SEGNI DELLA SCRITTURA DEL NOVECENTO L’ERMETISMO SPIRITUALE DI QUASIMODO (parte decima)

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cop lineam lett criticaIl tema dell’amore povero, militare, partigiano è ripreso con ottima e riuscita strategia con la La ragazza di Bube, che forse è il suo capolavoro, sui quale ci soffermeremo.
Il taglio del bosco del 1954 resta, forse, unico esempio di alto valore poetico, che narra le vicissitudini di alcuni boscaioli.
La ragazza di Bube è una modesta storia di povera gente, pochi protagonisti che sperimentano la loro vicenda esistenziale sullo sfondo immensamente vario, storico e sociale dell’Italia dopo la liberazione.
C’è, nelle pagine del romanzo, la struggente atmosfera amara dei ragazzi del ‘45, che vanno incontro a un destino impreciso, doloroso, forse ingannevole, come si può evincere dalle seguenti parole del testo:
“Non c’era stato mai nulla di vero nella sua vita: solo la sciagura, la terribile sciagura che l’aveva colpita … Tutto il resto, la gioventù, la bellezza, l’amore non era stato niente, era stato una beffa e nient’altro, una beffa e niente altro…
La figura di Mara, maturata nella sventura, si erge vittoriosa sui male stesso che ha tentato di prostrarla, con la forza della bontà e dell’abnegazione, che diventano in lei, per lei e con lei, delle leve potentissime di umanità e di solidarietà col dolore altrui.
Ed ecco la trama.
Dalla finestra della sua casa, sulla collina di Monteguidi, in Toscana, Mara guardava, come al solito, giù verso la piazza per vincere la noia, nella speranza di vedere arrivare qualcuno. La lotta partigiana si era spostata più a Nord, sicché non passavano più sotto le sue finestre i camion coi soldati e non si fermavano più sparsi militari che attendevano qualche passaggio.
Tutto intorno era una monotonia assoluta. All’improvviso i suoi occhi-orecchi captarono il suono rombante di uno sgangherato camioncino, dal quale vide scendere un soldato, certo un partigiano male in arnese, con barba incolta e vestiti quasi laceri: un giovane uomo con un fazzoletto ai collo che avanzando verso la sua casa le chiese dove abitasse Castellucci. La ragazza rispose che era la figlia dell’uomo che cercava ed egli le spiegò che, trovandosi a passare da quelle parti, sentiva il dovere di fare un saluto al padre di Sante, che egli aveva visto morire combattendo contro i tedeschi.
Sante era il fratellastro di Mara, la quale ospitò il forestiero in attesa del padre. Questo, quando giunse, io accolse con calore, perché amico del figlio e io pregò di restare e riposarsi per la notte. Il partigiano disse di chiamarsi Arturo Cappellini, ma aggiunse che da piccolo tutti lo avevano sempre chiamato Bube.
(Continua…)