Domenica 17 i cittadini sono chiamati ad esprimersi sul quesito referendario in materia di trivellazioni per estrarre petrolio o gas entro il limite delle 12 miglia marine dalla costa.
Per votare è necessario recarsi al seggio elettorale muniti di certificato elettorale (in caso di smarrimento è possibile richiederne una copia all’ufficio elettorale comunale di zona) e di documento di identità valido.
Il quesito chiede ai cittadini se sono favorevoli o contrari all’abrogazione del terzo periodo del comma 17 dell’articolo 6 del Codice dell’Ambiente che consente alle società che hanno in concessione l’estrazione di petrolio e/o gas dai giacimenti entro le 12 miglia marine dalla costa di continuare ad estrarre anche alla scadenza della concessione, fino a quando non sia esaurito il giacimento.
ITER PROCEDURALE
Originariamente i quesiti referendari proposti erano sei, ed erano stati promossi da 9 consigli regionali (Veneto, Liguria, Marche, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna, più l’Abruzzo che successivamente ha rinunciato a prendere parte all’iniziativa) su iniziativa delle associazioni ambientaliste.
La Costituzione prevede che il referendum possa essere proposto, oltre che dai cittadini tramite la raccolta di firme, anche dall’iniziativa di almeno 5 Consigli Regionali. Storicamente quello del 17 aprile è il primo referendum indetto su iniziativa dei Consigli Regionali.
Come anticipato, in origine i quesiti referendari proposti erano sei, e riguardavano articoli del DL 133 12/09/2014, detto anche “Sblocca Italia”, e del DL 5 del 9/02/2012 detto anche “Semplificazione” così come il già citato Codice dell’Ambiente, e chiedevano
1. l’abrogazione della dichiarazione di strategicità, indifferibilità e urgenza delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi;
2. abrogazione della nuova procedura di approvazione del cosiddetto «piano delle aree» di estrazione degli idrocarburi;
3. abrogazione della nuova disciplina sulla durata delle attività autorizzate dal nuovo “titolo concessorio unico”;
4.abrogazione del potere sostitutivo dello Stato di autorizzare, in caso di rifiuto delle amministrazioni regionali, le infrastrutture e gli insediamenti strategici;
5. abrogazione del potere sostitutivo dello Stato di autorizzare, senza concertazione con le regioni, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi (come da Legge n.239 del 23/08/2004). (questi ultimi erano i quesiti più stringente per i Consigli Regionali);
6. abrogazione della possibilità di proroga delle estrazioni fino all’esaurimento dei giacimenti, solo per le concessioni marittime già rilasciate che distano meno di 12 miglia nautiche internazionali dalla costa (Codice dell’Ambiente del 2006 poi modificato nel 2011);
L’Ufficio Centrale della Corte Suprema di Cassazione lo scorso 27 novembre aveva quindi dichiarato legittimi i quesiti presentati dai Consigli Regionali.
A quel punto il Governo, in sede di approvazione della Legge di Stabilità, aveva presentato e fatto approvare dal Parlamento un emendamento che “superasse” i quesiti referendari modificando nel senso favorevole a chi aveva presentato i referendum.
La Cassazione a quel punto, procedette ad un secondo giudizio di legittimità dei 6 quesiti respingendone 5 e mantenendone soltanto uno, quello appunto su cui ci si esprimerà domenica prossima.
Per un vizio di forma (mancavano le deliberazioni dei Consigli Regionali) è stato poi respinto dalla Corte Costituzionale il conflitto di attribuzione di poteri tra Stato e Regioni promosso dalle Regioni volto a far riammettere 2 quesiti respinti (quelli ai punti 4 e 5, i più stringenti per le Regioni appunto).
Infine, la Corte Costituzionale dichiarava ammissibile l’unico quesito sopravvissuto al vaglio della Cassazione dopo le modifiche apportate dal Governo.
