Sant’Apollonia, al via la IV edizione del Festival di Musica da Camera, protagonisti gli allievi del Conservatorio Martucci.

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Ogni rito ha a che fare con il sacro, con la metamorfosi con il cammino che porta al cambiamento interiore attraverso passaggi obbligati ritmati e sottolineati, quasi a segnare le stazioni di una evoluzione, dallo stadio di ragazzo ad uomo, da allievo a quello di professionista.

Una di queste tappe, per gli studenti del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, è rappresentata dal palcoscenico della chiesa di Santa Apollonia, ove per una felice intuizione dell’indimenticato Peppe Natella e della sua Bottega San Lazzaro, di concerto con la ferace creatività del dipartimento di Musica da Camera, quattro anni fa nacque questa rassegna cameristica, che fa da preludio al “passaggio” alla bella stagione. Ben dodici le serate che spazieranno dal Romanticismo al secolo breve, sino alla produzione contemporanea e che vedranno alternarsi sul palcoscenico oltre sessanta musicisti tra archi, fiati, tastiere, voci.

Concerto inaugurale il 30 maggio, alle ore 20, con diversi ensemble di fiati a confronto, a cominciare da un sestetto di clarinetti impegnato nell’esecuzione di “Ballad” una pagina scritta nel 2016 da Antonio Fraioli, per poi confrontarsi con Stefano Melloni, autore di Five Sketches, nuove conversazioni sull’idea di ritmo e melodia. Un ragtime per piano solo, Encore Rag, datato 1912, trascritto da Tad Fischer e arrangiato per clarinetto due sax alti, due tenor sax e due sax baritoni da Jacques Larocquel, per passare, quindi, al Kurt Weill del Die Dreigroschenoper, una delle produzioni più complesse e di successo di questo festival, con la Zuhalterballade, la ballata del Magnaccia, che farà da introduzione ad un florilegio di melodie tratto dal songbook di George Gershwin, omaggio ad un genere che ha indovinato e scoperto i mille volti delle ance. Ritorno al classico con l’evocazione della Deuxieme Suite di Theodore Dubois, baciata dalla varietà dei timbri, dai contrasti e dalle combinazioni di densità sonore, prima di lasciare spazio al nonetto per l’esecuzione di una marcia di Daniel Léo Simpson e di un undicimino di fiati, che chiuderà con l’esecuzione di alcuni estratti dell’Inno delle Nazioni di Giuseppe Verdi, un augurio all’Europa Unita, trascritti da Michele Mangani. Il 31 maggio sarà dedicato alle sonorità francesi a cominciare dalle Chansons madécasses di Maurice Ravel, ispirate all’isola di Madagascar, un trittico unificato, in un certo senso, dall’impiego di materiale musicale comune in Nahandove e in Il est doux; il trattamento lineare dei tre pezzi si accoppia a una specie di primitivismo di cui è un aspetto l’uso estensivo della ripetizione degli accompagnamenti, secondo però una strategia d’attenta misura. A seguire Deux Stèles oriéntées del raffinato Jacques Ibert non alieno da influenze neoclassiche, Cantilène et danse dell’algerino Marc Eychenne, datato 1961, in cui si riconoscono chiari echi raveliani, con il gran finale affidato al Trio n°2 di Russell Peterson, 4 movimenti dedicati a Ravel, Maslanka, Beethoven e Shostakovich. Giugno sarà aperto da due Trii. Serata inaugurata dai Phantasiestucke op.88 di Robert Schumann, opera non poco fascinosa anche se poco eseguita, per poi lasciare il testimone al Trio in Re minore op.32 di Anton Arensky per violino, violoncello e pianoforte. Il 2 giugno, ancora una serata dedicata all’Impressionismo francese con le più talentuose voci del nostro conservatorio, interpreti delle mèlodies di Gabriel Faurè Claude Debussy e la proposta finale del sestetto di Francis Poulenc, frizzante e virtuosistico, in cui fiati e il pianoforte si pongono in un continuo dialogo frammentato tra piccoli raggruppamenti strumentali. Serata Schumann il 3 giugno con l’esecuzione dei Phantasiestucke op.73, improntati ad una connotazione lirico-nostalgica, seguiti da un florilegio dei