Inaugurazione della 46ª stagione espositiva sabato 26 ottobre ore 19,30. Ingresso Libero
Il Catalogo omaggia Mino Maccari. La 46ª stagione espositiva della galleria di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta a Salerno , via A.M. De Luca, 14 verrà inaugurata sabato 26 ottobre alle ore 19,30 da oltre trenta pezzi del grande artista senese e sarà aperta al pubblico fino a sabato 30 ottobre.
A Mino Maccari, pittore, incisore e grande illustratore, è dedicata la mostra inaugurale della quarantaseiesima stagione espositiva della Galleria Il Catalogo, che verrà inaugurata sabato 26 ottobre alle ore 19,30. L’esposizione di oltre trenta opere, tra rari e inediti, è un florilegio della grande personale ospitata in estate nel Palazzo Mediceo di Seravezza: “La commedia nell’arte”, ripercorrente la produzione artistica di Maccari dal 1920 al 1978, che ha ricevuto attenzione dalla stampa nazionale e internazionale. Gli eredi dell’artista senese, Marco e Francesca Maccari, hanno concesso di esporre parte di questo corpus alla galleria salernitana di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, con cui l’artista ha collaborato sino alla sua scomparsa.
La ricerca grafica di Mino Maccari -scandita dall’attività di illustratore per le riviste “Il Selvaggio”, “L’Italiano”, “Omnibus” e nel secondo dopoguerra per “Il Mondo”, è solitamente ricordata per il tono feroce della satira. La scelta di tematiche aspramente polemiche, nata nello spirito di Strapaese e sviluppatasi negli anni del fascismo, viene solitamente espressa dall’artista in un segno graffiante, in figurazioni grottesche, talora accentuate dall’uso del colore, e in una straordinaria versatilità espressiva. Maccari che fu acuto osservatore dei costumi della società italiana, la analizza attraverso lo sguardo di soldati, commendatori, avvocati, preti, marionette, e, soprattutto, donnine. Sono immagini-evento di tipi umani che ruotano costantemente e sempre intorno alle eterne opposizioni che caratterizzano l’occidentalità della nostra cultura amore-odio, uomo-donna, intelligenza-stupidità, grandezza-meschinità, interesse-disinteresse, strumenti per una interpretazione del reale: l’instabile e mirabile altalena fra i due poli della dicotomia, in definitiva, quella che Guttuso individua tra «l’angelico e il diabolico, l’occhio del bene e l’occhio del male, il bello e il brutto» e che Maccari utilizza con stile dissacratorio, caustico, beffardo, irriverente, ma senza mai scadere nella volgarità, perché sempre fedele e coerente con i propri ideali artistici.
Circola di Mino Maccari un’immagine standard di pittore o incisore-disegnatore eversivo e caustico per definizione, irridente e stravolto fino alla caricatura e all’oscenità. In realtà, al di sotto della superficie di un tratto magistrale come pochi, liberatorio fino all’eccessiva facilità, così abile fino alla condiscendenza, attraverso queste opere, si riconosce perfettamente il segno di una inquietitudine innocente, di una ricerca di un’espressione dolente, anche nella sua “cattiveria”: quindi lirica, ma di un lirismo sconosciuto in Italia, di una liricità, non monocorde o monostilistica. Ritroviamo in queste opere la stessa felicità e disinvoltura con la quale lo stile di Maccari passa dal vagheggiamento di un Picasso periodo blu a quello di un Groz, da un disegno a semplice contorno a una composizione chiaroscurale a macchie, da un tessuto pittorico di linee “aderenti al vero”, alle più estrose deformazioni alla Steinberg, lasciando intendere un impegno più di “gusto” e di “verve”, unitamente all’ intelligenza e, soprattutto, al cuore. Pittore pudico, nonostante l’apparenza, Maccari sfida l’osservatore ad andare oltre il graffio satirico del segno, alla scoperta di uno spessore più profondo, che ha forse radici nella visione irridente ma, al tempo stesso pensosa di una cultura toscana fatta di tenzoni, ma anche di meraviglie, di Beatrici impossibili e di grevi matrone debordanti (questa ricerca spasmodica delle origini, del resto, era proprio la qualità meno caduca di Strapaese e della “selvaggeria”). Un intellettuale non indifferente e incapace di compiacimento, che ebbe la quasi inedita qualità di non fare sconti a nessuno, nemmeno a se stesso.