Non si scopre l’acqua calda affermando che le riforme, di cui una collettività ha fisiologicamente bisogno, sono fatte per cambiare, in ottica migliorativa, le performance della collettività stessa. E questo vale in ogni ambito e per ogni collettività, grande o piccola che sia, a meno che le riforme non riguardino una collettività della quale noi stessi facciamo parte. Purtroppo è questo l’atteggiamento, rilevabile dai fatti, che la collettività “Italia” dimostra ogni qual volta qualcuno, magari anche con cognizione di causa, tenti di apportare novità ad un qualunque settore produttivo.
L’attualità ci invita a riflettere su cosa si sta verificando nel comparto della scuola dove l’ipotesi di riforma, e sottolineo ipotesi in quanto al momento non è ancora tutto deciso e definito, ha prodotto una generalizzata levata di scudi e, di conseguenza, un rifiuto netto ai contenuti della proposta. La proposta di cambiare in maniera sostanziale la figura del Preside, anche se personalmente credo si tratti di cambiare, ed aggiungo finalmente, non la figura ma l’operato del Preside, è vista come un ritorno all’antico con il rischio di possibili derive clientelari ed autoritarie di cui proprio non si ravvede l’utilità e per questo, o partendo da questo, almeno secondo tanti, deve essere osteggiato e contrastato l’intero percorso riformativo.
Ma la scuola, o meglio il comparto scuola, deve essere ispirato, paragonato o raffrontato all’azienda o, proprio perché scuola, nulla deve avere a che vedere con le dinamiche aziendali? Non è un quesito di facile e certa risposta proprio perché, purtroppo o per fortuna, è vero tutto ed il contrario di tutto. Certo la scuola deve essere indipendente ma l’indipendenza non deve sacrificare sul proprio altare lo sforzo organizzativo, tecnico ed anche economico di una collettività che potrebbe, come purtroppo spesso accade, non avere per niente bisogno di quei profili e competenze, d’altro canto non può dipendere dalle sole logiche di mercato e “produrre”, tanto per rimanere in un linguaggio commerciale, solo profili utili a quella causa, anche perché i tempi necessari per la formazione sono biblici rispetto ai tempi commerciali.
E cosa c’entra, se c’entra, il Preside? Di fatto, in quanto dirigente, è lui che stabilirà la strategia e come metterla in pratica, è lui che si sceglierà lo staff ed è sempre lui che avrà il potere di scegliere tanto altro, ivi comprese anche le risorse umane. In una dinamica aziendale, dove il dirigente opera e viene pagato da dirigente, lo stesso “paga” in prima persona gli errori anche perché gli errori, al pari dei successi, sono perfettamente misurabili. Anche nella scuola gli errori, al pari dei successi, sono perfettamente misurabili, solo che difficilmente il conto di un insuccesso viene pagato da colui che l’ha provocato.
Tante, troppe volte si verifica che in una città sino presenti due Istituti uguali, stessa struttura, stesso POF, a volte anche stessi professori, solo che un Istituto, più ambito dall’altro, cresce, mentre l’altro decresce. L’unico elemento di diversità è proprio o solo il Dirigente solo che, in barba ai risultati sostanzialmente e profondamente diversi, la remunerazione finale è di fatto uguale per entrambi.
Chissà se in una qualche “piega” di questa ipotesi di riforma, che prevede anche (finalmente) l’aggiornamento dei docenti al pari di qualsiasi altro mestiere o arte o professione, sia previsto o contemplato anche un aggiornamento dei dirigenti scolastici, magari prevedendo (o imponendo) stage o incontri nelle aziende esterne, che sono poi quelle che alla fine dovranno farsi carico di buona parte di quei “prodotti” che loro stessi avranno contribuito ad immettere nel ciclo produttivo di una collettività.