Dichterliebe op.48, caratterizzati da una omogenea fusione tra il canto e la parola, A sigillo della serata il Quintetto in Mi bemolle maggiore op.44. “Passaggi” contemporanei il 4 giugno con protagonista il quartetto di sassofono con “hottista”, per dirla all’antica. Il clarinetto improvviserà su Che? Di Sauro Berti ed Engrenages di Alexandros Markeas, mentre sarà proposto un tributo a John Cage con il pianoforte preparato di And the Earth shall bear again e Five, Si procederà con The Garden of Love di Jacob ter Veldhuis dper sax soprano e radioregistratore, per chiudere con la Serenata per un Satellite di Bruno Maderna. I tasti del pianoforte sono Blanc et Noir e il 6 è la volta del pianoforte a quattro mani. Anche gli animali hanno il loro Carnevale ed è quello, famosissimo, messo in musica da Camille Saint-Saëns per il martedì grasso del 1887. Seguiranno Trois mouvements de Pétroucka di Igor Stravinskij uno dei pezzi di maggior impegno virtuosistico e al tempo stesso di maggior forza evocativa e fantastica di tutto il Novecento pianistico. Ospite di questa IV edizione del festival sarà il 7 giugno, il Quartetto Felix. Per il pubblico di Studio Apollonia gli strumentisti hanno scelto il Brahms del Quartetto in Do Minore op.60, in cui si può vedere una summa della sua arte nella sua piena maturità, e il William Walton del Quartetto in Re Minore, un’opera vivace e comunicativa. Quartetto di clarinetti in scena l’8 giugno, con il Quatuor di Pierre Max Dubois, dalla fresca ed efficace invenzione, i virtuosistici Six pièces d’audition di Jean Michel Defaye, i due Quartetti di Ernesto Cavallini, ove echi del cabalettismo operistico si fondono al manierismo brillante dell’epoca. In chiusura, ancora un quartetto stavolta di Endresen  e Trois divertessement di Henri Tomasi ispirati da una melodia corsa che meritano di essere eseguiti con più regolarità. Ritorna il 9 il romanticismo vocale e strumentale con il trio in Re minore op.49 di Felix Mendelssohn. In scena le voci con Der Hirt dem Felsen di Franz Schubert, un esperimento isolato di Lied con accompagnamento di pianoforte e clarinetto, che Schubert fece nel 1828, l’anno della morte, e Zwei Gesange op. 91 di Johannes Brahms, un itinerario psicologico vero e sincero dell’artista. Debutto del Coro del Conservatorio diretto da Maria Cristina Galasso con Dirait on da le chansons de roses di Morten Lauridsen che tesse insieme due idee melodiche prima sentite in forma frammentaria nei movimenti precedenti e la celeberrima Ave Maria di Astor Piazzolla. 10 giugno in ensemble con l’esecuzione del Sexteto Mistico di Hitor Villa Lobos, il quale partendo dal neoclassico mostra cronologicamente l’evoluzione del linguaggio del compositore brasiliano. Ancora un portrait di Francis Poulenc con i Deux poémes de Louis Aragon scritti nel 1944 sui versi del poeta surrealista Louis Aragon in cui notiamo una convergenza delle nostre lingue fonetiche (francese, tedesco, inglese) e del linguaggio musicale universale. Finale di giornata con l’allegro elefantino Babar schizzato sempre dal genio francese. Fiati all’opera a sigillo del festival, l’11 giugno, con formazioni estese di fiati, impegnate in un omaggio a Giuseppe Verdi col Preludio della Traviata, e la preghiera dall’Otello, la Petite Symphonie di Charles Gounod op. 2016, una piacevole e deliziosa composizione musicale e conferma lo stile essenzialmente melodico del soave artista parigino. Si continuerà con le Danze d’Italia op.39b di Renato Grisoni, che rilegge le danze rinascimentali, e per finire la preghiera di Tosca, il Vissi d’arte e la sinfonia dall’Opera Luisa Miller. L’esperienza della musica da camera è un’esperienza che forma la persona ancor prima del musicista e che quando non vissuta a fondo, lascia segni evidenti nelle personalità degli interpreti. In un tempo in cui dominano la fretta, la superficialità e il materialismo, chi ama profondamente la musica sa di possedere ancora questo esclusivo angolo di felicità.