Stanotte ho sognato di nuovo Rosario e non credo per avere avuto un colloquio un po’ delicato con lui. Mi sono addormentata pensando a Marco, per la prima volta senza disperazione.
Ho visto me stessa sperduta in una landa sconfinata, che non apparteneva a questo mondo; ma non riuscivo a capire nel sogno se era il Purgatorio o l’Inferno. All’improvviso mi è apparso un simbolo di fuoco, come una palla fatta di fiamme che attraversava il cielo. Io ero spaventata per la desolazione del luogo e per essere sola, quando da lontano ho visto una figura d’uomo, che si avvicinava, ed ho riconosciuto Rosario. Ma quale non è stato il mio raccapriccio, quando mi sono accorta ch’egli aveva i piedi legati da una pesante catena di ferro e lottava con le braccia contro un nemico invisibile.
Il suo volto esprimeva l’orrore di una situazione mortale. Io lo chiamavo, perché mi aveva promesso di aiutarmi (nel sogno si confondevano la realtà e l’immaginario); ma egli arrancava come un gigante ferito o come un animale costretto a tirare un peso impossibile per le sue forze. Tanto era trasformato il suo aspetto, mentre mi volgeva le
spalle, ch’io mi misi a piangere, ad urlare il suo nome… Mi sono svegliata, gelida e tremante.
Ho scritto quello che ho visto. Io non sono superstiziosa, ma sinceramente invoco l’aiuto del Cielo su me stessa e Rosario».
L’indomani passò più lietamente del solito; ormai le novità si susseguivano a portata di mano: il Fascismo compiva grandi cose in Africa Orientale e ne informava il popolo attraverso la radio e gli strilloni meccanizzati per le strade. Quasi ogni giorno, i Fascisti organizzavano cortei, parate, davano spettacoli pubblici, anche attraverso le marionette, che, mosse da mani abili, riproducevano le grandi gesta del passato e del presente e facevano accorrere nelle piazze i piccoli e i grandi, trascinati dall’emozione e dall’entusiasmo. Gli attori, compreso l’inflessibile Alfred e l’equilibratissimo Rosario, si divertivano un mondo.
Ormai la suggestione fascista aveva finito per contagiare non solo le regioni d’Italia, ma tutti i paesi d’Europa.
Infatti un po’ da per tutto si era diffusa una moda che riecheggiava le istituzioni fasciste. In Francia, nonostante il rigetto antifascista del governo centrale, Marcel Bucard fondò il «Francisme» e Georges Valois «Le Faisceau». In Inghilterra, ad opera di Sir Osvald Mosley sorse una Unione fascista britannica, i cui simboli furono: camicie grigie, gagliardetto nero, fascio littorio. Le conseguenze furono enormi: si formulò addirittura la possibilità che sorgesse un partito fascista a livello di Commowealth, che unisse in un solo abbraccio, la «Nuova Guardia australiana», «La nuova Guardia sud-africana», «La Guardia nazionale irlandese» e «La Guardia della Nuova Zelanda». Nella Spagna, sulle tracce della «Falange Espanola» di José Antonio Primo de Rivera, che ebbe molto breve durata, sorse più salda la «Falange espanola de las Jons», con le camicie azzurre, il saluto a braccio teso (tipico di Benito Mussolini).
Sorsero istituzioni di moda fascista anche nel Belgio, nelle Fiandre, in tutti gli Stati Baltici.
Nel Nord-Europa si rafforzò lo spirito nazionalistico, il quale idealmente si legò, al di là delle terre e dei mari, con l’espressione nuova dell’America Latina, ove germogliarono come funghi i gruppi nazi-fascisti. Di questo infiltrante fenomeno nazi-fascista, il più grande scrittore del tempo, Thomas Mann, ritrasse un quadro sconcertante: «Grosso modo, tutti questi regimi e movimenti traggono origine dalla crisi post-bellica del sistema liberale e dalla paura di una rivoluzione bolscevica. E tutti, in misura maggiore o minore, mostrano alcuni tratti in comune: la dichiarata rottura con il passato prossimo in vista di «un mondo nuovo», ma con l’occhio paradossalmente volto verso il revival di un passato remoto, convenzionalmente considerato glorioso; il rifiuto degli «Ideali borghesi» della democrazia da un lato e del socialismo dall’altro; l’esaltazione della violenza e il culto della giovinezza; l’affermazione maniacale del principio di autorità e l’esaltazione della gerarchia; l’adorazione dello Stato e il nazionalismo aggressivo. Ci sono in più alcuni elementi più specifici, ma non secondari: il neopaganesimo e il fanatismo razzista del terzo Reich; il pesante clericalismo austriaco ed iberico, la «schizofrenia istituzionale» delle monarchie fascistizzate in Italia e in alcuni stati danubiani».
