Papa Francesco, sepsi minaccia silenziosa: cosa dicono gli esperti

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(Adnkronos) –
Papa Francesco ha trascorso bene la notte ma le sue "condizioni di salute permangono critiche", ha fatto sapere domenica sera il Vaticano. Si è parlato dell'insorgenza di una lieve insufficienza renale. "Pur non conoscendo nel dettaglio lo stato di salute del Santo Padre, i sintomi e segni riportati, uniti alla bassa conta di piastrine già riferita in precedenti bollettini, potrebbero far ipotizzare la presenza o il rischio di insorgenza di una sepsi. La buona notizia per il Santo Padre è che, anche in presenza di sepsi, la condizione clinica sarebbe ancora completamente reversibile". Ad affermarlo Ivan Gentile, direttore del dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università di Napoli Federico II.  "Il quadro clinico del Papa mi pare in linea con una sepsi, che è la risposta infiammatoria del nostro organismo a un insulto infettivo come quello che ha avuto con l'infezione ai polmoni importante. La sepsi può riguardare più organi come i reni, infatti il bollettino" della sala stampa vaticana "ha parlato di una lieve insufficienza renale, o i polmoni. Poi le trasfusioni e la piastrinopenia potrebbero essere legate alle terapie antibiotiche che sta facendo, alcune abbassano in maniera importante il valore delle piastrine". Lo afferma all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive dell'ospedale policlinico San Martino di Genova. Sergio Alfieri, il chirurgo del Gemelli che segue il Papa dal ricovero, durante il punto stampa di venerdì scorso aveva sottolineano che "il vero rischio è la sepsi" e aveva aggiunto che "se, malauguratamente, nonostante tutte le terapie e dosandole con bassissimi livelli di cortisone, uno dei germi dovesse passare nel sangue, qualsiasi paziente avrebbe una sepsi. E da una sepsi, alla sua età, potrebbe essere difficile uscirne. Il vero rischio è che questi germi passino nel sangue. Per ora l'infezione è contenuta, ma è presto". "Mi auguro che la terapia scelta sia delle migliori possibili – prosegue Basetti – la terapia antibiotica oggi se fatta appropriatamente riesce a migliorare la prognosi dei pazienti in modo significativo. Certamente – osserva – il fatto che le cose non vadano bene dopo diversi giorni dovrebbe forse far pensare che andrebbe rivalutato il trattamento, mi auguro che all'interno del team che segue il Santo Padre ci siano esperti di terapia antibiotica". Il fatto che mangi autonomamente o che si alzi sono di per sé segnali incoraggianti? O in quel quadro clinico sono normali? "Il fatto che mangi e sia cosciente è positivo, ma si può star male lo stesso. Non è che se un paziente mangia certamente starà meglio. E' un particolare importante, come che sia vigile o orientato, ma i danni agli organi non si vedono se uno mangia o meno", conclude l'infettivologo.  Si stima che la sepsi colpisca ogni anno nel mondo circa 50 milioni di persone, causando circa 10 milioni di morti, ovvero il 20% dei decessi per tutte le cause! Ma che cos'è la sepsi e come possiamo prevenirla e fronteggiarla? “La sepsi – dal greco, 'io marcisco' – è una condizione innescata da una infezione (batterica, virale, micotica o protozoaria) che provoca un danno a uno o più organi a causa di una risposta eccessiva e disregolata del nostro sistema immunitario che, nel tentativo di contrastare il patogeno, finisce per danneggiare lo stesso organismo – ricorda Gentile – Quando spiego ai miei studenti la sepsi dico che essa è come una tempesta che crea nel nostro organismo un danno in tempi rapidi, ma, come tutte le tempeste, può lasciare spazio al sereno, se la identifichiamo e trattiamo correttamente”. Quali sono le difficoltà sta nel riconoscere e trattare tempestivamente la sepsi. “Non esistono test diagnostici validati per la sepsi. Una cosa è certa: la sepsi è una patologia tempo-dipendente, come lo sono l'infarto e l'ictus, e se si interviene correttamente nelle prime ore il tasso di successo è elevato. Ciò che spiace – avverte – è che nel nostro sistema sanitario non esiste ancora una rete sepsi tempo-dipendente al pari di quelle per ictus e infarto, che fortunatamente funzionano bene e garantiscono elevati tassi di cura ai pazienti con tali patologie. Va ricordato che, secondo i dati disponibili, la sepsi, nonostante una verosimile sotto-diagnosi, è responsabile di un numero maggiore di ricoveri e decessi rispetto a ictus e infarto”.  Chi può essere colpito dalla sepsi e quali infezioni ne sono più frequentemente responsabili? "La sepsi può colpire chiunque, ma sono più a rischio i grandi anziani, i neonati, i soggetti con malattie croniche (diabete, patologie cardiache, polmonari, renali o neurologiche), i pazienti oncologici e gli immunodepressi. Il focolaio infettivo può coinvolgere vari organi e apparati: i polmoni (polmonite), l'addome (peritoniti o ascessi), i reni (pielonefriti), la cute (fasciti), e altri distretti corporei", avverte Gentile.  Indipendentemente dalla sede dell'infezione, il paziente settico si presenta spesso confuso, con insufficienza renale e diuresi ridotta, difficoltà respiratorie e pressione bassa. “Gli esami di laboratorio mostrano indici di infiammazione elevati, possibile riduzione delle piastrine e aumento della bilirubina. La non specificità di questi sintomi – rimarca il medico – rende la diagnosi complessa, portando talvolta i pazienti a essere erroneamente indirizzati verso altri percorsi diagnostici, come quello per l'ictus per i soggetti confusi, con conseguente ritardo nella gestione della sepsi”.  “La forma più grave della sepsi è lo choc settico, una condizione caratterizzata da un'alta mortalità, in cui abbiamo solo un'ora per intervenire con una terapia adeguata per garantire la massima sopravvivenza. Ogni ora di ritardo nel trattamento dopo la prima comporta un aumento della mortalità dell'8-10%. Un errore frequente che si rischia di commettere è confondere la sepsi con la batteriemia, concetti molto diversi. La batteriemia indica la presenza di batteri nel sangue, ma la diagnosi di sepsi non richiede necessariamente la presenza di patogeni nel torrente ematico. Per quanto riguarda la terapia, la sepsi richiede un intervento tempestivo con una terapia antimicrobica adeguata, scelta in base all'organo colpito dall'infezione e al rischio di resistenza. In questo è fondamentale la conoscenza dell’ecologia dell’ambiente (ospedale o territorio) da cui proviene il paziente, cioè dal rischio di imbattersi in patogeni resistenti ai farmaci ed il consulto di un infettivologo”. Come possiamo prevenire la sepsi? “La prima regola è mantenere uno stile di vita sano, con un'alimentazione equilibrata e un'attività fisica regolare. È essenziale, soprattutto per chi soffre di malattie croniche, vaccinarsi contro i patogeni che possono causare infezioni gravi e sepsi. Ogni volta che visito un paziente con sepsi causata da un'infezione prevenibile con un vaccino, mi chiedo cosa non abbia funzionato nel sistema. La stessa domanda mi pongo quando vedo pazienti con sepsi non riconosciuta e trattata in ritardo. L’auspicio è che la sepsi venga maggiormente conosciuta, poiché solo attraverso una maggiore consapevolezza possiamo curarla meglio. Ritengo assolutamente necessaria e improcrastinabile la creazione di una rete tempo-dipendente dedicata alla sepsi nel nostro Paese", conclude Gentile.  —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)