CHARLOT IL COMUNISTA
di e regia Claudio Di Palma
Visual Luigi Marmo
Charlie Chaplin (aka Sir Charles Spencer Chaplin)
È stato un attore, comico, regista, sceneggiatore, compositore e produttore cinematografico britannico, autore di oltre novanta film e tra i più importanti e influenti cineasti del XX secolo. Le sue simpatie politiche non furono da lui mai rivelate esplicitamente.
Si ritiene fosse un progressista, ma non socialista o comunista, oltre che (cosa da lui invece rivelata) un pacifista.
Di certo, in molti suoi film aveva analizzato la realtà cupa dei lavoratori, dei poveri e degli emarginati (Tempi moderni, del 1936, ne può essere un chiaro esempio) ed aveva messo in piena luce le contraddizioni della società statunitense.
Benché vivesse negli Stati Uniti da molti anni e vi pagasse le tasse, Chaplin non aveva mai chiesto la cittadinanza statunitense.
La condanna decisiva nei suoi confronti arrivò nel settembre del 1952 per “gravi motivi di sfregio della moralità pubblica e per le critiche trasparenti dai suoi film al sistema democratico del Paese che, pure accogliendolo, gli aveva dato celebrità e ricchezza”.
Il 17 aprile 1948 il Servizio immigrazione e naturalizzazione degli Stati Uniti, sollecitato dall’FBI, decide di interrogare Charles Spencer Chaplin sulla sua presunta adesione ad organizzazioni e cause comuniste. Gli atti di quell’interrogatorio diventano, in scena, l’occasione per ritagliare la figura dell’omino Charlot con contorni diversi da quelli della sua sagoma più conosciuta.
Un dialogo serrato aperto a sospensioni narrative, una ricostruzione immaginaria basata però su dati storici accreditati, una singolare forma di documentario teatrale che attraverso frangenti di vita possibile rivela e ricorda l’anarchismo lirico del più grande “clown“ del Novecento.
NOTE DI REGIA
Avrei problemi a sostenere che si tratti di uno spettacolo teatrale. Potrebbe essere anche cinema. E, perché no, una conferenza … o un comizio. Anzi, meglio, un’indagine giudiziaria o ancora una lezione di anatomia, ma pure un numero di scuola circense e perfino una immaginifica seduta spiritica. Potrebbe essere ogni cosa perché Charlot il comunista racconta i fotogrammi di una vita eccezionale, quella di un buffo omino eccezionale, quella di un artista eccezionale.
Racconta di un corpo di dubbia provenienza e di ignota destinazione; continuamente sul margine di un disequilibrio risolto da un riassesto miracoloso ed inatteso. Sempre. Nella vita, sul set e nella storia. Un corpo che si fa capro espiatorio, si fa corpo ribelle, rivoluzionario, politico e poetico. Questo racconto si svolge in un teatro che è però camera oscura, illusionistica, magica e propone caleidoscopiche visioni da futuribile luna park.
Le immagini e le parole diventano evocazione e documento: dettagliano e ipotizzano, divertono e analizzano infine rivelano un profilo elementare e fantastico, dionisiaco e contraddittorio, misero e nobilissimo; ritagliano una sagoma con bombetta e bastoncino, semplice e illuminante; un’icona … contropotere con un nome (anzi due) ed un cognome: Charles Spencer Chaplin!!!