Un “poeta blues”, icona di fama mondiale e prova vivente che le blue note non hanno confini: protagonista della terza serata del Baronissi Blues Festival 2016, martedì 19 luglio alle ore 21 (anfiteatro comunale “Pino Daniele” – ingresso gratuito), è Roland Tchakountè. Originario del Cameroon, ma parigino di adozione, Tchakountè è un artista delle anime erranti, con il suo modo di suonare intimo e delicato.
La sua musica porta con sé speranza e disperazione, supera le imposizioni e le regole musicali creando un mix perfetto tra il sound del Mississippi e la profondità dei testi africani, in una perfetta fusione tra le sue origini e le influenze blues, unite alla particolarità di cantare in Bamilèkè.
Vive in Francia, ma si considera un cittadino del mondo, con centinaia di concerti in Usa, Canada, Asia, Indonesia, Vietnam, Malesia, Africa e in Europa. Ha iniziato la sua formazione musicale attraverso lo studio delle percussioni, passando poi alla chitarra, al piano e all’armonica, ispirato da artisti come Sun House, Robert Johnson, Elmore James, Muddy Waters, anche se considera John Lee Hooker e Alì Farka Tourè i suoi veri maestri.
Attraverso la scrittura e il fraseggio riesce a comunicare lo stato di abbandono e il disagio del continente africano, prendendo ispirazione dalle esperienze personali e dalla sua tradizione, con i ricordi delle ninne ascoltate da bambino e i canti intonati dalle tribù Sahel che viaggiavano attraverso il Cameroon. Il suo utopistico desiderio è fare della razza umana un’unica e grande famiglia, senza alcuna distinzioni di razza o di colore.
Il suo quinto album, “Nguèmè & Smiling”, uscito lo scorso ottobre, rappresenta un ponte ideale tra l’Africa e il Blues, inteso come ultima forma d’arte della Black America, in cui mescola note basse e taglienti che incrociano il sound elettronico della scuola di Chicago, avvalendosi di due idiomi per esprimere introspezione e felicità: il Bamilèkè, la sua lingua madre, e le blue note che hanno cambiato il suo destino per sempre, dal giorno in cui per la prima volta ascolta “Crawling Kingsnake” di John Lee Hooker: “Un momento rivelatore – racconta Tchakountè – La spontaneità, l’apparente mancanza di struttura, il fuoco e l’energia grezza, l’onestà che sentivo hanno cambiato tutta la mia percezione della musica e ho capito quale direzione avrei voluto dare alla mia musica da allora in poi e al mio sogno di diventare bluesman”.
Il Blues assume così una funzione catartica per trascendere il dolore ed aprirsi alla speranza, con un’inversione di prospettiva e un risvolto positivo, come sottolinea il brano “Nju Bwoh Man” che in Bamilèkè significa “La vita è bella”.
L’apertura del concerto è affidata invece ad un giovanissimo musicista salernitano, originario di Agropoli, classe 1996. Joe Chiariello, figlio d’arte, all’età di 11 anni ascolta per caso la versione di “Sweet Home Chicago” di Robert Johnson restandone folgorato. E’ così che scopre la sua vocazione e inizia a tracciare un percorso più unico che raro nel panorama del blues in Italia, imbracciando la sua prima chitarra e iniziando a studiarla da autodidatta. Il giorno in cui il padre esaudisce la sua richiesta di donargli il cd con le 29 storiche incisioni di Robert Johnson segna un punto di svolta nella sua vita: si appassiona al leggendario bluesman ed ai classici del suo repertorio, sorprende e quasi sconcerta per la facilità e la rapidità di apprendimento di brani che da sempre hanno messo a dura prova chitarristi di tutto il mondo, per il modo in cui riesce a produrre fedelmente la sua tecnica fingerpicking e per il canto. Figlio di Puccio Chiariello, bluesman di razza e chitarrista d’eccezione, Joe Chiariello ha imparato interamente da solo tutto quello che è in grado di fare oggi, ascoltando il blues delle origini, quello dei grandi padri fondatori, riconosciuto universalmente come Delta Blues