INDIZIONE DEL REFERENDUM
Governo che ha poi indetto il referendum per il 17 aprile. C’è stato un acceso dibattito anche sulla data del referendum, e sull’opportunità di indirlo contestualmente alle elezioni amministrative del 5 giugno (data fissata solo una settimana fa), secondo il Ministro dell’Interno Alfano c’erano difficoltà oggettive per l’accorpamento dovute “alla diversa composizione degli uffici elettorali, alla ripartizione degli oneri e all’ordine di successione delle operazioni di scrutinio”, e pertanto superabili unicamente con una “legge apposita”. Decisione contestata dai promotori del referendum e dai partiti di opposizione che invece hanno accusato il Governo di voler “sabotare” il referendum, sollecitando a più riprese anche l’intervento del Presidente della Repubblica Mattarella. Infine, il tar del Lazio ha respinto pochi giorni fa i ricorsi presentati da Radicali e Codacons sull’accorpamento.
CONSEGUENZE
In caso di vittoria del Sì le compagnie che hanno in concessione lo sfruttamento e l’estrazione di petrolio e gas dei giacimenti marini dovranno interrompere le loro attività alla scadenza della concessione, se prevarranno invece i No i giacimenti potranno essere sfruttati anche oltre la scadenza della concessione fino al naturale esaurimento.
In Italia sono state rilasciate 69 concessioni per l’estrazione di idrocarburi in mare, dislocate quasi tutte sul versante Adriatico, una sul versante Jonico e 4 nel Canale di Sicilia, quelle entro il limite delle 12 miglia marine e quindi interessate all’esito del referendum sono 44. Le altre 25 sono oltre le 12 miglia e quindi non rientrano nel quesito referendario.
PERCHE’ SI’ e PERCHE’ NO
I sostenitori del Sì sostengono che le trivellazioni marine in oggetto coprono una parte minima del fabbisogno energetico e quindi tutto sommato marginale ma che costano all’ecosistema marittimo moltissimo in termini di inquinamento, i sostenitori del No invece ritengono che le estrazioni coprano una quota del fabbisogno energetico che si attesta intorno al 10%, ed inoltre la chiusura delle piattaforme alla scadenza della concessione comporterebbe ricadute sui livelli occupazionali.
QUORUM
Come per tutti i referendum abrogativi, il voto è valido se viene raggiunto il quorum della metà più uno degli aventi diritto.
DIBATTITO POLITICO, FRONTI DEL SI’ E DEL NO. ASTENSIONE LEGITTIMA O NO?
E’ indubbio che questo referendum sia stato caricato di significato politico soprattutto dai partiti dell’opposizione, in particolare dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega Nord (con il Governatore del Veneto Zaia in prima fila) che spingono per mandare a casa il Governo Renzi, in previsione anche delle Elezioni Comunali di giugno.
Proprio il premier è finito nell’occhio del ciclone per aver di fatto invitato i cittadini non andare a votare il referendum ritenendolo inutile e strumentale. Posizione condivisa anche se in termini più sfumati dall’ex Presidente della Repubblica Napolitano che ha dichiarato nei giorni scorsi di trovare persuasive le argomentazioni di chi sosteneva che astenersi da un quesito referendario ritenuto pretestuoso ed ideologico fossero legittime. Dichiarazioni che non hanno mancato di suscitare polemiche in quanti hanno ricordato che Napolitano nel 2011 avesse un atteggiamento diametralmente opposto rispetto ai referendum, e che quindi avesse lanciato una vera e propria ciambella di salvataggio a Renzi. Si è espresso invece il Presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi dichiarando che “si è buoni cittadini solo se si va a votare”. Hanno annunciato che andranno a votare anche il Presidente della Repubblica Mattarella ed i presidenti di Camera e Senato Boldrini e Grasso.
