Giffoni, il meglio della terza giornata, Bonucci, Margherita Vicario e La Bicicletta di Bartali

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C’è stato un tempo nel quale Bonucci, superdecorato difensore della Juventus e della Nazionale, è stato solo Leonardo. È ritornato giovane proprio a Giffoni  e nella capitale del cinema per ragazzi ha raccontato che cosa gli accadde tra il 2008 e il 2009. “Fallirono molte squadre e tra queste c’erano le mie”. Erano il Treviso e il Pisa. “Mi sono ritrovato per un anno intero senza soldi, ma non ho mollato. Noto che nel calcio di oggi i calciatori prendano tanti soldi e subito, anche quando sono giovani. Il mio consiglio, invece, è pensare innanzitutto alla propria formazione ed a costruire su basi forti la propria carriera ma soprattutto la propria vita. La mia fortuna è stata avere vicino una famiglia che mi  ha supportato. Quando ho conosciuto la mia compagna, lei già lavorava e mi ha dato stabilità, mi ha reso una persona migliore e serena. Mi ha sempre considerato come Leonardo e non come un pozzo. Prima di essere personaggi pubblici, noi siamo persone con i nostri valori. Dobbiamo intervenire anche nel calcio moderno. Questo sport è stato da sempre volano di entusiasmo, ma i giovani si stanno disinnamorando. Dobbiamo intervenire al più presto”.

Il tema della 54esima edizione di Giffoni è l’illusione della distanza. Ci sono Paesi calcistici che sono distanti migliaia di chilometri dall’Italia e dal proprio modo di vivere il gioco più amato dagli italiani. Bonucci ha fatto da tempo la propria scelta: “Non giudico i colleghi che hanno scelto di trasferirsi in Oriente, in Arabia o in America. È appunto una scelta e come tale va considerata e rispettata. È capitato anche a me di avere questa opportunità e ho detto no, perché ho scelto il sacro fuoco, la passione e le emozione che mi davano il calcio italiano”.

Quel sacro fuoco che Antonio Conte, un tempo allenatore della “sua” Juventus e adesso nuova guida tecnica del Napoli, ha saputo trasferirgli: “All’inizio il nostro rapporto non è stato tutto rose e fiori – ammette Bonucci – ed è capitato anche per colpa mia, per alcuni comportamenti. Poi ci siamo chiariti ed è stato subito amore. Non sono mai più uscito dal suo progetto di squadra e dalla Nazionale con Antonio. È la scelta migliore che il presidente De Laurentiis potesse fare per il Napoli e per Napoli. Sono sicuro che in azzurro si potrà aprire un ciclo importante, com’è accaduto per noi alla Juventus”. Adesso, però, chiamatelo mister. Per Bonucci si spalancano le porte del centro tecnico federale di Coverciano: “Comincerò il corso di allenatore Uefa-B. Intraprenderò questo percorso con altri ex calciatori. Non so ancora quale sarà il mio modulo tattico preferito, ma di sicuro dovrà tener conto delle caratteristiche dei calciatori. Voglio essere un allenatore in grado di tirar fuori il meglio dai miei atleti. Quando si sta dietro la riga di gesso, l’allenatore può essere un valore aggiunto, se trasferisce ai propri calciatori  non solo i suoi concetti da professionista ma anche tutto sé stesso, la propria umanità. Voglio dare il meglio di me e voglio essere la sintesi dei migliori allenatori dai quali sono stato guidato da calciatore”.

 

Domande ma anche risposte che spaziano e prendono la forma della poliedricità di Margherita Vicario che durante il terzo giorno del GiffoniFilmFestival ha incontrato i ragazzi della sezione #Workshop dai 18 anni in su. Musicista, attrice, regista: Gloria! è diventato in poco tempo un capolavoro narrativo sulla condizione della donna in un secolo in cui la musica era fatta soltanto da uomini. “Ho dato voce alle donne invisibili” ha detto Margherita Vicario nel suo ruolo da regista, spiegando ai giovani presenti in #salaverde alcune nozioni tecniche sull’arte e sul suo essere artista di successo tra musica, teatro e cinema ma anche confrontandosi con loro sugli aspetti della sua vita. Gloria! è stato diretto da lei, all’esordio da regista e Margherita ne ha anche scritto la sceneggiatura. L’artista recentemente ha dichiarato che il film “ha la musica come protagonista” e “usa la musica come linguaggio narrativo”, spiegando che l’idea alla base della sceneggiatura è nata dalla volontà di far conoscere a un pubblico più ampio la storia delle donne musiciste e compositrici vissute in diversi orfanotrofi italiani fra il quindicesimo e il diciassettesimo secolo, fra cui le collaboratrici del compositore Antonio Vivaldi. “E’ stato molto emozionante per me girare questo film ma la cosa più bella è stata riuscire a trasmettere alle 5 protagoniste il bisogno che avevo di raccontare questa storia, legato a dovermi anche concentrare sui rapporti umani e sulle relazioni – ha spiegato l’artista – ma il talento non ha una casa in un uomo o una donna, è un po’ il contesto sociale che  ne determina la riuscita”. Margherita Vicario ha portato alla luce un vero e proprio spaccato di storia straordinario attraverso le note musicali e la tenacia e la forza straordinarie tutta al femminile della “sorellanza”: “La cosa che mi ha colpito è che queste donne potevano suonare solo all’interno di questi istituti ed era impensabile potessero farlo fuori da lì e quindi un po’ il senso del film è raccontare che c’erano eccellenze pazzesche ma qualcuna di loro avrà avuto una propria fantasia da autrice. E’ un’idea fuori dai tempi”. Margherita Vicario e la “cura” consapevole per i temi trattati e per le emozioni da suscitare nel pubblico: un tema venuto fuori dall’incontro con i ragazzi. “La necessità primaria è personale, rivolta verso se stessi. Spesso nelle mie canzoni esorto gli ascoltatori ma in realtà all’inizio è sempre un dialogo tra me e me. Sono la prima a cui mi rivolgo. L’esigenza nasce un po’ prima dentro di te. Cerchi di tenere le cose autentiche in un mondo iperproduttivo. E’ vero che ci metto molta cura – ha detto – è una mia volontà di voler conquistare questa iperproduttività. E’ un messaggio che voglio dare fuori anche al contesto artistico in cui provo ad inserirmi”. Una famiglia – quella di Vicario – dove l’arte ha fatto da padrona ma non ha mai “facilitato” il compito e il lavoro intrapreso dall’artista Margherita che sottolinea la sua identità marcata e unica. Lo ha ribadito anche ai ragazzi che hanno riempito la sala che l’hanno sollecitata sulla questione. Infine, Margherita, ha ricevuto il premio speciale “esplosivo” del #GiffoniFilmFestival: l’”exploded award”.

