavoro, lo Stato per almeno 2 anni ti dà lo stesso stipendio che prendevi, “obbligandoti” però a fare un corso di formazione professionale. Ma a questo punto bisogna “rottamare” anche il sistema della formazione professionale, in mano ai vecchi apparati, burocrazia, sindacati e Confindustria. Capitolo pensioni: non si può pensare di andare avanti con il sistema retributivo, chi è andato in pensione con questo sistema guadagna molto di più di quello che dovrebbe guadagnare, Renzi crede sia giusto chiedergli un contributo. Taglio della spesa: rivedere immediatamente il Titolo V della Costituzione, la riforma fatta da D’Alema ed Amato che ha trasformato le 20 Regioni in altrettanti stati. Bisogna togliere alcuni poteri alle Regioni. La spesa sanitaria non va tagliata, ma va resa più efficiente, definendo i cosi standard per gli acquisti. Legge elettorale (l’intervista è precedente all’accordo con Berlusconi sull’Italicum): l’importante è che sia chiaro chi governi e chi è responsabile per il futuro. Questo è il Gattopardo, non si sa mai di chi è la colpa e rimangono tutti lì.

Renzi ci proverà nell’azione del suo governo, a tracciare la via che concili liberismo ed equità sociale, che non sia il volto buono della destra (come lo ha definito Cuperlo, suo avversario nelle primarie Pd) ma neanche “il volto peggiore della sinistra, quello che non ha fatto la legge sul conflitto di interessi ed ha mandato a casa Prodi”.

Se sarà in grado di riuscirci con Padoan all’Economia e con il capo di Legacoop al Lavoro, questo è un capitolo che Friedman dovrà ancora scrivere. Il Gattopardo sembra ancora duro a morire.

PIETRO PIZZOLLA