La questione è dibattuta da tempo, se i Costituenti prima ed il legislatore poi hanno vincolato la validità del referendum al raggiungimento del quorum hanno probabilmente previsto proprio le argomentazioni esposte da Napolitano, e quindi la legittimità di non recarsi alle urne per invalidare il referendum. L’astensione che di fatto vale come voto contrario è anche istituzionalizzata nel regolamento delle votazioni del Senato (mentre alla Camera l’astensione abbassa la soglia di maggioranza per l’approvazione di un provvedimento). Di contro sorgono invece dubbi sull’opportunità che esponenti delle istituzioni invitino espressamente a non votare, tenendo anche conto che la Cassazione, con una sentenza del 1985, sanzionava l’invito ad astenersi ad andare a votare i referendum (cosa che aveva fatto l’allora premier Craxi sui referendum della cosiddddetta Scala Mobile, voluto dal PCI e dalla CGIL).
Sono inoltre al vaglio proposte di legge per cercare di superare il nodo del raggiungimento del quorum, ad esempio aumentando ad 800.000 il numero delle firme da presentare per la richiesta di referendum.
Per il referendum confermativo delle riforme costituzionali che si voterà il prossimo autunno non è invece previsto il raggiungimento del quorum per la validità del voto.
Sono schierati per il Sì le asssociazioni ambientaliste come Greenpeace e Legambiente, i partiti di opposizione come il Movimento 5 Stelle, la Lega Nord, Fratelli d’Italia e Sel, oltre che i Radicali.
E’ schierato per il No il Comitato Ottimisti e Razionali.
Divisi al loro interno tra Sì, No e astensione il Nuovo Centrodestra (Alfano ancora non si è espresso ma il Ministro della Salute Lorenzin ha già annunciato che non voterà ritenendo legittima la scelta politica dell’astensione), Forza Italia (nessuna dichiarazione da parte di Berlusconi con il governatore della Liguria Toti che voterà Sì ed il capogruppo alla Camera Brunetta orientato per il No, anche se probabilmente le dichiarazioni di Napolitano gli hanno fatto cambiare idea, come ha postato l’ex ministro su Twitter), ma soprattutto il Partito Democratico.
Proprio il partito del premier è oggetto di divisioni profonde (non potrebbe essere altrimenti in un partito dove sono presenti almeno 12 correnti). Innanzitutto dei 10 Consigli Regionali che hanno chiesto il referendum molti di questi sono proprio a guida Pd, a cominciare dalla Puglia guidata da Michele Emiliano. Inoltre la minoranza che fa capo a Roberto Speranza ha annunciato che andrà a votare Sì ed ha scritto per questo una lettera agli iscritti del partito. Andranno a votare ma voteranno no invece tre big del partito, che hanno ricoperto anche ruoli istituzionali, come Romano Prodi, Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema.
Singolare poi il caso della Campania, il cui Consiglio Regionale aveva aderito all’iniziativa referendaria. Se infatti la presidente del Consiglio Regionale Rosa D’Amelio ha annunciato che andrà a votare sì al referendum il Governatore Vincenzo De Luca sconfessa il suo stesso Consiglio Regionale (che aveva deliberato con voto unanime) definendo il referendum “ideologico e quindi inutile”, al pari di Renzi nonostante poi “se qualcuno mi proponesse di fare le trivellazioni davanti alla costa della Campania, ad Ischia o a Capri o nel Cilento, o nell’area di Caposele, io farei la guerra anche al Governo, tanto per essere chiari”. In Campania voterà Sì anche l’ex Sindaco e Governatore Antonio Bassolino.
E’ probabile, anche se al momento non ipotizzabile in quali termini, una “resa dei conti” all’interno del Pd dopo il referendum, come ha dichiarato proprio Emiliano, anche alla luce di quanto sta emergendo nell’inchiesta Eni in Basilicata che ha portato alle dimissioni del Ministro dello Sviluppo Economico Guidi: Noi non siamo il partito dei petrolieri, ha tuonato il governatore pugliese, se non è una dichiarazione di guerra, poco ci manca.