Anche lo storico Hugh Trevor-Roper, a proposito degli anni trenta, scrive: «Non vi fu praticamente un solo movimento conservatore europeo che non sfoggiasse atteggiamenti fascisti…
E così movimenti esoterici e ridicoli finirono per moltiplicarsi come funghi anche all’interno delle società più stabili e avanzate».
Discussioni vivaci si accendevano nelle famiglie o nei gruppi di amici raccolti in casa, col pretesto dello scopone, in realtà per discutere di tutto un po’ quello che accadeva. Era così forte l’azione propagandistica del Fascismo che si sentiva il bisogno di comunicare riservatamente con gli altri, per uno scambio di opinione e di veduta. Ed era così sollecita la sorveglianza dei fascisti, che all’improvviso bussavano alle porte dei circoli o anche delle case, che subito gli accoliti mutavano musica e parole e si parlava allora, con riviste alla mano, degli ultimi successi riportati a Parigi dalla stilista Coco, che dettava moda a tutto il mondo «in» di allora; o si esaltava la bellezza dell’italiana Elsa Schiapparelli, anch’ella grandissima stilista del tempo.
Un giorno che Alfred, in procinto di partire per New York, si sentiva più tenero del solito verso Emily, osservando e sfogliando delle riviste giunte quella mattina da Roma, da Milano e da Parigi, le chiese: «Guarda che splendidi abiti da sposa ci presenta Chanel Coco da Parigi!».
Al che Valeria s’intromise, con atteggiamento insolito, essendo sempre molto riservata, e disse:
«Sono bellissimi anche quelli presentati dalla Schiapparelli. Ce n’è uno che è un sogno!».
«Se fai presto a sposarti te lo regalo io, Valeria! Intanto, tu, Emily, per i tuoi abiti come ti vuoi regolare? Vuoi che scriva ad una di queste case o vuoi che ti porti dall’America il tuo corredo da sposa e l’abito nuziale?».
«No, no, Alfred, ti prego. Scriviamo a Parigi; voglio proprio l’abito che su questa rivista porta il nome di Chanel Coco!».
Tutti risero dando ampio adito a quella gioia così spontanea, così pregna di promesse meravigliose, lontana dall’imprevedibile futuro.
Fu stilata e spedita una nota lunghissima di capi da vestiario, non solo per Emily, ma anche per Valeria. Giunse, quindi, il giorno della partenza. All’aeroporto una inconcepibile commozione prese tutti i componenti la comitiva che accompagnava Alfred e Rosario.
Stowe non tralasciava di impartire istruzioni agli operatori e ai fotografi, che riprendessero bene l’Etna in tutte le forme possibili, così sarebbe tempo guadagnato al suo ritorno. In tal modo egli riusciva a nascondere il nervosismo che lo aveva preso all’ultimo momento, al pensiero di dover lasciare Emily, sia pure per breve tempo. Poi, approfittando ancora di pochi istanti, sollevò Emily con le sue forti braccia e se la strinse al petto coprendole la testa di baci, infine la depose a terra e la baciò sulla bocca con estremo smarrimento e abbandono, nell’enorme meraviglia degli astanti.
Anche Rosario dette un piccolo insolito spettacolo: prese una mano di Valeria e, stringendola, attirò a sé la donna, la baciò rapidamente e si allontanò con Alfred, per salire sull’aereo. Tutti vollero assistere alla partenza e non si allontanarono dal posto, finché l’aereo non decollò per solcare il cielo immenso: un grande uccello, un piccolo uccello, un punto, un puntino, poi nulla… Bisognava rassegnarsi all’attesa.