I piccoli giurati della sezione Elements +10 tra applausi e silenzi in sala hanno accolto con grande entusiasmo il film d’animazione LA BICICLETTA DI BARTALI scritto da Israel Cesare Moscati e Marco Beretta per la regia di Enrico Paolantonio. Prodotto da Annita Romanelli e distribuito da TVCO, questo film è un omaggio a un grande uomo di sport, un campione del ciclismo che ha saputo dimostrare il suo valore di essere umano, anche durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.

Basato sul leggendario campione ciclista italiano Gino Bartali e sulla sua eredità morale. Seguendo le orme di Bartali, che durante la Seconda Guerra Mondiale contribuì a salvare la vita di molti ebrei, LA BICICLETTA DI BARTALI racconta la storia di due adolescenti moderni che sfidano i pregiudizi nella Gerusalemme di oggi. Una storia di amicizia e sport raccontata in due linee temporali distinte: il passato e il futuro.

Il regista e i produttori Evelina Poggi, Sabrina Callipari e Luca Milani di Rai Kids, presenti al termine della proiezione hanno risposto alle tante domande dei giurati in maglia bianca, estremamente incuriositi dalla figura di Gino Bartali e da cosa ci fosse di vero all’interno del cartone animato.

La storia proposta è di base fondata su fatti realmente accaduti, eccetto per alcune parti romanzate, con il semplice intento di rendere il racconto più coinvolgente possibile.

È una storia di amicizia tra popoli che sono comunemente noti per essere in continuo conflitto, come raccontano anche i giornali e telegiornali odierni. Realizzato nel corso di tre anni, iniziato e terminato prima dello scoppio della guerra in Medio Oriente, i ragazzi sono stati toccati ancora di più da questa tematica, che vede protagonisti due ragazzi – un arabo e un ebreo – con la stessa passione per il ciclismo.

Come è stato fatto notare da una piccola giurata, ne LA BICICLETTA DI BARTALI viene trattato anche quello che è il tema del #Giffoni54: l’illusione della distanza. Le due realtà che si contrappongono tra la Secondo Guerra Mondiale e i tempi moderni, in realtà offrono la stessa tipologia di sentimenti e di distanze nel tempo e nello spazio, che possono essere colmate solo con la comunicazione.

L’inserimento di simbolismi come la vipera e il lancio di un sasso, a colpito l’attenzione dei giurati, considerandoli come due facciate della stessa medaglia. Mentre l’animale è noto per essere imprevedibile quando decide di attaccarti per morderti ed avvelenarti; allo stesso tempo il lancio del sasso da parte di un uomo, è ugualmente un atto imprevedibile, realizzato solo per arrecare del male.

Una nota importante va riservata alla canzone di chiusura del film, eseguita da una cantante israeliana molto attiva a favore della pace, il testo dice: “non esiste un unico vincitore ma un unica anima che ci unisce”. Il messaggio più forte che deriva da questo prodotto richiesto dalla Rai è di non perdere mai la speranza e continuare ad avere fiducia verso il prossimo, con la speranza che la generazione dei ragazzi possa colmare i vuoti e riparare ai danni procurati dagli adulti. La scelta di ambientare la storia a Gerusalemme e in Italia è dettata dalla provenienza dei personaggi principali. Mentre sul lato medio orientale ci sono un ragazzo ebreo e uno arabo; in Italia, la scelta di ricreare Firenze e Assisi è giustificata dalle origini di Gino Bartali, il quale impiegò dieci ore ad andare e dieci ore a tornare, per portare documenti nascosti sotto il sellino della sua bicicletta, per salvare la vita a centinaia di ebrei destinati alle camera a gas.

Da un punto di vista tecnico, il regista Paolantonio si è anche soffermato sulla realizzazione del muro presente a Gerusalemme, creato per dividere le popolazioni. E bene, il lavoro svolto dietro alla realizzazione grafica di questo elemento molto importante all’interno della storia, ha visto un lavoro certosino da parte del cineasta e dei suoi collaboratori, ricreando fedelmente tutti i graffiti attualmente presenti sulle mura, quali: una bandiera palestinese, una colomba e la bandiera della pace c’è veramente sul muro.