Epatite C eradicabile in 2 anni.

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L’eradicazione dell’infezione da HCV (Epatite C) è possibile. E potrebbe mancare molto poco, forse un paio di anni. “Abbiamo dei farmaci talmente efficaci, da utilizzare in maniera semplice, con brevi periodi e con una sola pasticca al giorno, che si pensa sia possibile trattare un numero sufficientemente ampio di persone per raggiungere questo obiettivo”.  Lo dichiara il Prof. Massimo Andreoni, Ordinario di Malattie Infettive all’Università Tor Vergata di Roma, in occasione del Congresso Nazionale di Salerno della SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.

“Circa il 90% delle nuove infezioni colpisce persone che fanno uso di sostanze in via endovenosa – spiega il Prof. Andreoni –  Inevitabilmente, quindi, in termini epidemiologici, dobbiamo iniziare a concentrarci su questi soggetti, perché si possa evitare di mantenere vivo questo focolaio epidemico in Italia”.

I RISULTATI DEGLI ULTIMI STUDI – Secondo studi recenti, che hanno coinvolto anche la Regione Lazio, alcune campagne finalizzate a test rapidi condotti in questa tipologia di pazienti hanno dimostrato che più del 30% dei soggetti si sono dimostrati positivi all’HCV. Questo sistema aiuta a far emergere il sommerso e potrebbe funzionare. Un altro dato interessante è relativo ai soggetti che fanno uso di sostanze per via endovenosa, la percentuale di risposta al trattamento  è virtualmente equivalente a quello della popolazione. Quindi il 90% di queste persone rispondono positivamente al trattamento.

“Questi risultati – conclude il Prof. Andreoni – ci fanno capire che dobbiamo andare verso questa direzione. E che servono campagne mirate all’individuazione di infetti appartenenti a questo gruppo. E’ importante, inoltre, creare dei modelli di esempio e di riferimento che stimolino questi individui a sottoporsi al trattamento. Questi, infatti, scarsamente  aderiscono correttamente alla terapia. Ma prestando una particolar attenzione si potrebbe giungere finalmente all’eradicazione della malattia”.

L’EPATITE C IN ITALIA – Nel 2016, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, l’incidenza è stata pari a 0,2 per 100mila. Non sono stati osservati casi nella fascia d’età 0-14 anni, mentre l’incidenza maggiore si ha nella classe di età 25-34 anni: 0,3 x 100mila abitanti. La diminuzione di incidenza ha interessato in particolar modo i soggetti d’età compresa fra i 15 e i 24 anni. L’età dei nuovi casi è in aumento, e già da tre anni la fascia di età maggiormente colpita è stata quella di mezzo tra i 35 e i 54 anni.

SINTOMI E CONSEGUENZE – In coloro che manifestano clinicamente sintomi, l’esordio della malattia è insidioso con anoressia, nausea, vomito, febbre, dolori addominali e ittero. Un decorso fulminante fatale si osserva assai raramente (0,1%), mentre un’elevata percentuale dei casi, circa l’85%, arriva alla cronicizzazione. Il 20-30% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa, nell’arco di 10-20 anni, cirrosi e, in circa l’1-4%, successivo epatocarcinoma. Il periodo di incubazione va da 2 settimane a 6 mesi, per lo più è compreso fra 6 e 9 settimane.

IL TASSO DI FALLIMENTO SI RIDUCE – “Da gennaio 2015 ad oggi – conclude il Prof. Massimo Andreoni – abbiamo trattato in Italia più di 94mila pazienti con i nuovi farmaci antiretrovirali, con un alto tasso di successo. Mentre il numero dei casi che non ha risposto alle cure si assesta intorno al 3-5%. Prevediamo di trattare nei prossimi due anni altri 160mila pazienti, perché questa è la disponibilità che l’Agenzia Italiana del Farmaco ha dato ai clinici italiani per trattare questa patologia. Stiamo procedendo in maniera rapida ed efficace”.

L’EPATITE NELLE CARCERI – Nel corso del 2016 sono state detenute 101.995 persone, di cui il 50,3% aveva meno di 40 anni, il 34,5% erano stranieri, il 33,2% tossicodipendenti ed il 4,2% donne. Le stime sulla diffusione dell’infezione da HCV tra le persone detenute indicono tra il 25% ed il 38% i positivi ai test ematici, con 25-38.000 pazienti potenzialmente transitati nei 190 Istituti del Sistema Penitenziario Italiano nel corso del 2016. Di questi sono malati con viremia ematica e, quindi da sottoporre a terapia eradicante con i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) circa 2 pazienti detenuti su 3.

 

“Si tratta – spiega il Prof. Sergio Babudieri Direttore delle Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Sassari e Direttore Scientifico di SIMSPe – Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria – di una massa di pazienti compresa tra le 18 e le 25.000 unità; fra questi i comportamenti a rischio per la diffusione dell’infezione, quali scambio di siringhe e/o e taglienti, tatuaggi con punte ed inchiostro infetti, rapporti sessuali promiscui e violenti, condivisione di rasoi da barba all’interno di celle sovraffollate, episodi di violenza con ferite e commistione di sangue, possono essere particolarmente diffusi e, pertanto, rappresentano uno dei gruppi che maggiormente può alimentare la diffusione della malattia sia durante la detenzione che al rientro in libertà”.