Emily e Valeria si fecero riaccompagnare in albergo; gli altri fecero programmi diversi. Le due donne si sentivano ancora più legate nella solitudine desiderata, mentre ascoltavano della buona musica dalla radio. La giornata volgeva al termine, quando Emily, sopraffatta dalla malinconia, disse improvvisamente:
«Senza Alfred, è come se l’universo mi cadesse addosso… Cosa sarei senza di lui?».
«Sciocchina, non essere triste» _ ribatté Valeria.
«Al suo ritorno, grandi feste! Piuttosto che fine farò io, quando ti sarai sposata?».
«Dovrai avere solo la pazienza di aspettare il mio ritorno dal viaggio di nozze, che intraprenderò con Alfred; egli non rinuncerebbe mai a questo… Poi saremo sempre insieme ed aspetteremo il tuo bambino». Tacque un po’, poi aggiunse sovrappensiero:
«Sai che Alfred mi ha proposto di adottare un bambino? Io temo che anche per questo sia andato in America. Ma io non lo voglio un bimbo americano. Io amo il tuo bambino, Valeria!».
Valeria taceva; ripensava ai suoi strani sogni… Che c’entrasse il bambino a sconvolgerle l’inconscio?
Da questo momento passarono giorni monotoni. Valeria si meravigliava di vedere spenta l’abituale allegria dell’amica e pensava:
«Allora lo ama veramente. Questo vuol dire che Emily è capace di veri sentimenti».
Un giorno che stava scorrendo più scialbo del solito, Emily ricevette una lettera da Napoli. Le scriveva sua madre, la signora Carolina, informandola, tra l’altro, delle nozze di Olga, la sorella di Valeria.
Emily pensò che questa notizia, avrebbe rattristato Valeria, così cercò di dargliela con molta cautela, alla fine le mostrò la lettera. Valeria pianse; ripensò alla sua casa, alla sua vita in famiglia… Come le sembrava banale la sua giornata allora, solo allietata dalla presenza, quando era possibile, di Marco, sempre alle prese coi suoi malati, col suo ospedale! Ora sentiva morbosamente la mancanza di quell’atmosfera familiare, in cui primeggiava la figura, autoritaria e dolce insieme, del padre…
Mentre il tormento la macerava in questi ricordi, pure provò un poco di consolazione al pensiero delle nozze di Olga, che potevano essere il segno della ripresa fisica del commendatore Andrea.
In realtà quest’ultimo non si era mai completamente ripreso, tuttavia aveva insistito in famiglia perché si celebrasse, senza ulteriori ritardi, il matrimonio di Olga e Simone, che, negli ultimi tempi, aveva subìto una vera e propria crisi. Per poco non c’era stata una rottura tra le famiglie e i due giovani, entrambi sottomessi alla volontà paterna. Infatti Simone amava Olga, senza impeto, nel suo abituale modo di essere aderente alla tradizione familiare. Come il proprio padre, si era laureato in Chimica e si era dato all’insegnamento, non disperando di trovare un’occupazione più redditizia. Dai genitori aveva ereditato una rigida educazione, non aliena da un rispetto quasi esagerato per il fattore religioso, essendo tutta la famiglia interessata ai successi di un parente canonico.
Simone si era fidanzato con Olga, perché l’aveva trovata adeguata al modo di pensare suo e della sua famiglia.
L’aveva vista in chiesa ed attratto dalla sua compostezza l’aveva spesso seguita a distanza, fino al portone di casa, facendo in modo ch’ella capisse le sue intenzioni. Olga, dal canto suo, si era ben accorta di lui e se ne compiaceva, rispondendo al suo saluto e ai suoi sorrisi. Non fu dunque il colpo di fulmine, ma un sentimento calmo e concreto, che prendeva corpo volta per volta.
La proposta di matrimonio fu fatta direttamente al dott. Andrea, il quale promise che avrebbe interrogato la figlia al riguardo e poi avrebbe dato una risposta, pregustando il piacere di imparentarsi con una famiglia così rispettabile.
Il fidanzamento fu concluso rapidamente: le due famiglie erano, come si suol dire, alla pari; i due giovani si incontravano anche nel carattere e, quindi, nulla ostava alla loro unione.
(Continua…)