Ritardata somministrazione di cure palliative, la Cassazione riconosce il diritto al risarcimento del danno.
I giudici della Corte Suprema hanno sentenziato che in caso di ritardo nell’accertamento di una malattia allo stato terminale è possibile ottenere il risarcimento del danno per le maggiori sofferenze patite a causa della mancata erogazione delle cure palliative.
La Corte ha preso in esame il caso di una donna recatasi in ospedale per forti dolori alla pancia e all’addome. In seguito a una visita, i medici prescrissero nuovi controlli dopo due mesi, ma in considerazione dei continui dolori la donna decise di sottoporsi a nuovi e più accurati controlli che rivelarono la presenza di un carcinoma epatico con metastasi. La donna decise, quindi, di agire in giudizio contro i medici per l’errato accertamento. Dopo pochi giorni, a causa della morte della donna, si costituì in giudizio nel processo il figlio, quale unico erede, insistendo per la richiesta di condanna dei medici e al risarcimento del danno in suo favore per le sofferenze patite dalla madre, che potevano essere alleviate, in quel momento, tramite la somministrazione di cure palliative.
La Corte di Cassazione, quindi, ha riconosciuto in favore del figlio il risarcimento del danno derivante dal fatto che, a causa dell’errata diagnosi, non furono somministrate le cure palliative che avrebbero alleviato le sofferenze della madre.
“A oggi – ha voluto commentare, a tal proposito, il dottor Sergio Canzanella, manager dell’European Cancer Patient Coalition e dirigente dell’Associazione House Hospital onlus – nessun dubbio può sussistere circa il fatto che la ritardata somministrazione di cure palliative da parte dei medici nei confronti dei pazienti comporti il diritto a ottenere il risarcimento del danno”.