Con lei aveva diviso le ansie sulla sorte del bambino, prima e dopo ch’egli nascesse. Emily era come un sorso d’acqua che ti disseta nel momento dell’arsura; come la mano di un angelo, che amministra il pane sulla mensa.
Era tante e tante cose indicibili: era il filo dei destino che aveva tirato lei e il suo bambino, in un avventuroso ma salvifico cammino, fra sventure, insidie, inquietudini, che, tuttavia, non ne avevano fiaccato l’intimo equilibrio.
Ricordava, vergognandosi un po’, l’assurda gelosia che suscitava, in lei, l’ingenuo amore di Emily per il suo piccolo Marco.
Nell’atroce sofferenza che le procurava l’abbandono di Marco, non sopportava l’idea di dividere con chicchessia il suo unico tesoro, dal momento che l’altro era stato sottratto a lei da forze inoppugnabili. Voleva il figlio tutto per sé, perché egli, alla fine, era il risultato unicamente accettabile della storia con Marco: l’unico ricordo tangibile di un amore che si era dissolto tra le nebbie velenose di alambicchi infernali…
Oh, si! Certo! Marco ne era morto, ma in cambio aveva spianato la strada agli altri; aveva finalmente capito e spiegato quali sono i limiti della resistenza umana; aveva apportato con le sue deduzioni tanto aiuto agli esperimenti degli altri. Aveva provato l’impossibile, sulla sua persona, per renderlo possibile agli altri.
(Continua…)