Restarono qualche attimo pensierose sugli aspetti vari ed imprevedibili che, a volte, la vita assume, indipendentemente dalla nostra volontà. Poi Emily riprese a parlare, trascinata da ricordi ancora troppo vivi: «Alfred era una parte di me; mi capiva, mi amava illimitatamente, soprattutto si interessava a me al di sopra delle formalità e dei pregiudizi. Se qualche volta non volevo seguirlo, ammetteva ch’era giusto e mi aiutava a trovare il modo di passare lietamente il tempo. Non c’era cosa che non mi avrebbe data; non avrebbe mai tollerato ch’io non mi sentissi pienamente padrona nella mia casa…».
«Accidenti! stanno a questo punto le cose? Che voglio dirti, che posso dirti, Emily? La felicità non ci appartiene; non va d’accordo con noi due!».
Conversarono ancora per molto, commiserandosi a vicenda, ma alla fine, prevalendo in entrambe un’autentica forza di carattere, che in modo diverso pur le aveva sempre sorretto, si augurarono vicendevolmente un avvenire migliore. Emily se ne andò e Valeria, rimasta sola, si affacciò dal terrazzo per vedere se stavano rientrando Nina e il figlio. Il giorno seguente passò nell’attesa di Marco, che tornava da Milano. Appena entrò dalla porta, Valeria notò il suo viso pallidissimo, tirato agli angoli della bocca. Preoccupata gli disse affettuosamente:
«Bentornato, Marco! Ti vedo molto stanco; che posso fare per te?».
«Aiutami a mettermi a letto» – fu l’imprevista risposta – «Temo di non stare bene».
Valeria si affrettò a fare quanto le chiedeva, poi disse:
«Chiamerò subito Giovannini…».
«No, lascia stare, vediamo fino a domani. Vedrai che passerà: è solo stanchezza».
(Continua…)